Locazioni passive degli enti pubblici: prorogato per il 2023 il divieto di applicazione dell'aggiornamento Istat

23 Gennaio 2023

Il d.l. n. 198/2022 conferma anche per il 2023 il blocco dell'aggiornamento della variazione degli indici Istat relativamente ai canoni per l'utilizzo in locazione passiva di immobili per finalità istituzionali da parte delle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della P.A.
Il quadro normativo

L'art. 3 dell'ultimo decreto-legge “milleproroghe” - il d.l. 29 dicembre 2022, n. 198 (“Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi”) - dispone (sotto la rubrica “Proroga di termini in materia economica e finanziaria”), al comma 4, quanto segue: “All'articolo 3, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in materia di razionalizzazione del patrimonio pubblico e di riduzione dei costi per locazioni passive, le parole: ‘2021' e ‘2022' sono sostituite dalle seguenti ‘2021, 2022 e 2023' ”. Per comprendere la portata della disposizione va ricordato che il d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (“disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”) conteneva, al suo art. 3, alcune norme concernenti le locazioni stipulate dallo Stato e dagli altri enti pubblici quali conduttori. In particolare, il comma 1 dell'art. 3 prevedeva che, “in considerazione dell'eccezionalità della situazione economica e tenuto conto delle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, per gli anni 2012, 2013 e 2014, l'aggiornamento relativo alla variazione degli indici ISTAT, previsto dalla normativa vigente non si applica al canone dovuto dalle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istat ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché dalle Autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) per l'utilizzo in locazione passiva di immobili per finalità istituzionali”.

La disposizione ora ricordata era stata poi mantenuta in vita - attraverso le previsioni dei decreti “milleproroghe” intervenuti negli anni successivi - fino all'anno 2022. Con la nuova norma, si è prevista la protrazione ulteriore - anche per l'anno 2023 - del divieto di applicazione dell'aggiornamento dei canoni per le locazioni che vedano quali conduttori lo Stato e gli altri enti pubblici individuati dalla norma anzidetta.

Esamineremo brevemente qui di seguito la norma oggetto della disposizione di proroga considerandone la portata, il significato ed il suo effetto sul piano generale.

L'àmbito di applicazione della norma oggetto della disposizione di proroga

La norma oggetto della disposizione di proroga prevede che per un certo numero di anni (che con l'odierna proroga vengono a comprendere anche l'anno 2023) non si applichi l'“aggiornamento relativo alla variazione degli indici Istat previsto dalla normativa vigente”. Che cosa significa questa previsione?
Ove si prendesse in considerazione in modo rigoroso l'espressione letterale usata (“l'aggiornamento … previsto dalla normativa vigente”) potrebbe apparire dubbio che essa concernesse l'aggiornamento del canone cui è dedicato l'art. 32, l. n. 392/1978.
Infatti, l'aggiornamento del quale parla la norma che ora si è citata non è propriamente “previsto” dalla norma, ma è piuttosto “previsto” dalle parti del contratto di locazione ed è solamente “consentito” (e cioè “permesso”) dalla norma indicata. Si consideri il testo dell'art. 32: “Le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira.
Le variazioni in aumento, per i contratti stipulati per durata non superiore a quella di cui all'art. 27, non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati”. Come si vede, ciò che si prevede è che le parti possano concordare la previsione dell'aggiornamento del canone: non si prevede invece che l'aggiornamento sia dovuto o che esso sia applicabile per legge.
L'intervento della legge - con riguardo alla clausola contrattuale di aggiornamento del canone - è diretto solamente ad attribuire una facoltà alle parti: saranno queste - e non la legge - che “prevederanno” l'aggiornamento.
Queste considerazioni potrebbero condurre a dubitare che la norma che stiamo esaminando riguardi l'ipotesi dell'aggiornamento del canone consentito dall'art. 32 sopra citato.
Vi è da dire, però, che una lettura della norma che fosse attenta alla sostanza delle questioni e non guardasse solo alla lettera della norma dovrebbe condurre ad una conclusione opposta a quella ora indicata:
pare evidente, infatti, che la norma - ove si ritenesse che essa non considerasse l'aggiornamento del canone di cui all'art. 32, l. n. 392/1978 - sarebbe norma inutile e priva della possibilità di applicazione.
Proprio perché deve ritenersi che la norma debba avere un significato, deve concludersi che essa intenda fare riferimento (pur con modalità di richiamo non chiare) all'aggiornamento anzidetto. Deve, poi, aggiungersi - considerando la cosa sotto altro profilo - che dal fatto che la norma vieti che l'aggiornamento del canone possa operare con decorrenza da una certa data (e cioè dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 95/2012) si ricava che la norma è destinata a trovare applicazione non solo nei confronti dei contratti (stipulati con i particolari conduttori individuati dalla norma stessa) che fossero già in corso alla data anzidetta, ma anche nei confronti di tutti i contratti che fossero stipulati con i conduttori della natura indicata pur successivamente a tale data.

L'aggiornamento del canone considerato dalla norma
La norma - come si è visto - dispone che non abbia applicazione “l'aggiornamento relativo alla variazione degli indici ISTAT”. Ciò che emerge chiaro dunque è che il divieto sancito dalla norma concerne esclusivamente l'aggiornamento del canone.Restano certamente al di fuori del campo di applicazione della norma tutte le ipotesi di aumento o di incremento del canone che siano diverse dall'ipotesi dell'aggiornamento.Al proposito, è opportuno ricordare che da tempo la Cassazione è giunta ad affemare la piena legittimità delle pattuizioni che concernano la fissazione di canoni differenziati e crescenti nel corso del contratto di locazione ed anche la fissazione nel corso del contratto di aumenti del canone.Si è affermato, infatti, che, alla stregua del principio generale della libera determinazione del canone locativo per gli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, devono ritenersi legittimi tanto il patto con il quale le parti, all'atto della conclusione del contratto, predeterminino il canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, quanto il patto successivo con il quale le parti provvedano consensualmente, nel corso del rapporto, a stabilire una misura del canone diversa da quella originariamente stabilita: la legittimità di tali patti (iniziali e successivi) deve essere esclusa solamente laddove risulti (dal testo del patto o da elementi extratestuali) che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32, l. n. 392/1978 incorrendo così nella sanzione di nullità di cui all'art. 79 della stessa l. n. 392 (così Cass. civ., sez. III, 12 novembre 2021, n. 33884; Cass. civ., sez. III, 21 giugno 2017, n. 15348; Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909).Da aggiungere che si è affermato, in argomento, che i principi menzionati trovano applicazione senza che il locatore debba dimostrare il collegamento del previsto aumento nel tempo del canone a elementi oggettivi e predeterminati, diversi dalla svalutazione monetaria, idonei a incidere sul sinallagma contrattuale. L'ancoramento a tali elementi costituisce infatti legittima modalità attraverso cui può operarsi detta prede-terminazione a scaletta, ma in al¬ternativa a tale modalità può altrettanto legittimamente operarsi sia con la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna fra¬zione di tempo, sia con il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione (così Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2019, n. 23986). Tornando alla norma oggetto della disposizione di proroga - norma che, come si è visto, fa espresso ed esclusivo richiamo al meccanismo di aggiornamento del canone - deve ritenersi dunque, alla luce di quanto detto, che la sua previsione concerna solamente l'aggiornamento del canone mentre le diverse fattispe-cie sopra indicate (previsione di canoni scalettati; accordi circa veri e propri aumenti del canone) resteranno estra¬nee al suo ambito di applicazione e per esse non discenderà dalla norma alcun divieto di applicazione.
L'operatività concreta della norma
La norma - come si è visto - dispone che “l'aggiornamento relativo alla variazione degli indici ISTAT, previsto dalla normativa vigente non si applica al canone …”.Vi è da chiedersi come operi in chiave applicativa e concreta questa previsione.
Le modalità di disapplicazione della clausola contrattuale di aggiornamento
Va notato innanzitutto che ciò che si dispone è la non applicabilità dell'aggiornamento. Il che significa - sul piano concreto – che, ove il locatore richieda l'applicazione dell'aggiornamento, il conduttore ente pubblico potrà legittimamente rifiutarsi di applicare l'aggiornamento e potrà pertanto limitarsi a pagare il canone nella misura corrispondente al solo canone originario (eventualmente incrementato degli aggiornamenti maturati nel periodo precedente la data di entrata in vigore del d.l. n. 95/2012) al netto degli importi corrispondenti al (non dovuto) aggiornamento del canone.Da notare che perché la previsione di non applicabilità dell'aggiornamento operi non è necessaria nel caso alcuna specifica attività né da parte del locatore né da parte del conduttore. Ciò differenzia l'ipotesi che qui si considera da quella della sospensione dell'applicazione dell'aggiornamento Istat del canone disegnata dal comma 11 dell'art. 3, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 in tema di cedolare secca (norma che prevede che, “nel caso in cui il locatore opti per l'applicazione della cedolare secca, è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell'opzione, la facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'ISTAT dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell'anno precedente” e che “l'opzione non ha effetto se di essa il locatore non ha dato preventiva comunicazione al conduttore con lettera raccomandata, con la quale rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone a qualsiasi titolo”). Come si vede, nel caso della cedolare secca viene imposta al locatore una espressa dichiarazione di rinuncia alla richiesta dell'aggiornamento del canone. La disposizione oggetto dell'odierna previsione di proroga pare piuttosto ricalcare quella dell'art. 1 della l. 25 luglio 1984, n. 377 che, in epoca oramai remota - in tema di equo canone per le locazioni abitative - aveva disposto che, “per gli immobili adibiti ad uso di abitazione, l'aggiornamento del canone di locazione di cui all'articolo 24 della legge 27 luglio 1978, n. 392, relativo al 1984, non si applica”. Si noti che anche in quel caso - come nel caso presente - per l'operatività della disposizione che aveva sancito la non applicazione dell'aggiornamento non era richiesta alcuna attività o alcun adempimento.
Il periodo che la norma considera
Da osservare poi che si dispone il divieto di applicazione degli aggiornamenti per gli anni dal 2012 al 2023. Ciò sembra significare che l'aggiornamento che non sarà dovuto sarà quello corrispondente alla variazione degli indici Istat che si sia - e che si sarà - verificata negli anni indicati. Si tratta di un aspetto che sul piano concreto presenta evidente importanza. Si noti, peraltro, che ciò che conta - ai fini dell'esclusione dell'applicazione - è il periodo durante il quale sia maturata la variazione degli indici Istat, periodo che viene individuato dalla norma con il richiamo a determinati anni solari. Per meglio comprendere l'osservazione può essere opportuno un esempio.Si consideri dunque un contratto di locazione che sia stato stipulato con decorrenza dall'ottobre dell'anno 2011, contratto nel quale sia presente la clausola di aggiornamento Istat annuale del canone. Sembra che l'applicazione della disposizione che stiamo considerando (che è entrata in vigore nel luglio del 2012) comporti che - rispetto a tale contratto - non sia affatto escluso che l'aggiornamento che - in base alla clausola contrattuale - avrebbe potuto essere richiesto dal locatore con effetto dal 1° ottobre 2012 potesse essere effettivamente e comunque richiesto: ma tale richiesta, in base alla previsione della norma, avrebbe potuto avere effetto solo quanto all'aggiornamento del canone nella misura corrispondente alla variazione degli Indici Istat verificatasi nel periodo 1 ottobre-31 dicembre 2011 (periodo diverso ed estraneo al periodo - gli anni 2012, 2013 e 2014 - indicato dalla norma originaria). Da aggiungere che, solo dopo l'aggiornamento (parziale) richiedibile nell'anno 2012 e del quale ora si è detto, non sarebbe stato invece - in applicazione della norma - più richiedibile da parte del locatore alcun ulteriore aggiornamento fino all'anno 2024. Si noti che la considerazione che si è operata con l'esempio ora formulato può presentare considerevole importanza: essa infatti conduce a ritenere che nel caso considerato per tutto il periodo successivo all'ottobre 2012 il canone dovuto dal conduttore non sarebbe stato il canone iniziale, ma sarebbe stato invece il canone corrispondente a quel (parziale) aggiornamento del quale si è detto, parziale aggiornamento che nel caso il locatore avrebbe potuto pretendere nell'anno 2012 pur dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 95.Ciò osservato con riguardo agli aggiornamenti del canone richiedibili nell'anno 2012, va detto che di contro non sembra che il medesimo ragionamento possa farsi con riguardo agli aggiornamenti del canone maturati e già applicati nella parte dell'anno 2012 che fosse già trascorsa alla data di entrata in vigore del d.l. n. 95. Un tanto deve affermarsi dal momento che ciò che dispone la norma è che a far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto non potessero applicarsi aggiornamenti.Anche in questo caso un esempio può essere utile per comprendere l'osservazione.Si ipotizzi dunque un contratto di locazione che fosse stato stipulato con decorrenza dal giugno 2011 e che contemplasse la clausola di aggiornamento Istat. Ove per tale contratto nel mese di giugno 2012 (dunque in una data antecedente quella di entrata in vigore del d.l. n. 95) il locatore avesse richiesto l'aggiornamento del canone nella misura corrispondente alla variazione dell'indice Istat per il periodo maggio 2011-maggio 2012, pare che - avendo tale aggiornamento del canone trovato la sua applicazione prima dell'entrata in vigore del d.l. n. 95 - non potrebbe dubitarsi del fatto che l'aggiornamento richiesto restasse pienamente dovuto anche dopo l'entrata in vigore del suddetto decreto (e ciò ancorché esso comprendesse una variazione Istat che fosse in parte - quanto al periodo gennaio-maggio 2012 - relativa all'anno 2012). Ciò dovrebbe ritenersi dal momento che la norma che stiamo esaminando ha previsto che l'aggiornamento non potesse applicarsi solo a far tempo dalla data di entrata in vigore del d.l. n. 95 (individuando dunque la data di entrata in vigore del decreto quale momento a partire dal quale gli aggiornamenti non avrebbero potuto richiedersi o comunque applicarsi), mentre nel caso che qui si ipotizza l'aggiornamento sarebbe stato richiesto ed avrebbe avuto applicazione in un momento precedente a tale data. Si noti che le osservazioni qui formulate hanno una portata assai ampia: infatti, esse riguardano tutti i contratti interessati dall'applicazione della norma che fossero già in corso alla data di entrata in vigore del d.l. n. 95/2012 e concernono la misura del canone dovuto per tali contratti per tutto il periodo avente decorrenza da tale data (e dunque anche la misura del canone attualmente dovuto per tali contratti).
Gli aggiornamenti futuri del canone
Altra osservazione che deve formularsi riguarda il futuro assetto delle vicende locatizie che siano interessate dalla norma.Vi è da chiedersi se una volta che sia cessata la vigenza della disposizione che stiamo considerando il locatore potrà pretendere che il canone dovuto per il periodo futuro successivo nel quale non sarà più vigente la disposizione in esame venga determinato considerando la variazione degli indici Istat che sia intervenuta mentre era in vigore la previsione di inapplicabilità della clausola di aggiornamento.Pare che la soluzione più corretta della questione consenta che per i canoni futuri si tenga conto anche della variazione degli indici Istat che si sia verificata nella pendenza della disposizione in commento: conclusione cui deve pervenirsi alla luce del principio secondo cui per l'aggiornamento Istat del canone delle locazioni deve utilizzarsi il criterio della variazione assoluta degli indici Istat. Al proposito, la Cassazione ha affermato che “con riguardo alla locazione di immobili destinati ad uso non abitativo per l'aggiornamento del canone di locazione, dovuto solo se pattuito e dal mese successivo alla richiesta … l'art. 32, l. n. 392/1978, come modificato dall'art. 1, l. n. 118/1985, pone come dato sul quale operare annualmente l'aggiornamento il canone iniziale, con le conseguenze che a tale canone di partenza occorre fare riferimento in occasione degli aggiornamenti annuali, considerando unitariamente la variazione verificatasi per tutto il periodo considerato e che, ai soli fini di questo calcolo, è ininfluente che per qualche annualità intermedia non sia stato richiesto in precedenza l'aggiornamento, in quanto detta mancata richiesta impedisce solo l'accoglimento della domanda degli aggiornamenti pregressi (c.d. arretrati)” (così Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2004, n. 15034; nello stesso senso, v. Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2006, n. 23836; Trib. Roma 4 ottobre 2012; Trib. Firenze 22 marzo 2000).Alla luce di questi principi, pare evidente che anche le variazioni degli indici Istat che si siano verificate nella vigenza della disposizione di inapplicabilità dell'aggiornamento dovranno essere considerate ai fini della determinazione della misura del canone che sarà dovuto per il periodo futuro successivo alla scadenza della disposizione di inapplicabilità. Nel caso in cui, invece, il contratto di locazione fosse cessato prima della scadenza della vigenza della norma nulla potrà essere recuperato dal locatore - nem¬meno dopo la cessazione della vigenza delle proroghe del d.l. n. 95 - per gli aggiornamenti del canone che sarebbero maturati medio tempore ma che non hanno trovato applicazione in conseguenza della regola fissata dalla norma che stiamo esaminando.

Gli aspetti problematici
Lo squilibrio nella locazione che deriva dal divieto di aggiornamentoIn primo luogo, si nota come - anche a prescindere da ogni considerazione circa l'eventuale conflitto della norma con i principi costituzionali - il divieto di aggiornamento del canone crei (o comunque mantenga) una situazione di squilibrio nel contratto di locazione.Si consideri che l'aggiornamento del canone è una misura volta al mantenimento dell'equi¬librio nel rapporto tra le prestazioni che le parti avevano fissato al momento della stipulazione del contratto. Anche la giurisprudenza ha sempre affermato che l'aggiornamento del canone è quel meccanismo “che, con costante precisione terminologica, il legislatore utilizza per individuare il fenomeno del mantenimento (almeno tendenziale) del valore reale della prestazione del conduttore - incidente sull'equilibrio del sinallagma - nonostante la variabilità della sua espressione mo¬netaria in dipendenza della flessione nel tempo del potere di acquisto della lira” (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909). Con l'applicazione dell'aggiornamento non viene modificato, dunque, il rapporto anzidetto ma invece - all'opposto - esso viene mantenuto. E', invece, la non applicazione dell'aggiornamento che rende vieppiù squilibrato il rapporto tra le prestazioni delle parti allontanando il contenuto economico del contratto da ciò che le parti avevano originariamente pattuito.Considerando la cosa sotto un altro punto di vista, va notato come il blocco disposto dalla norma ora prorogata si ponga in posizione di piena contraddizione anche nei confronti delle affermazioni e degli argomenti che sono recentemente emersi circa gli effetti sui contratti di locazione delle “sopravvenienze” derivate dall'emergenza da pandemia da Covid-19: argomenti che hanno condotto grande parte della giurisprudenza e della dottrina ad affermare la necessità del mantenimento - attraverso l'applicazione di strumenti pur differenziati o attraverso il percorso di strade pur diverse a seconda delle diverse opinioni - dell'equilibrio tra le prestazioni originariamente pattuite dalle parti del contratto di locazione. Il blocco dell'aggiornamento del canone previsto dalla norma che stiamo considerando va proprio nella direzione opposta.
Il peso concreto dello squilibrio
Da osservare poi che il sacrificio della posizione del locatore in conseguenza del divieto dell'aggiornamento del canone viene ad avere oggi - a seguito del suo mantenimento per ben dodici anni e del conseguente suo progressivo aumento - un peso che obiettivamente presenta oramai un rilievo considerevole.Si noti che sulla base dei dati pubblicati dall'Istat la percentuale dell'aumento degli indici del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati nel periodo compreso tra il gennaio 2012 ed il novembre 2022 (mese questo al quale si riferisce l'ultimo dato Istat che al momento è noto) è stato del 20,9%.Da segnalare che tale percentuale nei tempi più recenti è aumentata sempre più rapidamente ed in misura crescente: proprio nell'ultimo anno l'aumento anzidetto è risultato assai più elevato che negli anni precedenti (la variazione Istat novembre 2021 - novembre 2022 è risultato di oltre l'11%).
Gli effetti negativi del divieto per il conduttore
Va notato, poi, come il divieto di aggiornamento del canone protratto per molti anni abbia finito per dare luogo - e nel futuro certamente potrà dare luogo in misura ancora più rilevante - ad effetti che, sul piano della sostanza, costituiscono un pregiudizio anche per lo stesso conduttore. Ciò quantomeno sotto due profili. • Da un lato, perché la situazione determinata dalla norma in esame (situazione che progressivamente riduce sul piano del valore sostanziale il canone della locazione) ha avuto - ed avrà necessariamente nel futuro - quale effetto la spinta per il locatore a disdettare il contratto alla sua scadenza, il che costituisce all'evidenza un aspetto di pregiudizio per il conduttore.• Dall'altro lato, perché il fatto che per molti anni sia stato disposto il divieto di aggiornamento - ed il fatto che questo divieto perduri e che non si sappia quando nel futuro cesserà - ha avuto (ed avrà nel futuro) quale effetto una generale minore disponibilità dei proprietari a locare i propri immobili agli enti pubblici: il che costituisce all'evidenza ulteriore aspetto negativo in pregiudizio degli enti pubblici che cerchino di reperire immobili in locazione. Sono aspetti - quelli ora segnalati - che consentono di riconoscere la miopia della scelta adottata con la disposizione che stiamo esaminando.
I quesiti circa la costituzionalità della norma
Da ultimo, sembra opportuno interrogarsi anche circa la compatibilità con i principi costituzionali della disposizione di proroga della norma che inibisce l'aggiornamento del canone per le locazioni della specie considerata.Al proposito, va segnalato innanzitutto che sul piano della ragionevolezza appare davvero incongruente il richiamo alla affermata “considerazione dell'eccezionalità della situazione economica”, elemento che nelle premesse della norma viene appunto indicato quale giustificazione di una misura che invece mantiene (peraltro con modalità sempre invariate) addirittura da dodici anni una condizione di progressivo e crescente squilibrio nel rapporto tra le parti del contratto di locazione. Pur non potendosi qui approfondire il tema in ragione della brevità delle presenti note pare opportuno poi ricordare in argomento come, con la recente sentenza n. 213 dell'11 novembre 2021, la Corte Costituzionale - esaminando la normativa che ha prorogato la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti rilascio degli immobili in pendenza dell'emergenza da Covid-19 - abbia sottolineato la necessità - ai fini della conformità delle norme alla Costituzione (ed in particolare all'art. 3 Cost.) - del progressivo adattamento delle misure (anche in quel caso, di sacrificio della posizione del locatore) atte a porre rimedio alle situazioni derivate dall'emergenza. Al riguardo, la Corte ha affermato - e l'affermazione costituisce l'elemento chiave per la soluzione che essa ha dato alla questione esaminata - che “la significativa estensione temporale dell'emergenza rendeva … necessario il progressivo adattamento delle misure apprestate per fronteggiarla, in modo da tenere nel debito conto la concreta evoluzione della situazione epidemiologica e assicurare sempre la proporzionalità delle misure medesime rispetto a tale situazione”.
Conclusioni
È appunto il progressivo adattamento delle previsioni in tema di sospensione (in quel caso, di sospensione dell'esecuzione degli sfratti) che sarebbe stato assolutamente necessario - secondo la Corte - per rendere legittima la disciplina esa¬minata. Tale adattamento - è stato affermato dalla sentenza - avrebbe dovuto operarsi sulla base della considerazione dell'evolversi della situazione dell'epidemia e della proporzionalità tra le misure volte alla sospensione e la situazione sulla quale queste erano destinate ad intervenire. Orbene, proprio queste considerazioni potrebbero portare a dubitare della legittimità di una proroga - quale quella prevista dalla norma ora emanata - di una disposizione di inapplicabilità dell'aggiornamento del canone che sia mantenuta in modo assolutamente identico e riprodotta senza alcuna modificazione e senza alcun affinamento addirittura da dodici anni!
Conclusione

Cuffaro, Le clausole di determinazione del canone nelle locazioni ad uso diverso dall'abitazione, in Corr. giur., 2017, 310;

Scalettaris, Locazioni stipulate dalla Pubblica Amministrazione, in Giust. civ., 1991, II, 293;

Spaziani Testa, L'eccezionalità dura da 11 anni, in Italia oggi, 7 gennaio 2022.

Sommario