La Riforma dello sport e del lavoro sportivo: la vicenda normativa più combattuta degli ultimi anni

Jacopo Ierussi
24 Gennaio 2023

L'ordinamento sportivo è stato oggetto di rinnovata attenzione legislativa, da ultimo, con l'avvento del cd. «Decreto Correttivo» (d.lgs. n. 163/2022), che ha avuto come obiettivo principale quello di integrare e modificare talune disposizioni del d.lgs. n. 36/2021.
Il travagliato iter normativo della Riforma dello sport

Dopo un lungo e travagliato iter (inficiato anche dalla caduta del Governo “Draghi”), è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 256 del 2 novembre 2022 il Decreto Legislativo n. 163 del 5 ottobre 2022, c.d. Decreto “Correttivo” della riforma del lavoro sportivo (già approvato dal Consiglio dei Ministri, in esame preliminare, lo scorso 7 luglio 2022 e, in via definitiva, il 28 settembre 2022), entrato in vigore il successivo 17 novembre 2022 e recante “Disposizioni integrative e correttive del Decreto Legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, in attuazione dell'articolo 5 della Legge 8 agosto 2019, n. 86, recante riordino e riforma delle disposizione in materia di Enti sportivi professionistici nonché di lavoro sportivo”.

Verso il superamento delle criticità del lavoro sportivo

Il Decreto “Correttivo”, proposto e promosso direttamente dall'allora Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, integra e corregge talune disposizioni del Decreto Legislativo di riforma dell'ordinamento sportivo (i.e. D.Lgs. n. 36 del 28 febbraio 2021), nell'ottica di superarne le criticità prima della sua entrata in vigore (prevista inizialmente a decorrere dal 1° gennaio 2023 e differita al 1° luglio 2023 con l'art. 16 del recente Decreto Milleproroghe n. 198 del 29 dicembre 2022).

Criticità tra le quali, per citarne alcune in maniera neutrale e “relata refero”, è stato rilevato dal comparto: (i) la riduzione degli sgravi per le Co.Co.Co. e, più di preciso, l'abbassamento della soglia della “no tax area” che è stata rideterminata a causa di una sua flessibilità negativa così da impedire situazioni di lavoro “simulato”, privo di tutele ed a cui non si applicano né ritenute previdenziali né fiscali; (ii) l'assenza di interventi mirati per la rendicontazione contabile degli enti sportivi e, al contempo, le complicazioni insorte rispetto all'entrata in vigore del cd. “RAS” (i.e. Registro delle Attività Sportive Dilettantistiche); (iii) l'abolizione del vincolo sportivo per le società che, nel bene o nel male, determina la fine di un'era per il nostro Paese (si aggiunga a ciò, nell'ambito di una disciplina transitoria stabilita dal Decreto Milleproroghe di non semplice attuazione sotto il profilo amministrativo e competitivo); (iv) il mancato stanziamento di fondi adeguati a sostenere “economicamente” la Riforma de qua da parte del Legislatore.

Come anzidetto, il quadro poc'anzi illustrato ha spinto il Legislatore a rinviare l'entrata in vigore della Riforma, rendendo opportuno questo contributo al fine di riprendere le fila di un processo normativo che, come evidenziato nel titolo, è stato quantomai turbolento.

Fatta questa doverosa premessa, di seguito si riportano in maniera analitica le novità di maggiore interesse.

Le principali modifiche apportate al Decreto di riforma dell'ordinamento sportivo (D.Lgs. n. 36/2021) dal cd. Decreto “correttivo” (D.Lgs. n. 163/2022)

Di rilavante portata, in un'ottica giuslavoristicamente orientata, risultano le novità relative alle attività sportive sia professionistiche sia dilettantistiche, nonché quelle attinenti all'inquadramento della figura del cd. “lavoratore sportivo”.

Con riferimento a tale ultimo aspetto, infatti, al fine di includere anche nuove figure di lavoratori, necessarie e strumentali allo svolgimento delle attività sportive, si evidenzia che il Decreto “Correttivo” ha ampliato la nozione di “lavoratore sportivo”, che, secondo la modifica apportata, ricomprende anche ogni lavoratore tesserato che svolge, verso un corrispettivo, le mansioni rientranti tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva (sulla scorta dei regolamenti dei singoli Enti affilianti), con esclusione di quelle aventi carattere amministrativo-gestionale (cfr. art. 25, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2021, come modificato dall'art. 13, comma 1, lett. a) del Decreto “Correttivo”).

Quanto all'attività professionistica, la modifica di rilievo apportata all'art. 30, comma 1, del D.Lgs. n. 36/2021 dal predetto Decreto “Correttivo” – e, in particolare, dall'art. 18, comma 1 – consiste nell'introduzione della possibilità di utilizzo, da parte delle società professionistiche, di contratti di apprendistato (ossia quelli: (i) per la qualifica ed il diploma professionale; (ii) per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore; (iii) di alta formazione e di ricerca; tutti disciplinati ex artt. 43-45, D.Lgs. n. 81/2015).

È notorio che l'istituto dell'apprendistato è destinato principalmente al lavoro giovanile e ad incentivare l'occupazione a partire dalla scuola secondaria.

A quanto appena riportato si aggiunga, inoltre, che per le stesse società del settore professionistico, nell'ipotesi di fatturato inferiore a determinate soglie (5 milioni di euro relativamente alla stagione precedente), è prevista un'agevolazione fiscale con riferimento ai contratti sottoscritti dai giovani atleti di età inferiore a 23 anni (art. 36, comma 6-ter del D.Lgs. n. 36/2021, introdotto dall'art. 24, comma 1, lett. c) del Decreto “Correttivo”).

D'altro canto era auspicabile quanto prevedibile una giusta attenzione alle fasce d'età più basse da parte della Riforma, considerato anche che il mondo dello sport ha un suo peso nel PIL italiano.

Ciò posto, i principali interventi modificativi e correttivi del testo in esame sono stati apportati nell'area del dilettantantismo, che, attraverso l'intervento del Decreto “Correttivo”, comprende anche le società cooperative, nonché gli enti del terzo settore ex D.Lgs. n. 117/2017 che svolgono attività sportiva, indipendentemente dalla loro natura giuridica.

L'importante è che a livello statutario emerga che l'attività sportiva relativa al lavoro dilettantistico venga svolta in via principale (e, d'altronde, non si vede come potrebbe essere diversamente).

Ed invero, in primo luogo, si segnala che, in tale ambito, vengono precisati i presupposti per l'instaurazione di rapporti di lavoro sportivo parasubordinato, nelle forme della Collaborazione Coordinata e Continuativa (cd. Co.Co.Co.), avente prevalente interesse per il comparto poiché molto invalsa sul piano negoziale.

Sul punto, in particolare, è opportuno portare l'attenzione di chi legge sull'art. 16 del predetto Decreto che, sostituendo integralmente l'art. 28 del D.Lgs. n. 36/2021, introduce una presunzione di lavoro autonomo, nella forma di collaborazione coordinata e continuativa, se le prestazioni, pur avendo carattere continuativo, non abbiano una durata superiore alle 18 ore settimanali, escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive, e risultino coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva.

Novità in ambito previdenziale e fiscale

Con riferimento ai profili previdenziali relativi all'area del dilettantismo e alle Co.Co.Co., la novità principale sul piano pratico si rinviene nell'obbligo di versamento dei contributi previdenziali per la parte eccedente l'importo di euro 5.000,00 del compenso (rispetto alla precedente soglia di euro 10.000,00).

L'art. 23 dello Decreto “Correttivo”, sul punto, modificando l'art. 35 del D.Lgs. n. 36/2021, prevede l'applicazione di un'aliquota del 24% per i lavoratori sportivi, titolari di contratti di Co.Co.Co., iscritti alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, della L. n. 335/1995 (c.d. “Riforma Dini”) e che risultino assicurati presso altre forme obbligatorie, mentre del 25%, oltre le aliquote aggiuntive in vigore, per coloro che non risultino assicurati presso altre forme obbligatorie; ferme le aliquote aggiuntive che si applicano per i lavoratori che svolgono prestazioni autonome ed iscritti alla Gestione Separata INPS (art. 53, comma 1, TUIR).

Ciò posto, si ribadisce per mero scrupolo che le ritenute previdenziali di cui sopra troveranno applicazione solamente per quanto concerne la parte di compenso eccedente la sopramenzionata soglia di euro 5.000,00 annui.

Ai fini previdenziali, dunque, la suddetta soglia è stata difatti dimezzata come già anticipato in precedenza, il che può logicamente essere visto come un vantaggio per il futuro pensionistico dei lavoratori parasubordinati in questione, ma soltanto laddove i committenti non abbiano fatto - e non facciano tuttora - affidamento sulla previgente no tax area ai fini della determinazione del costo del lavoro nelle proprie infrastrutture sportive e, perciò, oggi non stiano considerando di far ricadere, nell'ambito del possibile, tale onere indirettamente sui “presunti” beneficiari.

Di precipuo interesse e, perciò, da far presente all'interprete è che, secondo quanto previsto dal Decreto “Correttivo”, sino al 31 dicembre 2027, è in vigore una riduzione del 50% delle aliquote, con equivalente riduzione dell'imponibile contributivo e conseguentemente delle relative prestazioni pensionistiche. Per evitare abusi, sono esclusi dal recupero contributivo i rapporti di lavoro sportivo iniziati prima del termine di decorrenza del Decreto “Correttivo”.

È di solare evidenza la volontà del Legislatore di ricorrere all'agevolazione prevista sino al 2027 al fine di rendere più accessibile la Riforma agli operatori del settore che, sinora, l'hanno parzialmente maldigerita sotto questo aspetto, al pari dell'ulteriore agevolazione sul piano fiscale che si sta per illustrare.

Ed invero, per quanto attiene ai profili fiscali, il seguente art. 24 del Decreto “Correttivo”, di modifica dell'art. 36 del D.Lgs. n. 36/2021, stabilisce che, nell'area del dilettantismo, i compensi di lavoro sportivo sino all'importo complessivo annuo di euro 15.000,00 non sono soggetti ad alcuna forma di imposizione fiscale (analogamente a quanto previsto dalla disciplina odiernamente vigente, ma sino alla soglia di euro 10.000,00). Ai fini della determinazione del reddito del percipiente si terrà conto soltanto di quanto eccede il suddetto importo. All'atto del pagamento, il lavoratore sportivo dovrà rilasciare apposita autocertificazione, attestante l'ammontare dei compensi percepiti per le prestazioni sportive dilettantistiche rese nell'anno solare di riferimento.

Si noti, altresì, che non assume natura retributiva l'importo erogato ai lavoratori sportivi a titolo di premio, che, pertanto, è considerato in relazione al raggiungimento di risultati sportivi e non all'attività svolta.

Il “terzo settore” e la figura del volontario

Tra le altre novità apportate al D.Lgs. n. 36/2021, si evidenzia che, altresì, viene identificata la figura del volontario, che dal punto di vista strettamente terminologico, sostituisce la figura del cd. “amatore”. Sul punto, l'art. 17 del Decreto “Correttivo”, di modifica dell'art. 29 del D.Lgs. n. 36/2021, specifica che l'attività sportiva dilettantistica svolta dal volontario non è retribuita, neppure da parte del beneficiario della stessa (l'essenziale gratuità del volontariato era già stata resa granitica dal cd. “Codice del Terzo Settore” che la vuole sancita anche a livello statutario).

Diversamente, per la medesima prestazione esercitata, il volontario può ottenere un rimborso esclusivamente per le spese vive sostenute e documentate; circostanza quest'ultima da dover provare inevitabilmente essendo ormai obbligatorio per gli enti operanti nel cd. Terzo Settore ed iscritti al RUNTS (i.e. Registro Unico Nazionale Terzo Settore) depositare i bilanci e la documentazione a corredo con un conseguente effetto deflattivo su tutti gli aspetti di elusione che, ad oggi, sono stati maggiormente registrati dalle forze dell'ordine e tra cui spiccano proprio i meccanismi di rimborso (integralmente esentasse ex TUIR).

Sempre in merito a tale ultimo argomento, ci si chiede la motivazione per cui il Legislatore abbia citato espressamente all'art. 29 di cui sopra le indennità di trasferta quasi a volergli dare una connotazione preferenziale di cui, però, non v'è traccia o applicazione concreta.

Prima di passare ai profili societari della Riforma e chiudere con quanto inerisce tanto il lavoratore quanto il datore, ossia le novità in materia del cd. “vincolo sportivo”, si dirà come resti fermo il carattere ibrido della figura del volontario nel contesto sportivo, plausibilmente ancora influenzato dagli strascichi dell'istituto dell'amatore, come comprovato dall'istituzione di un duplice registro, da una parte, per i volontari e, dall'altra, per i cd. aiutanti occasionali.

I profili societari della riforma

Passando oltre, è quantomai opportuno segnalare che le c.d. “SSD” (Società Sportive Dilettantistiche), istituto societario vittima di un “odi et amo” del Legislatore, potranno prevedere la distribuzione fino al 50% degli utili prodotti e degli avanzi di gestione annuali, mentre, per gli enti dilettantistici costituiti nella forma di società di capitali che gestiscono palestre, piscine o impianti sportivi, in qualità di proprietari, conduttori o concessionari, il Decreto “Correttivo” stabilisce che la quota degli utili da poter redistribuire è innalzata sino all'80% di quelli prodotti, al fine di incoraggiare l'attività di avviamento e di promozione dello sport e delle attività motorie (art. 8 del D.Lgs. n. 36/2021, come modificato dall'art. 3 del Decreto “Correttivo”).

La ratio legis è quella di dare un'impronta più imprenditoriale al mondo dello sport italiano, tant'è che la quasi totale cancellazione del divieto di ridistribuzione degli utili riguarderà le entrate determinate da attività quali la ristorazione, il merchandising et similia, così da poter sostenere in termini finanziari i “nuovi” costi dovuti dalla Riforma per i compensi di istruttori, tecnici e sportivi dilettanti.

Se tale nuova prospettiva sia un bene o un male per un paese che, ad oggi, vanta un medagliere degno di nota e molti successi/traguardi sportivi nella propria teca ce lo potrà dire soltanto il tempo.

Gli adempimenti amministrativi: il cd. “RAS” (registro delle attività sportive dilettantistiche)

Ed ancora, sul piano degli adempimenti amministrativi, risulta essere di precipuo interesse la costituzione, a decorrere dal 31 agosto scorso, del cd. “RAS” (i.e. Registro delle Attività Sportive Dilettantistiche), con cui vengono certificati, nonché regolati, con modalità telematiche, gli adempimenti connessi alla costituzione dei rapporti di lavoro sportivo, anche di natura previdenziale ed assistenziale, con l'obiettivo di ridurre i costi a carico di associazioni e società.

In particolare, nel predetto Registro, la cui istituzione è disciplinata dall'art. 4 del Decreto n. 36/2021, sono iscritte tutte le società e associazioni sportive dilettantistiche che svolgono attività sportiva, compresa l'attività didattica e formativa, operanti nell'ambito di una Federazione sportiva nazionale, Disciplina sportiva associata o di un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Sono altresì iscritte, in una sezione speciale, le società e associazioni sportive riconosciute dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP).

Il valore pregnante del RAS può essere però rivenuto nella prerogativa del suddetto registro di “certifica(re) la natura dilettantistica di società e associazioni sportive, per tutti gli effetti che l'ordinamento ricollega a tale qualifica nonché, per l'appunto, di conferire personalità giuridica alle associazioni ivi iscritte, presentendo l'istanza di riconoscimento senza nessun requisito economico-finanziario, sino ad oggi necessario innanzi alla Prefettura territorialmente competente.

Un' incertezza da chiarire rispetto al RAS ha riguardato e, in parte, riguarda tuttora il suo connubio operativo con il Registro CONI. Il ricorso a quest'ultimo, infatti, è stato obbligatorio sino al 31 agosto scorso quando è stato formalmente sostituito dal RAS la cui tenuta è affidata al Dipartimento per lo sport, incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e per suo tramite a Sport e Salute S.p.A. (ex Coni Servizi S.p.A.). Il Decreto “Correttivo” è intervenuto allo scopo di “amalgamarli”, ma senza buon esito considerato che è sorto nelle more l'orientamento secondo cui l'iscrizione al RAS avesse puramente finalità di accesso alle agevolazioni fiscali-contributive del TUIR per il comparto mentre il Registro CONI quello di consentire la pratica sportiva sul piano istituzionale, dando vita ad un'impasse o querelle politico-sportivo che non trova però spazio in questa sede.

Ciò che ci preme sottolineare è che, ai due registri poc'anzi citati, è comunque necessario aggiungere l'iscrizione al RUNTS, a riprova di come la miglior volontà del Legislatore di semplificare i processi burocratici nel contesto nostrano continui ad avere ricadute potenzialmente fallimentari.

L'abolizione dell'istituto del vincolo sportivo

Come anticipato, l'ultimo tema di trattazione prima di procedere con la personale analisi di chi scrive, riguarda l'istituto del cd. “vincolo sportivo” che tiene banco nel diritto dello sport sin dai tempi della nota “sentenza Bosman” (i.e. C-415/93, Corte di Giustizia Europea, 15 dicembre 1995), ossia quella che ne ha determinato in Italia l'abolizione per i professionisti con le successive disposizioni del D.L. n. 485 del 20 settembre 1996 (meglio conosciuto come “decreto Bosman”) che ha modificato l'art. 6 della L. n. 91/1981.

L'abrogazione del regime vincolo sportivo di cui all'art. 31 del D.Lgs. n. 36/2021 - da intendersi quale limitazione alla libertà contrattuale dell'atleta - se dapprima era prevista per il 1° luglio 2022, data poi provvisoriamente modificata al 1° gennaio 2023 dallo schema provvisorio di Decreto Correttivo dello scorso 7 luglio 2022 ed ancora al 31 luglio 2023 dall'approvazione definitiva dello stesso, viene ad oggi suddivisa in due ulteriori date distinte, secondo quanto previsto, da ultimo, dal sopramenzionato Decreto Milleproroghe da cui abbiamo preso le mosse per il presente articolo:

  • viene, infatti, anticipata al 1° luglio 2023 per i c.d. “nuovi tesseramenti”, ovvero per i tesseramenti operati per la prima volta a decorrere da tale data;
  • viene posticipata, diversamente, al 31 dicembre 2023, per i tesseramenti che costituiscono rinnovi, senza soluzione di continuità, di precedenti tesseramenti. Ciò significa che a far data dal 1° dicembre 2024 nessun rinnovo di tesseramento potrà essere operato in automatico senza il consenso dello sportivo interessato. Ciò comporterà, inevitabilmente che, per le discipline sportive che prevedono l'inizio della stagione sportiva – e, quindi, la decorrenza del tesseramento – dal 1° luglio di ciascun anno (dunque, la maggioranza degli sport di squadra) il rinvio dell'abrogazione del vincolo avrà effetto, per gli sportivi già tesserati, solamente a decorrere dal 1° luglio 2024.

Da diversi anni uno degli aspetti più controversi del mondo dello sport si radica proprio nella disciplina giuridico-fiscale del vincolo (anche detto “cartellino”). Il rinvio di oltre sei mesi per la sua abrogazione, se, da una parte, considerata la diversificazione delle date di decorrenza, desta indubbiamente perplessità e/o preoccupazioni sul piano applicativo, al contempo, dall'altra, potrebbe rispondere a diverse motivazioni ed avere molteplici giustificazioni.

La prima consisterebbe nella necessità di far coincidere la decorrenza della norma con l'inizio della stagione afferente buona parte degli sport di squadra, maggiormente coinvolti dalla abrogazione del vincolo (seppur limitatamente ai nuovi tesseramenti a fronte della modifica apportata dal Decreto Milleproroghe).

In secondo luogo, come la miglior dottrina ha avuto modo di argomentare, considerato il potenziale effetto negativo dell'abrogazione per innumerevoli club (che, a titolo esemplificativo, nella gestione di un'attività giovanile, si potrebbero trovare senza più atleti perché trasferitisi altrove), il suo slittamento in avanti consentirebbe alle Federazioni un termine indubbiamente più ampio per adottare una regolamentazione che possa in qualche modo supplirne il venir meno e, di conseguenza, eliminare l'effetto distorsivo della sua abolizione definitiva.

Vincitori e vinti della riforma dello sport e del lavoro sportivo

A parere di chi scrive, è difficile esprimere un giudizio rispetto ad una riforma talmente epocale da determinare punti di vista confliggenti tra gli operatori del settore, comunque, a loro modo, pur sempre validi e meritevoli di attenzione.

Ed invero, c'è chi vince e chi perde con la Riforma, ma questa è la regola “principe” propria dello sport e il tempo ha concesso a più riprese alle parti in causa di portare le loro istanze alla politica.

La riprova di tale ultimo assunto è nel Decreto Milleproroghe che ha posticipato l'entrata in vigore della Riforma e, in particolare, del vincolo sportivo, in linea con quanto richiesto da alcuni esponenti delle istituzioni del mondo dello sport, specie affinché il vincolo medesimo tenesse conto del meccanismo dell'annata sportiva e dell'imprescindibile tesseramento.

A nostro avviso, però, la ratio legis è senz'altro positiva, come non può non esserlo un allargamento e rafforzamento delle tutele per il mondo del lavoro (pur tenendo sempre conto, in modo costituzionalmente orientato [i.e. art. 41], di chi il lavoro lo dà e lo rende una certezza).

Prendiamo pur sempre le mosse da un contesto che ha visto il Legislatore dell'Emergenza o della Pandemia, che dir si voglia, avere difficoltà ad individuare i numeri effettivi dei lavoratori dello sport per intervenire con misure di sostegno al reddito.

Se si pensa alle collaborazioni coordinate e continuative, appare complesso fare stime rispetto ai dati che l'INPS ufficializzerà e che dimostreranno se l'intervento ha avuto esiti positivi o meno, bilanciando il piano economico del compenso odierno a quello pensionistico del domani dei lavoratori interessati dalla riduzione della no tax area.

A tutto voler concedere, non aiuta il contesto storico negativo determinato dalle difficoltà post Covid19 - che ha determinato la perdita di quasi un milione di tesserati nel biennio 2019-2020 - ed il “caro bollette” causato dal conflitto internazionale in corso. A conti fatti, è il caso di dirlo, i fattori di rischio per la Riforma sono molteplici, imprevisti nonché spesso paragiuridici, e potenzialmente si frappongono con quella che deve essere la sua mira essenziale, ovvero portare ai lavoratori sportivi tutele giuridiche e misure previdenziali e di assistenza in una cornice di sostenibilità che non comporti a cascata un depauperamento o, peggio, uno stato di crisi finanziaria per le società sportive in genere.

Uno stato dell'arte che sarebbe agevolato da un'assenza di conflittualità politica nel comparto, sennonché questa ipotesi appare sempre più un miraggio, mentre un fronte comune e compatto potrebbe garantire allo sport maggiori possibilità di ottenere nuovi stanziamenti in un periodo storico così delicato (e non ci si riferisce soltanto al siffatto quadro normativo qui oggetto di analisi).

La verità è che ogni riforma può e deve essere un bene, perché la stagnazione normativa è il peggior nemico del cittadino e del giurista, ma ogni intervento del Legislatore deve essere organico e tempestivo, altrimenti la sua risultante nel breve periodo è che finisca precipuamente con lo stimolare una coscienza critica così come avvenuto in casi analoghi da parte tanto della dottrina quanto della giurisprudenza (si veda il meccanismo delle cd. “tutele crescenti” introdotte dal Jobs Act, a poco a poco smantellate).

La morale esopopiana per gli autori è che bisogna accogliere il cambiamento, ma guidarlo di concerto e non ostacolarlo.

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