La regolamentazione fiscale delle cripto-attività nella Legge di bilancio. Luci ed ombre

Antonio Tomassini
24 Gennaio 2023

La legge di bilancio compie un salto in avanti nella regolamentazione fiscale delle cripto-attività inserendo le plusvalenze realizzate sulle stesse tra i redditi diversi di natura finanziaria tassati al 26 per cento. In parallelo viene introdotta una (a dir poco problematica) sanatoria del passato e la possibilità di affrancamento dei valori con il pagamento di una sostitutiva del 14%, in linea con quanto previsto sostanzialmente per tutte le altre attività finanziarie.
Premessa

La novella abbozza anche una definizione di cripto attività mutuata dal regolamento Micar [Market in Crypto asset COM593(2020)], tuttavia, trattasi di definizione generica (che infatti sta causando anche problematiche in sede di implementazione del Regolamento) e che, agli effetti fiscali (e non solo), lascia aperte numerose tematiche, vista la complessità del fenomeno.

In particolare, se la scelta operata dal legislatore, condivisibile o meno che sia, quieta in parte il dibattito sulle criptovalute detenute da persone fisiche non imprenditori, vi sono numerose questioni che ruotano attorno alle altre cripto-attività/token, diversissime dalle valute virtuali, come utility, non fungible (NFT) e altre che popolano la cosiddetta finanza decentralizzata (DeFi) e alla natura dei soggetti detentori di tali asset. Del resto, siamo in una infosfera dove le dinamiche economico-finanziarie si intersecano con quelle socio-culturali, in continua evoluzione grazie ai (o per colpa dei) mezzi offerti dalla tecnologia ed è arduo abbracciare tutte le casistiche.

Il legislatore, in definitiva, sembra tralasciare, come si dirà meglio infra, la rilevanza della summa divisio tra criptovalute, che sono token c.d. vuoti, e token che incorporano diritti.

Per un compiuto trattamento fiscale meglio sarebbe stato pensare ad un preventivo inquadramento giuridico del fenomeno (come avevamo proposto in Criptovalute, NFT, Metaverso. Fiscalità diretta, indiretta e successoria, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022, cui rimandiamo per approfondimenti e riferimenti dottrinari rispetto al presente contributo).

Il diritto tributario è un diritto derivato e, sia nel mondo reale, sia in quello cripto (complesso come il primo), il trattamento fiscale dipende dalla qualificazione giuridica.

Introduzione

L'art. 1, dal comma 126 al 147, della legge di bilancio 2023 detta la disciplina fiscale delle cripto-attività collocandole nel mondo delle attività finanziarie.

La scelta è comprensibile, in questi anni le cripto-attività sono state acquistate quasi esclusivamente con l'intenzione di speculare, scommettere, dice qualcuno, vista la scarsa regolamentazione finanziaria, sulle oscillazioni di prezzo. Questa è senz'altro, dal punto di vista fattuale, la loro funzione prevalente, ancorchè in alcuni contesti siano sono utilizzate come mezzo di pagamento (rectius scambio), o come collaterale, garanzia, ecc.

In effetti anche la giurisprudenza più recente propende per questo inquadramento.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44378/2022, di annullamento di una ordinanza con cui il Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del riesame, aveva confermato il rigetto da parte del GIP della richiesta del PM di disporre il sequestro preventivo di un wallet contenente bitcoin, supposto oggetto del reato di autoriciclaggio ex art. 648-ter 1 c.p. e di abusivismo finanziario ex art. 166 TUF, ne afferma chiaramente la natura finanziaria. In particolare, il Tribunale di Brescia aveva ritenuto insussistente il reato di esercizio abusivo dell'attività finanziaria ritenendo che ai fini dell'accertamento della sua sussistenza fosse necessario stabilire attraverso ulteriori indagini, anche di natura tecnica, se la condotta addebitata all'imputato integrasse o meno la fattispecie dell'“offerta di servizio o attività di investimento” di cui all'art. 1, co. 5, TUF.

La Suprema Corte ritiene invece che la c.d. ICO (Initial Coin Offering), acronimo che individua il meccanismo di lancio di una nuova iniziativa in materia di criptovalute, ben possa integrare tale fattispecie, posto che è chiaramente presentato come un'offerta di investimento. La Corte supporta la propria posizione di assimilazione a prodotto finanziario richiamando la nozione di valuta virtuale sposata dalla direttiva UE 2018/843 (V direttiva antiriciclaggio), attuata, accogliendo una definizione ove possibile ancor più ampia, dal d.Lgs. 125/2019. Il decreto definisce la valuta virtuale una “rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

Tale definizione, tuttavia, ai fini fiscali, non è mai stata di grande ausilio, stante la sua appena richiamata genericità, capace di accogliere un ragionamento analogico o estensivo agli effetti tributari per ognuna delle tre categorie alle quali, ante legge di bilancio, si cercavano di accostare le valute virtuali per individuarne una disciplina, ovvero valute estere, beni immateriali o strumenti finanziari.

Il tentativo di definizione di cripto attività in legge di bilancio

La legge di bilancio statuisce che per cripto-attività (quindi il riferimento non è più solamente alle criptovalute) si intende “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”.

La definizione è molto ampia, così come è ampia quella sopra richiamata valida ai fini antiriciclaggio, e lo diventa ancora più se si legge la relazione illustrativa, che sembra dar per assunto che la disciplina si applichi anche agli utility e ai non fungible token, che di finanziario hanno ben poco e che riteniamo maggiormente assimilabili a beni immateriali che in modo camaleontico si modellano sul bene sottostante a cui di solito si riferiscono.

La relazione illustrativa, in particolare, chiarisce che le operazioni c.d. crypto to crypto sono irrilevanti fiscalmente e che il momento impositivo scatta in sede di conversione in valuta FIAT o nel caso in cui vengano utilizzate per acquistare beni, anche digitali, quali ad esempio gli NFT (riconoscendo quindi, e ciò riteniamo sia corretto, agli NFT la natura di bene). Nell'articolare questa riflessione la relazione sembra ritenere, come si diceva, anche gli NFT - sui quali si ricorda ruotano in grande parte anche le dinamiche del metaverso, tra le quali gli acquisti di virtual land, o di altri beni e diritti con transazioni in molti casi poste in essere anche da società di capitali - soggetti alla nuova disciplina, accostandoli, quindi, ad una natura finanziaria che quasi sempre si fa fatica ad individuare.

Lo stesso Regolamento Micar (Market in Crypto Asset COM593(2020) esclude tutta una serie di cripto asset (compresi gli NFT) non finanziari e, se il riferimento della legge di bilancio, come sembra certo, è proprio a tale Regolamento, occorre aprire una seria riflessione sul reale ambito oggettivo di applicazione della stessa.

Vero è che la categoria impositiva dei redditi diversi non riguarda solo attività finanziarie e quindi, potrebbe dirsi, non deve necessariamente ritenersi netta l'assimilazione alle attività finanziarie. Tuttavia, il coevo intervento sulla normativa apprestata proprio per le attività finanziarie (il d.Lgs. 461/1997) e la stessa previsione dell'applicabilità dell'imposta di bollo della quale si dirà infra, sembrano confermare che questa sia la voluntas legis. Ebbene alcuni token e alcuni operatori in cripto, nulla hanno a che vedere con le attività finanziarie. Le criptovalute sono token per così dire “vuoti” mentre invece molti altri token incorporano i diritti più svariati, i quali possono determinare anche altri flussi reddituali. Si pensi al caso dove la cessione di NFT opere d'arte o anche virtual land possa ritenersi ascrivibile alla lett. g) dell'art. 67 TUIR, che fa riferimento allo sfruttamento delle opere dell'ingegno. O, ancora, alle difficoltà di accedere alle regole su plus/minusvalenze, regimi particolari per attività finanziaria o allo stesso affrancamento con la sostitutiva al 14% di cui si dirà, dove è incerta la determinazione del valore da affrancare (quale documentazione attesta con elementi certi e precisi il valore di un NFT?).

Le questioni, poi, si complicano ancor di più quando iniziamo ad indagare la fiscalità dei soggetti imprenditoriali, ovvero gli obblighi e le classificazioni contabili, l'IVA, i flussi reddituali (corrispettivi, royalties, ecc.) transnazionali legati ad esempio alle cosiddette secondary sales, ecc. Per non parlare del nuovo mondo di compliance e adempimenti che la norma impone agli operatori in cripto (c.d. exchange), che sostanzialmente vengono equiparati ad intermediari finanziari senza alcuna indicazione circa le modalità operative per l'assolvimento dei vari obblighi.

Cripto-attività, imposte dirette per persone fisiche non imprenditori

Le modifiche introdotte insistono sugli artt. 67 e 68 TUIR e sul d.Lgs. 461/97 e conducono alla rilevanza impositiva come redditi diversi delle operazioni su cripto-attività con aliquota sostitutiva del 26%. Inoltre, la novella impatta sul d.l. 167/90, introducendo l'obbligo di monitoraggio fiscale per le cripto-attività sia per gli intermediari che per i contribuenti (con, anche in questo caso, le perplessità dovute all'ampiezza della nozione di cripto-attività sposata e alla “forzatura” di inserire asset vari, magari anche detenuti in Italia, in un quadro destinato al monitoraggio dei soli beni esteri).

In particolare, viene prevista all'art. 67 c. 1 TUIR una categoria di redditi diversi costituita dalle plusvalenze e dagli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività di importi non inferiori a € 2.000 per singolo periodo d'imposta. La lettera c-sexies) individua dal 1 gennaio 2023 la rilevanza impositiva del

  • rimborso,
  • cessione a titolo oneroso,
  • permuta,
  • detenzione di cripto-attività, comunque denominate, archiviate o negoziate elettronicamente su tecnologie a registri distribuiti (DLT) o equivalenti.

Quanto al rimborso, il riferimento appare apodittico, molto difficile in concreto ipotizzare un rimborso di criptoattività. La cessione a titolo oneroso è invece chiaramente riferibile alla conversione della cripto-attività in valuta a corso legale, con esclusione di altre transazioni. La distinzione, poi, tra cessione a titolo oneroso e permuta (terza fattispecie) è figlia della necessità di regolamentare le cosiddette operazioni crypto to crypto e rendere queste ultime irrilevanti fiscalmente.

Il fatto generatore di imposta connesso alla permuta viene in particolare riferito a quelle, tra le cripto-attività, aventi “uguali caratteristiche e funzioni”, che è espressione del tutto indeterminata. Come si diceva il principale appiglio per orientarci è il regolamento Micar (con tutte le aporie definitorie che anch'esso sta riscontrando in sede di implementazione), ma le distinzioni e classificazioni tra token sono moltissime. Comunque, la volontà legislativa è quella di rendere irrilevanti le permute all'interno della stessa categoria mentre ogni permuta che “fuoriesce” dalla propria categoria, compresa quella per ottenere in cambio beni e servizi, dovrebbe integrare un momento impositivo (si pensi appunto all'acquisto di NFT con criptovalute). In realtà anche questa ci sembra una soluzione che può ingenerare discriminazioni sia, diciamo, pro che contro contribuente. Si pensi, ad esempio, a quei casi dove gli NFT rappresentano opere d'arte e quindi pretendere di tassarli li discriminerebbe rispetto ad altre opere (questo fa riflettere anche sul passato, vista la previsione di una sanatoria per le transazioni passate di cui si dirà infra) o, al contrario, al caso di conversione di una criptovaluta altamente plusvalente in altra criptovaluta o addirittura in una stablecoin per sterilizzarne la rilevanza impositiva prima della conversione in Euro. Alcuni wallet ricordano dei veri e propri depositi titoli e transazioni di questo tipo sono frequenti.

Altra novità problematica è il riferimento alla potenziale rilevanza impositiva della “detenzione” di cripto.

La detenzione delle cripto-attività può avvenire all'interno di relazioni contrattuali (es. deposito, mutuo) i cui proventi sono di solito tassabili a norma dell'art. 44 del TUIR lettera a) o, fuori da relazioni contrattuali, con altri proventi che possono costituire redditi diversi. Dire che detenere la criptoattività genera reddito tout court sembra distonico rispetto all'asserita irrilevanza delle transazioni che restano nella infosfera cripto di cui si diceva supra. Se invece il riferimento alla detenzione è a quelle società che detengono cripto-attività come scopo della loro attività, in questo caso, sia prima che post novella, questi soggetti producono ricavi assoggettati a tassazione nella dinamica del reddito di impresa, come tutte le altre attività.

Senza contare che il riferimento alla “detenzione” di cripto-attività (comprese quindi le cripto-valute) sembra voler includere la fattispecie della remunerazione dell'attività di staking fra i redditi diversi, superando i precedenti chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate in via interpretativa (v. risposta ad interpello n. 437/2022) che più opportunamente li inserivano tra i redditi di capitale. In particolare, la remunerazione dell'attività di staking veniva ricondotta all'art. 44, comma 1, lettera h), del TUIR, norma di chiusura sui redditi di capitale per la quale sono redditi di tale natura “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”. Ciò comportava peraltro che se la remunerazione fosse stata accreditata nel wallet da una società italiana, quest'ultima sarebbe stata tenuta all'applicazione della ritenuta nella misura del 26 per cento ai sensi dell'art. 26, comma 5, d.P.R. 600/1973.

Anche in tale ambito è cruciale distinguere tra i “redditi di capitale”, disciplinati dall'art. 44 del TUIR, e i “redditi diversiex art. 67 TUIR, in quanto, peraltro, il nostro sistema non consente la compensazione tra plus e minuvalenze realizzate nelle citate diverse tipologie di redditi. Appartengono ai redditi di capitali, in linea di massima, gli interessi, gli utili e i proventi che derivano da un impiego stabile di capitale. I redditi di capitale sono tassati al lordo, senza deduzioni. Sono invece redditi diversi quelli che producono plusvalenze o minusvalenze in relazione ad eventi incerti. La categoria dei redditi diversi include, in via residuale, tutti gli altri redditi che derivano da altre forme di impiego del capitale, tassati al netto di minusvalenze, perdite e costi. La legge di bilancio estende anche alle cripto-attività la regola secondo cui si considera cessione a titolo oneroso anche il trasferimento dei titoli, quote, certificati, rapporti o, appunto, cripto-attività a rapporti di custodia o amministrazione intestati a soggetti diversi dagli intestatari del rapporto di provenienza, nonché il passaggio dal regime del risparmio amministrato a quello del risparmio gestito, salvo che il trasferimento non sia avvenuto per successione o donazione (art. 6, comma 6, del d.Lgs. 461/1997).

Cripto-attività e determinazione del valore

All'art. 68 del TUIR, in punto di determinazione del valore, viene aggiunto un nuovo comma 9-bis, per il quale le plusvalenze su cripto-attività sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo percepito, ovvero il valore normale delle cripto-attività permutate, e il costo o il valore di acquisto.

Viene altresì sancita la rilevanza delle minusvalenze, che vengono sommate algebricamente alle plusvalenze e, in caso siano superiori a queste ultime, per un importo superiore ai 2.000 euro, l'eccedenza è riportata in deduzione integralmente dall'ammontare delle plusvalenze dei periodi successivi, ma non oltre il quarto.

Quanto agli acquisti per successione, si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell'imposta di successione. Nel caso di acquisto per donazione si fa riferimento al costo del donante. Il costo o valore di acquisto va documentato, statuisce la novella, con elementi certi e precisi a cura del contribuente. In mancanza, il costo è pari a zero.

I proventi derivanti dalla detenzione di cripto-attività percepiti nel periodo d'imposta sono assoggettati a tassazione senza alcuna deduzione, così come avviene per (gli altri) redditi di capitale.

La quantificazione della base imponibile su cui applicare la tassazione risulta quindi da un confronto tra:

(i) il corrispettivo percepito nel caso di cessione ovvero il valore normale di quelle permutate

(ii) il costo o valore di acquisto, con la precisazione che, in caso di successione, rileva il valore definito o dichiarato in sede di successione e, nel caso di donazione, il costo per il donante.

L'onere di documentazione, invero non agevole da assolvere (soprattutto per quelle transazioni cosiddette “on-chain”, dove non vi è proprio documentazione) considerato anche il riferimento ad elementi certi e precisi, è, si diceva, in capo al contribuente. La puntualizzazione normativa, piuttosto penalizzante, per cui va considerato un costo pari a zero nel caso in cui non si riesca a documentare (discriminante, peraltro, anche rispetto alla previsione sui metalli preziosi, dove la plusvalenza è prevista pari al 25% del corrispettivo, e a quella sulle valute estere, dove viene utilizzata la media mensile più bassa nell'anno) va interpretata con ragionevolezza. In particolare, occorre ammettere il ricorso anche ad elementi presuntivi, e magari a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, per evitare di imporre una probatio diabolica.

Viene introdotta, anche per le criptovalute – altra circostanza qualificante rispetto all'equiparazione normativa alle attività finanziarie - la possibilità di optare per i tre diversi regimi della “dichiarazione”, del “risparmio amministrato” e del “risparmio gestito”.

L'opzione per il risparmio amministrato è riferita ai rapporti intrattenuti con gli operatori non finanziari di cui alle lettere i) e i-bis) del comma 5 dell'art. 3 del d.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, ovvero i prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valuta virtuale e di portafoglio digitale. Si tratta di un regime di tassazione applicato direttamente dall'intermediario, previsto dall'articolo 6 del d.Lgs. n. 461/97, che può essere utilizzato soltanto in caso di intermediario residente. Quando, invece, si opera, come nella maggior parte dei casi, con intermediario non residente, il regime del risparmio amministrato trova applicazione solo quando, alternativamente, l'intermediario non residente si sia identificato direttamente in Italia oppure abbia una stabile organizzazione nel nostro Paese.

È opportuno precisare che, con il regime del risparmio amministrato, non varia la percentuale di tassazione sulle plusvalenze, tuttavia il vantaggio è che la tassazione viene applicata e trattenuta dallo stesso intermediario. Ciò significa che il contribuente è esonerato dall'obbligo di includere i redditi diversi di natura finanziaria nella propria dichiarazione dei redditi derivanti dall'impiego di valute virtuali. Gli intermediari in cripto, in altre parole, vengono qui equiparati agli altri intermediari finanziari.

Nel caso di portafogli cripto integralmente minusvalenti, non v'è obbligo dichiarativo, tuttavia, può essere comunque opportuno compilare il Quadro RT del modello Redditi PF anche in caso di realizzazione di sole minusvalenze, vista la possibilità di riporto agli esercizi successivi.

Non sembra che le plusvalenze su cripto attività possano essere compensate con minusvalori su altri asset finanziari. Inoltre, pare assai problematico inserire nelle ipotesi di compensazioni eventuali minusvalori maturati su cripto-attività non finanziarie.

Diritto intertemporale e retroattività

Il comma 127 della legge di bilancio prevede una norma “transitoria” per la quale le plusvalenze relative a operazioni aventi ad oggetto cripto-attività eseguite prima del 1° gennaio 2023 si considerano realizzate ai sensi dell'articolo 67 TUIR e le relative minusvalenze maturate prima della medesima data possono essere portate in deduzione ai sensi dell'articolo 68, comma 5, del TUIR.

Il disposto legislativo è di difficile analisi, poiché appare un tentativo, tra l'altro in violazione dell'art. 3 comma 1 dello Statuto del contribuente, che vieta la retroattività, di attrarre a tassazione operazioni aventi ad oggetto cripto-attività in assenza di una norma che, prima della legge di bilancio, statuisse quanto quest'ultima oggi prevede. Del resto, per le medesime ragioni di vuoto normativo, la norma non può essere considerata una norma interpretativa o introduttiva di una presunzione su rapporti giuridici definiti, visto appunto il più assoluto vuoto normativo. Certo è che i rischi di contestazione, ed il fatto che comunque fosse difficile ritenere, anche in assenza di una norma, che le fattispecie oggetto di analisi andassero esenti da imposizione ante novella, possono comunque consigliare prudenza e magari di accedere alla regolarizzazione di cui si dirà infra.

Monitoraggio fiscale e regolarizzazione

La legge di bilancio, al comma 138, modifica l'art. 4 comma 1 del D.L. 167/1990 introducendo l'obbligo di monitoraggio per le cripto-attività.

La decorrenza di tale norma è naturalmente fissata al 1° gennaio 2023. In precedenza, in assenza di obblighi normativi, l'Agenzia delle Entrate riteneva comunque soggette ad obbligo di monitoraggio le criptovalute, sulla scorta della discutibile equiparazione, oggi superata, a valute estere.

È verosimilmente questa la ragione per cui la norma prevede altresì una forma di “emersione” con il pagamento di sanzioni ridotte, da realizzarsi con la presentazione di una istanza da presentarsi secondo le modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate.

Anche l'introduzione dell'obbligo di monitoraggio pone temi di diritto intertemporale. L'Agenzia delle Entrate, come si diceva, con le risposte 24 novembre 2021 n. 788/E e 1° agosto 2022 n. 397/E aveva già affermato che sussisteva l'obbligo di compilazione del Quadro RW. La norma individua due procedure distinte di regolarizzazione, quella riferita alle sole violazioni dell'obbligo di monitoraggio e quella estesa anche ai redditi. Nella prima, se il contribuente si è limitato a detenere le cripto-attività senza realizzare redditi, può regolarizzare versando la sanzione prevista per le violazioni del monitoraggio (D.L. 167/90) ridotta allo 0,5% per ciascun anno. Importo che è calcolato sul valore al termine del periodo d'imposta. Non dovrebbero quindi avere rilevanza le variazioni infra-annuali. Ai fini reddituali, invece, si prevede che i contribuenti che abbiano realizzato redditi “nel periodo di riferimento” possano regolarizzare la propria posizione con il pagamento di una imposta sostitutiva nella misura del 3,5% del valore delle attività “al termine di ogni anno o al momento del realizzo”. La norma sembra prevedere il pagamento del 3,5% per ciascun periodo d'imposta e riteniamo possa essere effettuata prendendo a riferimento esclusivamente le annualità plusvalenti per la parte reddituale mentre dovrà verosimilmente riguardare tutti i periodi aperti per la (supposta) violazione alla compilazione del quadro RW (senza ovviamente alcun raddoppio connesso alla localizzazione territoriale, che nelle cripto-attività non esiste). Le società di capitali sembrano quindi escluse dalla sanatoria e, se questo è normale per ciò che riguarda il quadro RW, non essendo tenute alla sua compilazione, lo sembra meno (per ragioni di evidente discriminazione) per quanto riguarda la sanatoria reddituale.

Più in generale, poi, parlare di sanzioni in un contesto dove non era in vigore alcuna norma, crea problematiche anche di costituzionalità, ad esempio con riguardo all'art. 25 Cost., per il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della violazione. Vero è che si tratta di una adesione spontanea e vero è, anche, che siamo tra quelli che hanno sostenuto la rilevanza impositiva di tali fenomeni anche prima della novella, ma affermare che si può sanare pagando sanzioni ridotte, vuol significare che chi non aderisce pagherà sanzioni piene per fattispecie occorse in una situazione di totale vuoto normativo.

La procedura di regolarizzazione è peraltro subordinata alla “dimostrazione della liceità della provenienza delle somme investite” in cripto-attività. La ratio legis è evidentemente quella di evitare in tutti i modi la “bonifica” di capitali frutto di illeciti. Tuttavia documentare la provenienza è tutto fuor che agevole e potrebbe di nuovo essere consigliabile far riferimento a dichiarazioni sostitutive di atto notorio assistite da una fattispecie penale in caso di mendacio, così come era previsto all'epoca della c.d. voluntary disclosure.

Affrancamento

La novella normativa contiene anche la possibilità di affrancare il valore delle cripto attività alla data del 1° gennaio 2023, dietro il pagamento di un'imposta sostitutiva del 14 per cento, da effettuarsi in un'unica soluzione o in tre annuali di pari importo. Le problematiche principali riguardano la determinazione del valore, soprattutto, come si è già rilevato, per i token non finanziari.

Società di capitali e soggetti imprenditoriali

La legge di bilancio, nel disciplinare gli effetti reddituali che derivano dalla valutazione delle cripto-attività, prevede che i componenti positivi e negativi che risultano dalla valutazione delle medesime alla data di chiusura del periodo di imposta, non concorreranno alla formazione del reddito (anche ai fini IRAP), a prescindere dall'imputazione a Conto Economico (cfr. art. 110 del TUIR, comma 3-bis). Come si legge nella Relazione Illustrativa, tale disposizione vuole evitare l'incidenza delle oscillazioni di valore delle cripto-attività detenute dalle imprese, prescindendo dalle modalità di redazione del bilancio. Rimangono escluse le valutazioni dei crediti e dei debiti da regolare in cripto-attività.

Il legislatore si è quindi posto la problematica dell'inquadramento contabile delle cripto-attività e della regolamentazione delle società, tuttavia si è limitato a questa disposizione, essendo tutte le altre norme nei fatti destinate a persone fisiche non imprenditori.

Ante novella, in assenza di norme, ritenevamo corretto, con l'avallo della posizione dell'IFRIC (International Financial Reporting Interpretations Committee) del giugno 2019, inquadrare le criptovalute e, a maggior ragione, le altre cripto-attività, a seconda dell'oggetto sociale della società, tra le attività immateriali o le rimanenze.

L'indeterminatezza della legge di bilancio lascia quindi aperto il tema della qualificazione contabile e, verosimilmente, al momento non sposta la correttezza di tale soluzione, sposata dall'organismo che interpreta i principi contabili internazionali.

Tuttavia, dal punto di vista fiscale la scelta del legislatore verso la qualificazione come attività finanziaria ci sembra piuttosto marcata, almeno per ciò che riguarda le criptovalute, e quindi è forse giunto il momento di riaprire il dibattito se non sia più opportuno un inquadramento tra gli strumenti finanziari. Si tratta di scelte non di poco momento che, attesa la derivazione rafforzata, possono presentare conseguenze impositive anche significative, come ad esempio l'assoggettamento o meno ad Irap.

Certo è che, al momento, la legge di bilancio non sembra presentare una rilevanza diciamo “extra fiscale”, ancorché paia opportuno che il salto in avanti del legislatore fiscale contribuisca ad aprire una discussione (anche) sul fronte contabile. Ed in effetti lo IASB (International Accounting Standard Board) nella Third Agenda Consultation di marzo 2021 ha incluso le cripto-attività tra i potenziali futuri settori su cui riflettere. Lo IASB ha sollevato infatti delle perplessità rispetto alla posizione dell'IFRIC del giugno 2019 rilevando che la contabilizzazione richiesta dallo IAS 38 sulle attività immateriali per le criptovalute può non fornire informazioni accurate, stante la natura finanziaria di alcuni token. Inoltre, la stessa valutazione a fair value dello IAS 38 non si attaglia perfettamente a tale mercato. Occorrerà vedere se queste perplessità portino a ritenere rilevanti, almeno per le criptovalute, i principi IFRS 9 e IAS 32 sugli strumenti finanziari o addirittura portino alla stesura di un principio ad hoc. Nella riunione IASB di marzo 2022 il progetto sulle criptovalute è stato confermato e quindi l'auspicio è che i tempi di attesa si riducano.

Una piccola nota di approfondimento per gli NFT, che moltissime aziende hanno commercializzato e che regolano le dinamiche dei Metaversi.

Sotto il profilo delle imposte dirette, riteniamo che il loro trattamento debba seguire il bene sottostante a cui l'NFT è abitualmente legato. I proventi originati dalla cessione di NFT da parte di soggetti imprenditoriali possono ancor oggi dar luogo a redditi di impresa o di lavoro autonomo. Occorre quindi aver riguardo ai ricavi ex art. 85 TUIR e ai compensi per prestazioni di lavoro autonomo ex artt. 53 ss. TUIR. Occorre poi prestare attenzione alla transnazionalità dei flussi e quindi all'applicazione eventuale di ritenute e convenzioni contro le doppie imposizioni. Infine i Metaversi e la loro fiscalità. Riteniamo che i redditi prodotti nei Metaversi non siano tassabili nel mondo reale, almeno fin quando non entrino in relazione con quest'ultimo e risultino suscettibili di creare ricchezza reale, o se si preferisce capacità contributiva tassabile. Ciò in quanto i guadagni di varia natura che invece si esauriscono nei Metaversi ad oggi non sembrano dissimili dalle vincite nei video game, a meno che non generino eventi realizzativi, appunto, nel mondo reale.

Ebbene, anche post legge di bilancio, tutte queste discussioni, in altre parole, ci paiono aperte, posto che la riconducibilità degli NFT e degli altri token che incorporano diritti all'art. 67 sembra avere una valenza decisiva per i soli soggetti privati non imprenditori.

Altra tematica di grande rilevanza in questo contesto, che merita una trattazione a parte che proporremo subito appresso, è quella IVA.

Il trattamento IVA

Per i soggetti imprenditoriali, le cosiddette partite IVA, la scelta del legislatore fiscale fa molto riflettere, considerata la sostanziale assenza di indicazioni specifiche.

Mentre sulle criptovalute sembra che ci stiamo orientando verso una natura finanziaria che potrebbe mantenere ferma l'impostazione sposata dall'Agenzia delle Entrate circa una generale esenzione agli effetti del tributo sul valore aggiunto, sugli altri token riteniamo che il dibattito sia tutto meno che sopito dalla legge di bilancio. Peraltro, essa stessa sembra opportunamente confermare, leggendo la relazione illustrativa, che NFT e altri token che inglobano diritti rappresentano dei beni immateriali (aderiamo alla teoria evolutiva per cui questi, visto il tenore dell'art. 810 c.c., che ritiene bene tutto ciò che possa formare oggetto di diritti, non siano un numerus clausus).

Stando ad esempio agli NFT, che sono beni immateriali digitali, ci sembra ancora oggi corretto proporre una loro assimilazione ai fini IVA alle prestazioni di servizi effettuate attraverso mezzi elettronici, con le relative conseguenze in punto di territorialità di tali prestazioni.

In conclusione, gli NFT e i token che incorporano diritti, per i soggetti imprenditoriali, sembrano continuare ad essere rilevanti ai fini IVA. Opinare diversamente comporterebbe, peraltro, problematiche di rilevantissima entità per quei soggetti che hanno (correttamente, riteniamo) gestito tali transazioni in ambiente IVA.

Imposta di bollo/IVAFE

Le nuove norme introducono anche l'applicazione di un'imposta di bollo sui rapporti aventi ad oggetto le cripto-attività.

L'aliquota è stata determinata nel 2 per mille all'anno del valore delle cripto-attività.

Tale imposta di bollo è applicata a chi detiene criptovalute su wallet custodial italiani, mentre per chi le detiene su wallet custodial non italiani, o su wallet non-custodial, si applica l'IVAFE, con la stessa aliquota del 2 per mille. Si tratta di una novità assoluta, nel senso che l'applicazione di tali imposte era stata sempre esclusa dall'Agenzia delle entrate.

Soggetti passivi dell'imposta sono (ex art. 4, co. 1 del D.L. n. 167/90), le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici residenti in Italia che detengono investimenti all'estero o attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia.

In conclusione

La legge di bilancio 2023 introduce la prima regolamentazione fiscale delle cripto-attività in Italia. La novella fornisce importanti indicazioni per i privati non imprenditori ma lascia aperte questioni rilevantissime che attengono soprattutto ai

  • token diversi dalle criptovalute
  • soggetti imprenditoriali e
  • nuovi adempimenti degli operatori in cripto-attività (c.d. exchange).

Conclusivamente può affermarsi che per le criptovalute (che sono token cosiddetti “vuoti”) e per i privati non imprenditori si inizia a fare chiarezza (nonostante una discutibile gestione legislativa delle questioni di diritto intertemporale e una altrettanto discutibile sanatoria rispetto a violazioni sostanzialmente impossibili da commettere in assenza di una norma), mentre per tutti gli altri token che non sono “vuoti”, in quanto incorporano i diritti più svariati, le questioni da affrontare appaiono sostanzialmente le medesime rispetto al passato, ciò in quanto il legislatore sembra non aver considerato la complessità del mondo cripto, popolato da token, attori e fattispecie molto diversi tra di loro.

Guida all'approfondimento

A. Tomassini, Criptovalute, NFT, Metaverso. Fiscalità diretta, indiretta e successoria, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022

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