Il percorso argomentativo della pronuncia parte dall'individuazione della natura, delle finalità e dei presupposti del diritto alle ferie annuali retribuite.
La Corte ricorda innanzitutto che il diritto alle ferie annuali si configura quale principio del diritto sociale dell'Unione, espressamente sancito dall'art. 31, parag. 2 della Carta (cui l'art. 6, parag. 1 del TUE riconosce il medesimo valore dei trattati istitutivi) e attuato dall'art. 7 parag. 1 della Direttiva 2003/88 mediante fissazione del periodo di durata dello stesso.
La Corte richiama poi i suoi costanti orientamenti che riconoscono nel diritto alle ferie annuali, da un lato, la funzione di riposo dall'esecuzione di compiti assegnati per effetto del contratto di lavoro e, dall'altra, la funzione di godimento di un periodo di distensione e ricreazione, avente quale presupposto proprio l'aver svolto una attività lavorativa che giustifichi l'esigenza di riposo per assicurare la protezione della sicurezza e della salute come previsto dalla direttiva 2003/88 (CGUE 20 gennaio 2009, C-350/06 E C-520/06 e CGUE 25 giugno 2020, C-762/18 E C-37/19 e, sul diritto alle ferie annuali determinate in funzione dei periodi di lavoro, CGUE 4 ottobre 2018, C-12/17).
Ciò detto, il diritto alle ferie annuali retribuite non può esser subordinato da uno Stato membro all'obbligo di aver effettivamente prestato la propria attività di lavoro anche perché il lavoratore non sempre è in grado di svolgere le prestazioni lavorative, come nel caso dei congedi per malattia.
La Corte ricorda sul punto che, per quanto riguarda il diritto alle ferie annuali retribuite, i lavoratori assenti per malattia sono da assimilarsi a quelli che hanno effettivamente lavorato nel periodo di riferimento (così CGUE 9 dicembre 2021, C-217/20 e CGUE 25 giugno 2020, C-762/18 e C-37/2019).
La sopravvenienza di una inabilità al lavoro per causa di malattia è, in linea di principio, imprevedibile e pertanto le assenze per malattia devono esser considerate come assenze da lavoro per motivi indipendenti dalla volontà del soggetto interessato, da calcolarsi nel periodo di servizio (così la già citata CGUE 9 dicembre 2032, C-217/20 che sul punto richiama il principio espresso dall'art. 5, parag. 4 della Convenzione n. 132 dell'OIL del 24 giugno 1970 relativa ai congedi annuali pagati, come riveduta, i cui principi devono essere presi in considerazione alla luce del considerando n. 6 della direttiva 2003/88; CGUE 4 ottobre 2018, C-12/17).
In ragione di ciò, il diritto di un lavoratore a godere di ferie minime annuali retribuite non può subire limitazioni per il fatto che questi non abbia potuto adempiere al proprio obbligo lavorativo a causa di una malattia durante il periodo di riferimento.
La Corte in più occasioni ha pertanto ritenuto che l'art. 7, parag. 1 della direttiva 2003/88 osti a una normativa nazionale che preveda l'estinzione del diritto alle ferie annuali retribuite allo scadere del periodo di riferimento o di riporto fissato, quando il lavoratore è stato assente per malattia per l'intera durata o per una parte del periodo di riferimento e per tale motivo non abbia potuto concretamente esercitare il proprio diritto (v., in particolare: CGUE 30 giugno 2016, C-178-15; CGUE 20 gennaio 2009, C-350/06 e C-520/06; CGUE 10 settembre 2009, C-277/08, punto 19).
Allo stesso tempo, però, questo principio si presta a delle precise eccezioni.
Qualora un lavoratore, inabile per diversi periodi di riferimento consecutivi, accumulasse illimitatamente ferie annuali retribuite si determinerebbe una non rispondenza del diritto alle finalità dello stesso e altresì un grave pregiudizio al datore quanto a organizzazione del lavoro.
In presenza di “circostanze particolari”, quali ad esempio l'inabilità al lavoro per diversi periodi di riferimento consecutivi, è pertanto ammessa la possibilità di prevedere dei limiti al citato cumulo, tutelando gli interessi sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro.
In tali casi l'art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che non osta a norme o prassi nazionali che prevedano un periodo di riporto allo scadere del quale il diritto alle ferie annuali retribuite si estingue (così CGUE 22 novembre 2011, C-214/10 e successivamente CGUE 29 novembre 2017, C-214-16).
Ripercorsi gli orientamenti giurisprudenziali in tema di ferie e assenze per inabilità da malattia, la Corte si trova a dover definire se anche le due vicende oggetto delle domande pregiudiziali siano riconducibili alle citate “circostanze particolari”, legittimanti la limitazione temporale al godimento del diritto alle ferie annuali retribuite.
La risposta offerta dalla Corte è negativa per due ordini di motivi: in primo luogo in ragione del mancato rispetto da parte del datore degli obblighi informativi gravanti sullo stesso nei confronti dei lavoratori in tema di fruizione del diritto alle ferie e in secondo luogo per l'assenza di un rischio di cumulo illimitato di ferie, trattandosi di richieste legate alla fruizione di ferie già maturate prima dell'incorrere in situazioni in invalidità o inabilità al lavoro.
La Corte ricorda che spetta al datore di lavoro assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite e che in caso contrario ne assume le conseguenze in termini di mancata estinzione del diritto stesso allo scadere periodo di riferimento fissato dal diritto nazionale (si v. in argomento CGUE 6 novembre 2018, C-684/16, nonché CGUE 29 novembre 2017, C-214/16).
Inoltre, come accennato, nelle vicende cui la pronuncia si riferisce, non esiste un rischio di cumulo illimitato di ferie, tale da creare possibili conseguenze negative sull'organizzazione del lavoro: i lavoratori si limitano a rivendicare ferie annuali maturate per il periodo in cui gli stessi hanno effettivamente prestato la propria attività lavorativa prima del verificarsi degli episodi di invalidità totale o inabilità al lavoro per malattia.
Ne consegue che, nelle circostanze appena descritte, una eventuale limitazione temporale del diritto di godimento di tali ferie non potrebbe applicarsi senza aver preliminarmente esaminato la questione se il datore abbia messo, in tempo utile, il lavoratore in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie, poiché una tale situazione equivarrebbe a privare di contenuto il diritto sancito dall'art. 31, parag. 2 della Carta e concretizzato dall'art. 7 della Direttiva 2003/2008.
Con riguardo al diritto interno, la Corte di Cassazione ha mutuato alcuni i principi espressi dalla giurisprudenza della CGUE in tema di obblighi informativi del datore di lavoro derivanti dall'art. 7 della Direttiva 2003/88, soffermandosi sulle conseguenze economiche derivanti dalla violazione degli stessi (Cass., Sez. Lav., n. 13613/2020, in riferimento alla vicenda di un dirigente medico ASL cessato dal servizio nel 2001, senza aver potuto fruire di 26 giorni di ferie).
In particolare, la Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto alla corresponsione di un'indennità economica per le ferie annuali non godute al momento della cessazione rapporto, in conseguenza della scarsa diligenza del datore di lavoro nell'assicurarsi che il lavoratore fosse stato posto effettivamente nelle condizioni di fruire delle ferie annuali retribuite o nel renderlo edotto del fatto che in caso di mancata fruizione tali ferie sarebbero andate perdute al termine del periodo di riferimento o alla cessazione del rapporto di lavoro.
Vero è che il legislatore ha posto per le pubbliche amministrazioni il divieto di indennizzabilità delle ferie non godute (art. 5 del DL 95/2012, convertito in L. n. 135/2012), tuttavia occorre soffermarsi su quanto affermato sul tema dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 95/2016.
La Consulta ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità sollevata sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 36, primo e terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'art. 7 della direttiva 4 novembre 2003, n. 2003/88/CE, rilevando l'erroneità del presupposto interpretativo da cui muoveva il giudice remittente ovvero che il divieto di corrispondere trattamenti economici sostitutivi delle ferie non godute si applicasse anche alle ipotesi di mancato godimento delle ferie per malattia o per altra causa non imputabile al lavoratore.
La Corte Costituzionale ha evidenziato che, al contrario, il diritto inderogabile alle ferie sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie impedito da malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.
Ed è proprio alle maglie interpretative aperte dalla Corte Costituzionale con il riferimento alle cause “non imputabili al lavoratore” che la Corte di Cassazione ha ricondotto, ai fini del riconoscimento dell'indennità sostitutiva delle ferie, le ipotesi in cui il datore non si sia adoperato con diligenza nell'assicurarsi che i lavoratori possano esercitare il proprio diritto alla fruizione delle ferie (Cass., Sez. Lav., n. 14268/2022).
Milena Talarico, Dottoressa