Il cram-down fiscale-contributivo e gli accordi di ristrutturazione “ad efficacia estesa”

Filippo Lamanna
26 Gennaio 2023

L'Autore svolge alcune riflessioni sulla questione se il cram-down fiscale-contributivo possa applicarsi anche agli accordi di ristrutturazione “ad efficacia estesa” : il Codice della crisi d'impresa non disciplina, infatti, espressamente tale caso, e i dubbi si accrescono per la differenza di formulazione del comma 2-bis dell'art. 63 CCII, rispetto a quella del comma 1 del medesimo articolo.

Già si è posta in dottrina la questione circa il se, il cram-down fiscale-contributivo, possa applicarsi anche agli accordi di ristrutturazione “ad efficacia estesa”.

La questione si pone perché il Codice della crisi non disciplina espressamente, ed in modo inequivoco, tale caso, e i dubbi si accrescono per la differenza di formulazione del comma 2-bis dell'art. 63 del Codice della crisi, rispetto a quella del comma 1 del medesimo articolo.

Infatti, mentre il comma 1 richiama gli artt. 60 e 61, in tal modo estendendo la possibilità di transazione fiscale prevista per gli accordi “ordinari” di ristrutturazione anche agli accordi “agevolati” e agli accordi “ad efficacia estesa” (ciò che non era, ed ancora oggi non è previsto nell'art. 182-ter, comma 5, l. fall., laddove vengono richiamati tout court solo gli accordi di ristrutturazione di cui all'art. 182-bis), il comma 2-bis, invece, che disciplina specificamente il cram-down, richiama solo gli artt. 57, comma 1 e 60, comma 1, relativi agli accordi di ristrutturazione “ordinari” e agli accordi “agevolati” e non anche l'art. 61 che disciplina gli accordi “ad efficacia estesa”, lasciando così dubitare che il cram-down possa riguardare anche questi ultimi (“Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui agli artt. 57, comma 1, e 60, comma 1, e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria”).

Secondo una tesi, tale differenza sarebbe frutto semplicemente di una svista, e comunque il richiamo agli artt. 57 e 60, presente nel comma 2-bis, avrebbe «il semplice scopo di individuare le percentuali rispetto alle quali l'adesione del Fisco dev'essere determinante per consentire l'omologazione forzosa della transazione». Da ciò – in tesi - non potrebbe derivarne l'impraticabilità del cram-down nell'ambito degli accordi ad efficacia estesa, anche perché – si è soggiunto - sarebbe «del tutto illogica una disciplina che consentisse l'estensione dell'efficacia dell'accordo in presenza dell'approvazione della transazione fiscale deliberata dall'agenzia delle Entrate in conformità alla legge e la impedisse qualora l'approvazione della proposta derivasse, invece, dalla omologazione forzosa disposta dal tribunale, in conformità alla legge, per porre rimedio a una pronuncia illegittima dell'amministrazione finanziaria. Equivarrebbe, infatti, ad attribuire rilevanza a un provvedimento illegittimo, nonostante la censura e la riforma di tale provvedimento da parte dell'autorità giudiziaria» (così G. Andreani, Cram-down anche per gli accordi di ristrutturazione agevolata, in Il Sole 24 Ore, I Focus di Norme e Tributi, 6 luglio 2022).

Sennonché questa tesi, benché acutamente e suggestivamente esposta, poggia su argomenti che non sembrano decisivi.

Anzitutto, occorre rimarcare che, mentre il comma 1 dell'art. 63 disciplina la possibilità in generale di perfezionare una transazione fiscale-contributiva, il comma 2-bis disciplina specificamente il cram-down fiscale-contributivo, sì che le due disposizioni normative hanno un'area applicativa non necessariamente coincidente.

Pertanto, il fatto che l'una preveda la transazione fiscale-contributiva per tutte e tre le forme di accordi, mentre l'altra disciplini il cram-down richiamando solo le norme in tema di accordi “ordinari” e di accordi “agevolati”, non può affatto essere sottovalutato e rimosso come un semplice accidente.

Occorre chiedersi, piuttosto, se l'applicazione del cram-down anche agli accordi ad efficacia estesa sarebbe sistematicamente coerente ed equa, e avrebbe comunque una sua intrinseca razionalità nel contesto di tale specie di accordi.

Ebbene, a questo riguardo mi pare che la particolare natura degli accordi ad efficacia estesa, che s'impongono coattivamente ai terzi anche se questi ne sono stati del tutto estranei e non li hanno voluti affatto condividere, non deponga necessariamente per una non voluta omissione da parte del legislatore nel non considerarli espressamente ai fini del cram-down, ma, semmai, può essere la ragione, al contrario, in forza della quale il legislatore ha consapevolmente voluto tenerli fuori dall'operatività del cram-down.

Non a caso, del resto, proprio chi ha proposto l'interpretazione estensiva (G. Andreani, op. loc. cit.) ha dovuto onestamente ammettere, riguardo agli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, che “oltre al dato letterale, c'è il fatto che questo istituto prevede già di per sé l'effetto di vincolare creditori non aderenti (di minoranza) a seguito dell'adesione di altri creditori (di maggioranza).

Quindi, se potesse essere attuato senza un'approvazione espressa di questi ultimi, si rischierebbe che un accordo possa essere omologato senza il sì di alcun creditore”.

Ed in effetti, si pensi ai casi in cui la maggior parte del passivo sussista verso il Fisco o gli Enti previdenziali (ad es. si tratti del 90% o più del passivo totale): in difetto di adesione da parte di questi, gli accordi potrebbero essere omologati in forza di una sorta di duplice effetto coattivo idoneo a monopolizzare di fatto i poteri coercitivi del debitore sui suoi creditori: l'effetto coattivo proprio degli accordi ad efficacia estesa e quello derivante dal cram-down. Situazione davvero paradossale, questa, tanto più se si considera la possibilità – ormai ammessa da una parte consistente della dottrina - di combinare e sommare gli accordi ad efficacia estesa con quelli agevolati, «arma letale», tale combinazione, che sarebbe ancor più devastante se si potessero omologare forzosamente accordi con percentuali di adesione addirittura azzerate quando fosse determinante (e quindi anche rilevante) la quota percentuale dei crediti fiscal-contributivi e il Fisco e/o gli Enti previdenziali rifiutassero la proposta.

Quanto al profilo della coerenza sistematica, tenuto conto del fatto che gli accordi ad efficacia estesa s'impongono – come vogliono la loro natura e funzione - anche ai non aderenti, ossia anche a chi non voglia partecipare ad essi volontariamente, utili indicazioni per la soluzione del problema qui in esame sembrano provenire da alcune norme che, sotto altro aspetto, precludono sia negli accordi di ristrutturazione che nel concordato preventivo un'indiscriminata estensione degli effetti remissori-esdebitatori.

Mi riferisco, in particolare, alla specifica disciplina dettata dal Codice della crisi in tema di estensione degli effetti esdebitatori verso i fideiussori e gli obbligati in via di regresso.

Il Codice della crisi, infatti, esclude che l'estinzione dell'obbligazione principale possa determinare anche l'estinzione delle garanzie accessorie che l'assistano ove la liberazione del debitore non sia volontaria.

In particolare, l'art. 59, comma 1, del Codice (come anche l'art. 182-decies l.fall., che ne ha anticipato l'applicazione mediante interpolazione all'interno della legge fallimentare) stabilisce che ai creditori che hanno concluso gli accordi di ristrutturazione si applica l'art. 1239 c.c.

Il rinvio (che deve intendersi limitato implicitamente al solo primo comma dell'art. 1239) implica che la remissione (vulgo: “esdebitazione”) accordata al debitore principale liberi anche i fideiussori. Pertanto, la remissione accordata dai creditori aderenti agli accordi di ristrutturazione dei debiti al proprio debitore (in veste di debitore principale) libererà anche i suoi fideiussori.

In sostanza, per la parte in cui i suddetti creditori rinunciano ad una parte del proprio credito, esdebitando in pari misura il debitore, entro i medesimi limiti deve intendersi liberato anche colui che, a titolo di garanzia per tale credito, abbia prestato fideiussione.

Tale effetto esdebitatorio estensivo, che negli accordi deriva appunto dal loro carattere negoziale-volontario, non vale – di conseguenza - per i creditori non aderenti, che, non avendo volontariamente concesso al debitore alcuna liberazione dal suo debito, conservano impregiudicati i diritti non solo contro di lui, nei limiti sopra esaminati, ma anche contro i suoi coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso.

Peraltro, questa tutela dei non aderenti, per la quale essi conservano impregiudicati i propri diritti verso i coobbligati e fideiussori del debitore, perdura anche nel caso in cui l'efficacia degli accordi venga estesa forzosamente anche a loro, secondo la disciplina prevista – guarda caso – appunto negli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa.

In tal caso, infatti, essi subiscono gli effetti dell'accordo per la parte in cui quest'ultimo ha la capacità di liberare parzialmente il debitore, ma non vogliono certo tale effetto liberatorio, essendo, appunto, non aderenti. E proprio in quanto la remissione/liberazione del debitore non è in tal caso volontaria, non può essere estesa ai coobbligati e fideiussori.

L'art. 59, comma 2, del Codice lo dice espressamente, avendo il legislatore ritenuto in tal caso, all'evidenza, che il principio generale sopra menzionato, secondo cui l'estinzione dell'obbligazione principale comporta anche l'estinzione delle garanzie accessorie che l'assistano, non possa applicarsi ove la liberazione del debitore non sia volontaria.

Ciò che, come ben si sa, è del resto la regola tradizionale del concordato preventivo, per il quale è sempre stata prevista, a differenza che per gli accordi di ristrutturazione, la conservazione da parte dei creditori di tutti i diritti verso i coobbligati e garanti, ciò perché nel concordato preventivo l'approvazione dei creditori non è propriamente un accordo, raggiungendosi essa non attraverso la stipula di negozi, ma attraverso un voto a maggioranza espresso all'interno di una comunità transeunte e forzosamente creata. Ragione per la quale il legislatore ha ritenuto inapplicabile l'art. 1239 c.c., tanto da prevedere espressamente, con l'art. 184, comma 1, l. fall., e ora con l'art. 117, comma 1, del Codice della crisi, che il concordato preventivo omologato è sì obbligatorio per tutti i creditori anteriori, ma essi, tuttavia, «conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso».

Il sistema normativo, dunque, è omogeneo e coerente nel limitare – oltre una certa area fisiologica - la possibilità di estendere gli effetti esdebitatori a chi non aderisca volontariamente alla proposta del debitore.

Ciò, mi pare, induce a preferire, anche in ragione di una sistematica coerenza di ratio, la soluzione – che mi sembra in definitiva più attendibile (ed equa) - che esclude, anche alla luce del dettato normativo sopra ricordato (la segnalata differenza di formulazione tra i commi 1 e 2-bis dell'art. 63), la possibilità di effettuare il cram-down nel caso di mancata adesione di Fisco e/o degli Enti Previdenziali alla proposta di transazione fiscale negli accordi ad efficacia estesa.