Società a ristretta base azionaria e presunzione di distribuzione utili ai soci

Giovambattista Palumbo
27 Gennaio 2023

La Cassazione, con sentenza n. 35293/2022, torna ad occuparsi del regime di tassazione degli utili extracontabili da partecipazione in società a ristretta base partecipativa.
Massima

Per tassare gli utili da partecipazione in società ed enti soggetti ad IRES vanno applicati e rispettati i criteri di imponibilità per esenzione, limitata, in capo ai soci, secondo le diverse percentuali stabilite in funzione della natura del socio partecipante. Il regime di tassazione per esenzione sui soci non viene però violato in caso di attribuzione per presunzione di utili extracontabili. Il beneficio dell'esenzione parziale dall'imposizione degli utili societari opera infatti unicamente nel caso in cui si faccia riferimento ai redditi regolarmente dichiarati dalla società in un documento contabile e non anche per gli utili extrabilancio, che, una volta accertati, vanno quindi imputati in misura intera e non ridotta. L'utile extrabilancio diviene, in sostanza, un utile equiparato a quello ottenuto per trasparenza.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza in commento, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di presunzione di distribuzione di utili extracontabili in caso di società a ristretta base azionaria.

Nel caso di specie, il contribuente impugnava un avviso di accertamento sul maggior reddito di partecipazione per l'anno 2013, derivante dall'accertamento emesso a carico della società (S.r.l.), per la medesima annualità di cui il contribuente era socio nella misura del 50% del capitale sociale.

L'accertamento societario era divenuto definitivo per mancata impugnazione.

La Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso.

Il contribuente aveva quindi proposto appello e la Commissione Tributaria Regionale lo aveva accolto, ritenendo che l'avviso di accertamento fosse intrinsecamente incoerente, laddove, da un lato, faceva leva sul principio in base al quale gli utili non contabilizzati dalla società si presumono distribuiti ai soci; e, dall'altro, nel determinare gli utili distribuiti secondo la percentuale di partecipazione, faceva riferimento ai ricavi accertati a carico della società e non al reddito di impresa accertato nei confronti della medesima.

L'Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 39 comma 1 d.P.R. n. 600/1973, in combinato disposto con l'art. 2729 c.c., per avere la Commissione Tributaria Regionale confuso i diversi presupposti di recupero dell'imposta, dal momento che, secondo l'Amministrazione finanziaria, nei confronti della società i ricavi “in nero” (rectius: in evasione di imposta) si andavano semplicemente ad aggiungere a quanto dichiarato e documentato effettivamente dall'impresa.

Gli stessi ricavi rilevavano poi anche nei confronti del socio, in quanto presuntivamente distribuiti, al di là di ciò che risultava (solo formalmente) a livello contabile, essendo stati appunto conseguiti in evasione di imposta.

La questione

La questione, più volte affrontata in sede di legittimità (tra molte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27778/2017), riguardava l'accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, laddove viene riconosciuta come legittima la presunzione di attribuzione ai soci partecipanti alla stessa società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo comunque salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi accertati non siano stati fatti oggetto di distribuzione tra i soci, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti.

A tal fine non è comunque sufficiente la mera deduzione che l'esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass., 2 marzo 2011, n. 5076; 12 aprile 2013, n. 8954; 9 luglio 2018, n. 18042).

La presunzione in esame, vale del resto anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica, di per sé, un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell'esistenza di utile extrabilancio (cfr., Cass., 18 novembre 2014, n. 24572).

Quello che in tali casi rileva è dunque la mera ristrettezza dell'assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria che i ricavi extracontabili non siano stati distribuiti tra i soci (cfr., Cass., 24 gennaio 2019, n. 1947).

In sostanza, la forma partecipativa consente di riconoscere, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall'art. 2729 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Venendo al caso in giudizio, secondo la Suprema Corte, il ricorso era fondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che, nella specie, secondo l'accertamento in fatto, ormai intangibile, operato dalla Commissione Tributaria Regionale, era stato rilevato che “il reddito d'impresa accertato nei confronti della società è pari ad € 93.405,00 ed esso deriva dalla differenza tra i ricavi accertati (€ 313.027,00) ed i costi accertati (€ 167.366,00-52.256,99)”.

Secondo la medesima Commissione, tuttavia, l'operato dell'Ufficio era erroneo, avendo questo “preso a base del calcolo i ricavi accertati, pari ad € 313.027,00 e non gli utili (o reddito di impresa accertato), pari ad € 93.045,00, come sarebbe stato invece corretto fare”.

La Corte di Cassazione, nell'esaminare tale motivazione, rileva dunque che, per tassare gli utili da partecipazione in società ed enti soggetti ad IRES, ex art. 44, comma 1, lett. e), TUIR, in linea teorica, vanno applicati i criteri di imponibilità per esenzione (limitata) in capo ai soci, secondo le diverse percentuali stabilite in funzione della natura del socio partecipante, così come stabilite dagli artt. 47 (per le persone fisiche) e 89 (per imprese e società) seguenti del TUIR.

Si passa così dall'esenzione limitata al 95% - con imponibilità del 5% - se il socio è una società di capitali o ente commerciale soggetto ad IRES -, all'esenzione limitata, oggi al 41,86%, con tassazione del 58,14% (per gli utili posti in distribuzione a partire dal 1° gennaio 2008, ex L. 27 dicembre 2017, n. 205), se si tratta di socio di società di persone o persona fisica che detiene la partecipazione nell'esercizio di un'impresa, fino ad arrivare all'applicazione dell'imposta sostitutiva del 26% sugli utili deliberati se a percepire gli utili (dopo il 1° gennaio 2018) è una persona fisica che detiene la partecipazione, fuori dall'esercizio di una impresa, sia che si tratti di partecipazione qualificata, che non qualificata.

Per gli esercizi ante 2017 (e quindi per quanto era in rilievo nel giudizio in discussione) occorreva distinguere la posizione del socio, società o persona fisica che deteneva una partecipazione qualificata nell'esercizio d'impresa per applicare le diverse percentuali sopra indicate di imponibilità, a seconda dall'anno di maturazione dell'utile societario; e se la partecipazione non era qualificata la tassazione doveva avvenire a mezzo della ritenuta alla fonte del 26% da parte della società.

Poteva risultare quindi violato il regime di tassazione per esenzione di cui ai citati artt. 44 e 47, e 89 TUIR, tassandosi il maggior reddito accertato in capo alla società ad IRES (24%) ed imputando lo stesso “maggior reddito” - al lordo dell'imposta accertata (e nemmeno al netto) - “pro quota” su tutti i soci della società “a ristretta base azionaria”, come se si trattasse di un reddito d'impresa tassabile per trasparenza ex art. 5 TUIR (o artt. 115/116 TUIR), “dimenticando” l'Erario di aver tassato a fini IRES (24%), quel medesimo maggior reddito, sulla partecipata?

Secondo la Cassazione no.

Vero è che solo quando il regime degli utili da partecipazione applicabile è la trasparenza - che riguarda, com'è noto, tutte le società di persone (art. 5 TUIR) e le società di capitali che hanno optato per quel regime alternativo (artt. 115/116 TUIR) - il reddito d'impresa prodotto dalla partecipata non è tassato in alcuna misura ai fini delle IIDD, ma è imputato pro-quota in capo ai soci “indipendentemente dalla percezione”, affinché il reddito prodotto venga assoggettato all'imposta personale esclusivamente in capo ai soci (e non quindi “anche” sulla società).

In realtà, tuttavia, la mancata applicazione del regime di esenzione anche fuori dai casi sopra indicati non produceva nella specie alcun effetto distorsivo, in quanto il beneficio dell'esenzione parziale dall'imposizione degli utili societari opera unicamente nel caso in cui si faccia riferimento a redditi regolarmente dichiarati dalla società in un documento contabile (cfr., Cass. n. 8730 del 2021) e non anche invece per gli utili extrabilancio, che, una volta accertati, vanno imputati in misura intera e non ridotta (cfr., Cass. n. 9137 del 2021).

Il fondamento di tali conclusioni, afferma ancora la Cassazione, si riviene nella considerazione per la quale, come anche nella specie, la società risulta in tali casi, in concreto, trasparente come una società di persone, poiché i soci, come avviene nelle entità prive di personalità giuridica in senso proprio, agiscono come tali ripartendosi sic et simpliciter l'utile societario presuntivamente accertato in capo alla società.

Osservazioni

In conclusione, come già affermato dalla giurisprudenza della Cassazione (cfr., Cass. n. 26317/2020; Cass. n. 34282/2019), quando viene contestata, in caso di società a ristretta base partecipativa, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, non è in alcun modo applicabile (diversamente da quanto sostiene parte della dottrina) il disposto di cui all'art. 47 TUIR, che attiene alla tassazione degli utili distribuiti ai soci con delibere formali dell'assemblea, e, pertanto, non trova applicazione, per i redditi extracontabili, che, per definizione, non risultano menzionati nella contabilità societaria.

L'art. 47 TUIR, laddove dispone che, "salvi i casi di cui all'art. 3, comma 3, lett. a), gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società..., anche in occasione della liquidazione, concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40 per cento del loro ammontare", introduce un sistema di parziale esclusione della tassazione degli utili al solo fine di mitigare gli effetti della doppia imposizione economica, in quanto gli utili distribuiti sono stati già tassati in capo alla società che li ha prodotti.

Ma, nei casi in esame, trattandosi di utili ottenuti in evasione di imposta, e quindi mai pervenuti nella contabilità societaria, in quanto non oggetto di registrazione nelle scritture, né di indicazione in dichiarazione, è chiaro che non vi è alcun obbligo di mitigare una doppia imposizione che non v'è mai stata, essendo gli stessi utili sfuggiti alla imposizione a livello societario.

Il beneficio dell'esenzione parziale nella imposizione degli utili societari viene quindi in tal caso meno.

L'utile extrabilancio diviene, in sostanza, un utile equiparato a quello ottenuto per trasparenza dalle società di cui all'art. 5 TUIR e di cui agli artt. 115 e 116 TUIR.

Al di là dello specifico caso processuale, giova comunque anche evidenziare quanto segue.

La presunzione di distribuzione pro quota ai soci di utili extracontabili accertati nei confronti della società non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza dei maggiori redditi della società, bensì dalla ristrettezza dell'assetto societario, la quale implica, normalmente, un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale (cfr., Cass., n. 26914 del 13/09/2022).

L'applicazione alle società di capitali a ristretta base partecipativa della presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili, come conferma anche la sentenza in commento, è del resto legittima anche in assenza di rapporti di parentela (cfr., Cass., n. 24572 del 18/11/2014).

Si è infatti a tal riguardo precisato (Cass., n. 28247 del 2020) che, seppure sia vero che, in genere, l'esistenza di stretti rapporti familiari costituisca una circostanza che rafforza la presunzione di una diffusione "circolare" delle notizie, tuttavia non è “necessario” che sussistano tali rapporti, costituendo regola di comune esperienza quella per cui dalla ristrettezza della base sociale discende - secondo l'id quod plerumque accidit e salva la possibilità del contribuente di fornire la prova contraria - un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci stessi.

Pertanto, anche nell'ipotesi, in cui siano assenti rapporti di parentela, scatta comunque la presunzione che i soci siano edotti degli affari sociali e quindi siano consapevoli dell'esistenza di utili extra bilancio e che se li distribuiscano in proporzione delle rispettive quote di partecipazione al capitale (Cass., 18 novembre 2014, n. 24572; Cass., 12 novembre 2012, n. 19680).

E' dunque in tali casi legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio, trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d'imposta in cui gli utili sono stati conseguiti (cfr., Cass., Sentenza n. 25468 del 18/12/2015, Cass. n. 7564 del 2003; Cass., n. 24572 del 2014).

La presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili da parte di società di capitali a ristretta base azionaria si applica peraltro non solo se il maggior reddito accertato tragga origine da ricavi occultati, ma anche nell'ipotesi di costi fittizi o indeducibili.

Infatti i costi costituiscono in tutti i casi un elemento rilevante ai fini della determinazione del reddito d'impresa, sicché, quando essi siano fittizi o indeducibili, scatta comunque la presunzione che il medesimo reddito è maggiore di quanto dichiarato o indicato in bilancio.

Anche dunque nel caso in cui il costo sia indeducibile, anche se effettivamente sostenuto con somme erogate in concreto dalla società, la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta (cfr., Cass. n. 25322 del 25/08/2022).