È valida la richiesta di trattazione orale inviata a mezzo PEC allegando un file Word e non PDF

Luigi Giordano
27 Gennaio 2023

La richiesta di trattazione orale del giudizio di appello, qualora trasmessa a mezzo PEC, può essere contenuta in un file allegato in formato Word oppure, a pena di inammissibilità, il file deve essere PDF?
Massima

In tema di giudizio d'appello, nel vigore della disciplina emergenziale di contenimento della pandemia da Covid-19, non è inammissibile la richiesta di trattazione orale trasmessa dal difensore dell'imputato tramite PEC, allegando un documento in formato WORD e non PDF.

Il caso

La Corte d'appello confermava l'affermazione di responsabilità degli imputati per il reato di lesioni aggravate, rideterminando la pena loro inflitta.

Avverso questa decisione gli imputati proponevano ricorso per cassazione, deducendo, tra l'altro, che la Corte di appello avesse erroneamente dichiarato irrituale la richiesta di discussione orale trasmessa a mezzo PEC in quanto contenuta in un file allegato alla mail in formato Word, anziché PDF. La Corte di appello, inoltre, aveva ritenuto tardiva la successiva istanza trasmessa sempre a mezzo PEC, cui erano allegati due file in formato PDF, il primo recante la firma digitale, il secondo privo di tale sottoscrizione.

La questione

La richiesta di trattazione orale del giudizio di appello, prevista dall'art. 23-bis, comma 4, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176/2020, qualora trasmessa a mezzo PEC, può essere contenuta in un file allegato in formato Word oppure, a pena di inammissibilità, il file deve essere PDF?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo, annullando con rinvio la sentenza impugnata.

La Corte di appello, invero, aveva giudicato “irrituale” la richiesta di trattazione orale in quanto trasmessa dal difensore per mezzo di una mail certificata alla quale era stato allegato un file in formato Word e non PDF.

La Corte di cassazione ha ritenuto che le disposizioni che disciplinano la trasmissione della richiesta di trattazione orale non prevedano una sanzione processuale nel caso di istanza inoltrata con le modalità descritte.

L'art. 23-bis, commi 2 e 4, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in particolare, dispone semplicemente che la richiesta di discussione orale debba essere formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine di 15 giorni liberi prima dell'udienza e debba essere trasmessa alla cancelleria della Corte d'appello per mezzo dei canali di notificazione, comunicazione e deposito previsti dal comma 2 della medesima norma. Tale norma richiama l'utilizzo della posta elettronica certificata secondo le previsioni dell'art. 16, comma 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 179, conv. con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221. Essa, quindi, ha esteso al deposito dell'atto proveniente dai difensori lo strumento della posta elettronica certificata originariamente riservato alle notificazioni a cura della cancelleria e dirette a persone diverse dall'imputato.

L'art. 24, comma 4, dello stesso decreto-legge n. 137/2020, invece, stabilisce che, per tutti gli atti i documenti e le istanze comunque denominati, diversi da quelli contemplati nei commi 1 e 2 della medesima norma – ossia, diversi dalle memorie, documenti e istanze indicate nell'art. 415-bis, comma 3, c.p.p., per i quali è previsto esclusivamente il deposito nel portale del processo penale - è consentito il deposito con valore legale mediante l'invio all'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'art. 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44.

Questa seconda disposizione prosegue precisando che il deposito con le modalità telematiche deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e alla sottoscrizione digitale e le ulteriori modalità di invio. Quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima stabilita nel provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al presente comma" il deposito può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata. Il deposito è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza.

Il provvedimento del Direttore generale sistemi informativi automatizzati del 9 novembre 2020 – denominato “Individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, cit., e le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio” - prevede che l'atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare per mezzo del servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari indicati nell'art. 2, debba rispettare taluni requisiti, tra cui, effettivamente, il formato PDF, ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti, non essendo ammessa la scansione di immagini. Tali prescrizioni, tuttavia, non sono presidiate da una sanzione di inammissibilità.

Lo stesso art. 24 cit., infatti, limita la disciplina delle cause di inammissibilità al mancato rispetto di alcune regole previste per la trasmissione degli atti di impugnazione.

Ne discende che, in assenza di una previsione sanzionatoria e non ricorrendo, nel caso concreto, esigenze di immodificabilità del contenuto della richiesta, peraltro esplicitato nell'oggetto del messaggio di posta elettronica, la ritenuta inammissibilità della richiesta stessa finisce per tradursi in un formalismo del tutto avulso dalle esigenze di certezza cui la normativa tecnica è preordinata.

La Corte di cassazione ha altresì aggiunto che, pronunciandosi sulle diverse cause di inammissibilità previste dall'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137 del 2020, la giurisprudenza ha, comunque, privilegiato un approccio che ripudia un rigido formalismo e che risponde alla necessaria verifica della tutela dei valori che le prescrizioni formali introdotte intendono presidiare. Tali valori, sostanzialmente, consistono nella certezza dell'identificazione del mittente per mezzo della identità digitale delineata dall'indirizzo PEC ufficialmente attribuito al difensore e dell'autenticità della sottoscrizione (Cass. pen., sez. VI, n. 40540/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 40540/2021; Cass. pen., sez. I, n. 2784/2021, dep. 2022; Cass. pen., sez. I, n. 41098/2021).

La soluzione accolta, inoltre, è stata ritenuta conforme alla giurisprudenza della Corte EDU. Sul punto, è stato osservato che, di recente, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza del 9 giugno 2022, resa nel caso Xavier Lucas c. Francia, ha ribadito, sia pure in vicenda dai contorni diversi da quelli qui rilevanti, che il diritto ad accedere al processo deve essere concreto ed effettivo: tanto impone alle autorità interne di evitare eccessi di formalismo capaci di tradursi in un sostanziale diniego di giustizia.

Tanto premesso, in tema di giudizio d'appello, nel vigore della disciplina emergenziale di contenimento della pandemia da Covid-19, ove il difensore dell'imputato abbia inoltrato rituale e tempestiva richiesta di trattazione orale, lo svolgimento del processo con rito camerale non partecipato determina una nullità generale a regime intermedio per violazione del contraddittorio, deducibile con ricorso per cassazione (Cass. pen., sez. V, n. 44646/2021).

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata, senza rinvio perché nelle more del giudizio di cassazione il reato è estinto per intervenuta prescrizione.

Osservazioni

1. La Corte di cassazione ha ritenuto che, in mancanza di una previsione sanzionatoria di legge, non possa essere ravvisata l'inammissibilità dell'istanza di trattazione orale del giudizio di appello inoltrata a mezzo PEC, secondo quanto previsto dalla normativa emergenziale, ma con atto in formato Word e non PDF, come invece richiesto dal provvedimento del Direttore generale sistemi informativi automatizzati del Ministero della Giustizia del 9 novembre 2020, attuativo di tale normativa.

Tale soluzione è in linea con l'indirizzo dottrinale prevalente in tema di inammissibilità.

Il problema della tassatività delle cause d'inammissibilità, infatti, è risolto diversamente a seconda che si tratti di cause d'inammissibilità "generali" o "speciali": mentre nelle prime rientrano i vizi relativi ai presupposti comuni a tutti gli atti di parte - quali, a titolo esemplificativo, l'interesse, la capacità, la legittimazione - nelle seconde si ricomprendono i vizi attinenti a specifici presupposti di forma e di sostanza di ciascun atto, il quale può presentare caratteristiche e requisiti particolari dovuti alla sua peculiare natura. Con riferimento a quest'ultima categoria deve ritenersi sicuramente operante il principio di tassatività: «in assenza di una norma che imponga ad un soggetto, nel compimento di un atto, l'osservanza di specifiche forme previste a pena d'inammissibilità, sarebbe un'operazione ermeneutica tecnicamente scorretta ed arbitraria quella di ritenere che il difetto degli stessi determini l'inammissibilità dell'atto» (così, R. Fonti, Inammissibilità, in Digesto disc. pen. 2010).

2. La decisione si segnala nella parte in cui ha affermato che, pronunciandosi sulle diverse cause di inammissibilità dei depositi telematici previste dall'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, la giurisprudenza ha privilegiato un approccio che ripudia un rigido formalismo e che risponde alla necessaria verifica della tutela dei valori che le prescrizioni formali introdotte intendono presidiare. Tali valori sono stati specificamente individuati nella certezza dell'identificazione del mittente per mezzo della identità digitale delineata dall'indirizzo PEC ufficialmente attribuito al difensore e dell'autenticità della sottoscrizione (Cass. pen., sez. VI, n. 40540/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 40540/2021; Cass. pen., sez. I, n. 2784/2021; Cass. pen., sez. I, n. 41098/2021), oltre che nella tutela di esigenze di immodificabilità del contenuto della richiesta.

La decisione, peraltro, ha rilevato che, nella specie, la richiesta di trattazione orale era verosimilmente già contenuta nel testo della mail cui era stato allegato il documento in formato Word. La declaratoria di inammissibilità, pertanto, a maggior ragione, nella logica della sentenza illustrata, si è rivelata soltanto un rigido formalismo, slegato da ogni fondamento sostanziale.

3. Le disposizioni che hanno legittimato l'uso della PEC per la spedizione delle impugnazioni, più nello specifico, sono state oggetto di diverse pronunce della Corte di cassazione (per una ricognizione delle stesse, sia consentito il rinvio a L. Giordano, L'invio dell'impugnazione a mezzo PEC al vaglio della Corte di cassazione, in www.ilprocessotelematico.it, 24 novembre 2021), le quali, in particolare, hanno ritenuto inammissibile l'impugnazione priva della firma digitale dell'atto di impugnazione (Cass. pen., sez. II, n. 2874/2021; Cass. pen., sez. III, n. 26009/2021) o con una firma digitale non valida (Cass. pen., sez. VI, n. 38152/2021), riconoscendo il rilievo centrale che assume detta firma, la quale è in grado di garantire l'identificabilità della provenienza dell'atto da colui che appare come suo autore. Al contrario, è stato ritenuto valido l'atto che presentava una modifica successiva alla sottoscrizione digitale (Cass. pen., sez. VI, n. 40540/2021) o una mera irregolarità di tale sottoscrizione (Cass. pen., sez. V, n. 22992/2022).

Inoltre, è stata ritenuta inammissibile l'impugnazione trasmessa a una casella di posta elettronica certificata diversa da quella individuata dal provvedimento del 9 novembre 2020 emesso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, ai sensi dell'art. 24, comma 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazione dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (Cass. pen., sez. III, n. 26009/2021).

Di recente, la Corte di cassazione ha precisato che il legislatore ha individuato alcuni requisiti tecnici essenziali dell'atto, richiesti ad substantiam, per assicurare, mediante l'utilizzo delle più avanzate funzionalità delle moderne tecnologie della comunicazione e dell'informazione, la provenienza dell'impugnazione, l'originalità e completezza dell'atto e il tempestivo e completo recapito all'ufficio giudiziario destinatario. Il difetto di tali requisiti (in particolare della riferibilità all'ufficio giudiziario della casella di destinazione) determina l'inesistenza giuridica dell'atto (Cass. pen., sez. I, n. 28587/2022).

La Corte di legittimità, infine, ha affermato che la disposizione di cui all'art. 24 del d.l. n. 137 del 2020, come modificato dalla legge di conversione n. 176 del 2020, non consente la modalità di deposito telematico dell'impugnazione alle Procure, essendo espressamente limitata alle sole parti private (Cass. pen., sez. VI, n. 31247/2021; Cass. pen., sez. VI, n. 24714/2021).

4. Il d.lgs. n. 150/2020, introducendo una disciplina organica che istituzionalizza il processo penale telematico, non ha previsto nuove ipotesi di invalidità degli atti per favorire una maggiore facilità di attuazione della riforma.

Sul punto, si è solo provveduto ad adattare le cause di invalidità esistenti alla transizione digitale, sulla base della considerazione che un sistema, già ricco di previsioni invalidanti, non necessitasse di ulteriori casi di invalidità.

5. Il nuovo art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, introdotto dalla legge n. 199/2022 di conversione del d.l. n. 162/2022, ha disposto che le previsioni contenute nell'art. 24 del d.l. n. 137/2020, conv. in legge n. 176/2020, continueranno ad essere applicabili fino alla piena istituzionalizzazione del processo penale telematico (mentre, sempre con la legge n. 199 di conversione del decreto-legge indicato, è stato riformulato l'art. 87 del d.lgs. n. 150/2022 riproducendo la disciplina concernente il deposito degli atti nel portale dei servizi telematici, già dettata dall'art. 24, commi da 1 a 3, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176).

È stato dunque scongiurato il rischio di una soluzione di continuità circa la possibilità del deposito degli atti a mezzo PEC.

È stata scelta la tecnica normativa della riscrittura delle disposizioni già contenute nell'art. 24 del d.l. n. 137/2020, come convertito dalla legge n. 176/2020, in luogo di effettuare un mero rinvio a tali norme.

Ciò ha consentito qualche significativa modifica in tema di proposizione dell'impugnazione a mezzo PEC, concernente le cause di inammissibilità dell'impugnazione.

6. Il nuovo intervento normativo, invero, assume un particolare rilievo per gli atti di impugnazione che non possono più essere presentati a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento o con telegramma a causa dell'abrogazione dell'art. 583 c.p.p. dal 30 dicembre 2022, essendo entrato in vigore il d.lgs. n. 150 del 2022, e neppure nella cancelleria del tribunale o del giudice di pace del luogo in cui si trovano i difensori e le parti, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento a seguito dell'abrogazione dell'art. 582, comma 2, c.p.p. (tali abrogazioni sono state disposte dall'art. 98 del d.lgs. n. 150/2022; va segnalato, invece, che l'art. 582, comma 1, c.p.p., a norma dell'art. 87 del d.lgs. n. 150/2022 rimane applicabile nella sua versione precedente alla riforma fino alla istituzionalizzazione del processo penale telematico).

In attesa della possibilità di deposito telematico nelle forme di cui all'art. 111-bis c.p.p. secondo quanto previsto dal nuovo testo dell'art. 582 cod. proc. pen., che interverrà solo quando sarà istituzionalizzato il processo penale telematico, pertanto, è apparso indispensabile prorogare la possibilità di invio a mezzo PEC dell'impugnazione.

Riscrivendo le disposizioni in tema di proposizione dell'impugnazione a mezzo PEC, in particolare, è stata riproposta la norma secondo cui «quando il deposito di cui al comma 1 – cioè, il deposito a mezzo PEC - ha ad oggetto un'impugnazione, l'atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1 e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale»(art. 87-bis, comma 3, d.lgs. n. 150/2022, introdotto dalla legge di conversione del d.l. n. 162/2022). Il difensore, dunque, deve sottoscrivere digitalmente anche la copia informatica degli allegati “per conformità all'originale”.

L'omissione di tale adempimento, tuttavia, non determina più l'inammissibilità dell'impugnazione, non essendo stata ricompresa tale causa di inammissibilità tra quelle elencate nell'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150/2022.

Non è stata riproposta, difatti, la causa di inammissibilità prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. b), del d.l. n. 137/2020, conv. in legge n. 176/2020.

Neppure è stata riproposta la causa di inammissibilità che era prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. d), del d.l. n. 137/2020, conv. in legge n. 176/2020 che ricorreva “quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore”.

L'inammissibilità dell'impugnazione, che va dichiarata anche d'ufficio dal giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, secondo l'art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150/2022, ricorre:

a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;

b) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44;

c) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro provvedimenti resi in materia di misure cautelari, personali o reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, all'ufficio competente a decidere il riesame o l'appello.

Ne consegue che, a seguito dell'intervento normativo in esame, l'atto di impugnazione, a pena di inammissibilità, deve essere trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che è presente nel registro generale degli indirizzi elettronici, anche se non di tratta dell'indirizzo del difensore.

Il legislatore, dunque, ha seguito la medesima ratio dell'intervento della Corte di cassazione e che consiste nella esclusione del rilievo di qualsiasi rigido formalismo, slegato dall'esigenza di salvaguardare la certezza della provenienza dell'atto dal soggetto legittimato e dell'immodificabilità del testo, ove tale caratteristica assuma un senso.

7. Pare utile evidenziare che, secondo il nuovo art. 87-bis, comma 6, d.lgs. n. 150/2022, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari, personali o reali, l'atto di impugnazione, in deroga a quanto disposto dal comma 3, è trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale di cui all'articolo 309, comma 7, c.p.p.

Questa norma ricalca fedelmente il contenuto dell'art. 24, comma 6-quinquies, d.l. n. 137/2020, conv. in legge n. 176/2020. Essa fa riferimento alla spedizione in via telematica di una richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari non solo personali, ma anche reali. È tuttavia indicato come ufficio giudiziario destinatario il solo tribunale di cui all'art. 309, comma 7, c.p.p. (cioè, come è noto, il tribunale del luogo nel quale ha sede la Corte di appello o la sezione distaccata della Corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza) e non quello di cui all'art. 324, comma 5, c.p.p. o all'art. 322-bis, comma 1-bis, c.p.p. (il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento), competente in tema di impugnazione di misure cautelari reali.

Tra le soluzioni interpretative ipotizzate per porre rimedio a quella che era sembrata una disattenzione del legislatore, vi era quella di ritenere che, in tema di impugnazione di provvedimenti cautelari reali, non potesse trovare applicazione l'art. 24, comma 6-quinquies, d.l. n. 137/2020, perché non avrebbe avuto senso far trasmettere ad un Tribunale incompetente tali impugnazioni, quanto meno nei casi in cui il tribunale di cui all'art. 309, comma 7, c.p.p. non coincidesse con quello previsto dall'art. 324, comma 5, c.p.p., competente in tema di impugnazione avverso i provvedimenti cautelari reali.

In occasione della riscrittura delle cause di inammissibilità dell'impugnazione presentata a mezzo PEC è stato stabilito dall'art. 87-bis, comma 7, lett. c), del d.lgs. n. 150/2022, introdotto dalla legge di conversione del d.l. n. 162/2022, che l'atto deve essere dichiarato inammissibile anche quando la richiesta di riesame o di appello contro provvedimenti resi in materia di misure cautelari reali è stato trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, all'ufficio competente a decidere il riesame o l'appello. Il riferimento “all'ufficio competente a decidere” induce a ritenere che l'atto di impugnazione di una misura cautelare reale vada proposto a mezzo PEC all'indirizzo del tribunale del capoluogo della provincia, cioè all'ufficio competente a decidere l'impugnazione ex artt. 322-bis, comma 1-bis e 324, comma 5, c.p.p.