L’ordine cronologico delle donazioni è vincolante per il legittimario che agisce con azione di riduzione?

Barbara D'Amato
31 Gennaio 2023

Può il legittimario decidere di far ricadere il peso della riduzione in maniera difforme dal disposto degli artt. 555, 558 e 559 c.c., oppure la logica della riduzione impone di considerare l'ordine cronologico delle donazioni?
Massima

“L'ordine da seguire nella riduzione delle disposizioni lesive è tassativo ed inderogabile: non è consentito al legittimario di far ricadere il peso della riduzione in modo difforme da quanto dispongono gli artt. 555, 558 e 559 c.c. Consegue, dalla inderogabilità dell'ordine di riduzione che: […] il legittimario non può recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe prendere dal donatario posteriore: se la donazione posteriore è capiente, le anteriori non sono riducibili, anche se la prima non sia stata attaccata in concreto con l'azione di riduzione.”

Il caso

La causa in oggetto veniva promossa con riferimento alla successione di Tizio, il quale aveva disposto dei propri beni con testamento, nominando erede la moglie Tizia e lasciando alle due figlie Caia e Sempronia la sola quota di riserva. Caia conveniva in giudizio la sorella, in contraddittorio con la madre, chiedendo la riduzione delle donazioni fatte in vita dal padre in favore di Sempronia.

Il Tribunale, dopo aver accertato l'entità dei beni relitti e dei beni donati, stabiliva la misura della quota di riserva e conseguentemente riconosceva all'attrice il diritto di incamerare la totalità dei beni relitti, condannando la donataria convenuta in riduzione a corrispondere, per equivalente, quanto ancora necessario per eguagliare la quota di riserva dell'attrice.

La Corte di Appello, nel confermare la decisione del Tribunale, riteneva tra l'altro inammissibile la produzione di nuovi documenti da parte dell'appellante, riconoscendo insussistente il requisito della non imputabilità della mancata produzione nel giudizio di primo grado, ex art. 345 c.p.c., e sottolineando che tali documenti, peraltro, non sarebbero stati utilizzabili per la ricostruzione del relictum.

Sempronia quindi ricorreva in Cassazione; con il primo motivo di ricorso sosteneva che la Corte di Appello aveva valutato l'inammissibilità delle nuove produzioni documentali in applicazione del testo attuale dell'art. 345 c.p.c., mentre avrebbe dovuto applicarsi il testo previgente, ratione temporis, che consentiva la produzione in appello dei documenti ritenuti indispensabili ai fini della decisione. Sempronia aveva interesse a far risultare una maggiore consistenza dei beni relitti in modo da circoscrivere l'esistenza della lesione cagionata dalle donazioni, ovvero a far emergere l'esistenza di altre eventuali donazioni in guisa da circoscrivere la riducibilità delle proprie.

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello in diversa composizione, in accoglimento del primo motivo. Ha quindi affidato al giudice del rinvio il compito di esaminare le nuove produzioni, alla luce del testo previgente dell'art. 345 c.p.c., per verificare se esse fornivano la prova di nuovi cespiti da includere nella riunione fittizia, al fine di poter ricalcolare la quota di riserva dell'attrice, consentendo il recupero di quanto occorrente a reintegrare la sua quota riservata in primo luogo sul relictum e poi tramite riduzione delle donazioni fatte alla sorella. All'uopo, la Corte ha precisato che queste ultime dovranno essere aggredite soltanto al netto di quanto la legittimaria avrebbe avuto diritto di prendere sulle donazioni eventualmente più recenti che – per scelta dell'attrice – non sono state attaccate con l'azione di riduzione.

La Suprema Corte, che sottolinea diverse criticità nel percorso argomentativo dei giudici di primo e secondo grado, trova anche occasione per ritornare sul tema della differente modalità della riduzione delle liberalità dirette ed indirette, riconfermando l'indirizzo risalente alla pronuncia della Cass. n. 11496/2010, che aveva subito un breve arresto con la sentenza n. 4523/2022.

La questione

La questione in esame è la seguente: è consentito al legittimario far ricadere il peso della riduzione in maniera difforme da quanto previsto dagli articoli 555, 558 e 559 c.c.? E quindi, è possibile per il legittimario leso che agisce in riduzione aggredendo una donazione meno recente, recuperare quanto potrebbe prendere dal donatario posteriore (non aggredito soltanto per sua scelta)?

Le soluzioni giuridiche

La risoluzione della problematica posta dal caso di specie ha richiesto un necessario preliminare approfondimento in merito ai diversi passaggi che devono essere rispettati in una causa di riduzione per lesione di legittima; l'azione di riduzione presuppone la riunione fittizia, quale operazione contabile funzionale a verificare se vi sia stata una lesione della quota di riserva.

Sotto questo profilo, la Corte ha sottolineato come qualsiasi documento idoneo a dare la prova di beni ulteriori da comprendere nella massa ex art. 556 c.c. sia, per definizione, indispensabile. Nella delineata prospettiva, ecco quindi che secondo la Corte possono assumere rilievo ai fini del relictum o del donatum, un documento bancario dal quale risulti la riscossione di una somma dal conto corrente del de cuius il giorno successivo alla morte, ovvero un documento dal quale emerga l'esistenza di una cassetta di sicurezza estinta dopo l'apertura della successione, o ancora un assegno intestato al defunto e versato sul conto corrente del coniuge.

Solo dopo aver ricostruito l'entità dell'asse ereditario, è possibile imputare alla quota del legittimario quanto ha ricevuto dal defunto, in guisa da individuare la lesione; una volta accertata quest'ultima però, al legittimario non è consentito far cadere il peso della riduzione in maniera difforme dal disposto degli articoli 555, 558 e 559 c.c.

In particolare, la Corte trae da siffatto principio alcuni corollari importanti, tutti ispirati dalla medesima logica: il legittimario che non abbia potuto aggredire tutte le disposizioni testamentarie non potrà recuperare a scapito dei convenuti la quota di lesione che sarebbe a carico del beneficiario che non ha potuto o voluto convenire in riduzione (ad esempio nel caso di legato a favore di persona che non sia coerede, laddove il legittimario non abbia accettato l'eredità con beneficio di inventario – condizione per agire in riduzione contro donatari non coeredi); analogamente, il legittimario non può recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe prendere dal donatario posteriore.

In sostanza, il principio generale affermato dalla pronuncia in esame, che conferma un indirizzo costante e risalente, è che ogni qual volta il legittimario non possa o non voglia aggredire una donazione più recente, non potrà aggredire la donazione meno recente, se non nei limiti in cui risulti dimostrata l'insufficienza della donazione più recente a reintegrare la sua quota di riserva.

Osservazioni

Molto interessanti sono alcuni passaggi della motivazione della sentenza, laddove la Corte di Cassazione critica il percorso argomentativo dei giudici di merito, che, innanzitutto, avevano identificato l'esistenza di una donazione fatta dal de cuius al coniuge escludendone però il carattere lesivo in quanto la stessa era di valore inferiore alla quota di eredità attribuita per testamento alla moglie. Infatti, secondo la Suprema Corte, i giudici avevano applicato i meccanismi della collazione, realizzando una parziale redistribuzione del donatum fra le coeredi mentre in realtà, essendosi mossi nell'ottica della riduzione, avrebbero dovuto applicarne le relative regole e quindi considerare l'ordine cronologico delle donazioni.

Secondo la Corte “se il calcolo generale della quota di riserva, imposto dall'art. 556 c.c., rivela che la disponibile è stata esaurita in vita con donazioni, la considerazione che una donazione più recente è di valore inferiore alla quota di eredità, eventualmente spettante al donatario in forza del testamento, non vale a sottrarla dalla riduzione”.

Altrettanto critica è la posizione della Corte in merito alla scelta dei giudici di merito di operare la riduzione delle donazioni contrattuali “per equivalente”, motivata sulla base del rilievo che i beni donati erano stati venduti dalla donataria. Infatti, siffatta circostanza non avrebbe dovuto comportare come conseguenza la trasformazione del diritto del legittimario al bene in natura in un diritto di credito.

Pur non essendo il tema oggetto di specifica censura, la Corte di Cassazione ha approfondito la questione distinguendo le modalità operative della riduzione e della restituzione per le donazioni contrattuali e per quelle indirette, confermando l'indirizzo risalente alla sentenza n. 11496/2010: nelle prime, il bene donato proviene direttamente dal patrimonio del donante ed in caso di successiva alienazione, il legittimario può agire in restituzione anche contro gli aventi causa dal donatario; nelle donazioni indirette, invece l'azione di riduzione non mette in discussione la titolarità del bene ed “il valore dell'investimento finanziato con la donazione indiretta deve essere ottenuto dal legittimario leso con le modalità tipiche del diritto di credito”.

La posizione assunta dalla Corte è di particolare rilevanza, se si considera che smentisce quanto era stata affermato nella recente pronuncia n. 4523/2022 (che presupponeva la possibilità di sottoporre ad azione di restituzione il bene oggetto di liberalità indiretta).

Riferimenti

Successioni e Donazioni, diretto da G. Iaccarino, Trattati giuridici Omnia, Utet, 2017, Tomo I, 1387 ss.