Il Consiglio di Stato viene chiamato ad esprimersi sull'impugnazione di una delibera dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, emessa nell'ambito dell'esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo sui contratti pubblici di cui all'art. 213 del d.lgs. n. 50/2016.
La delibera aveva ad oggetto alcune varianti ritenute necessarie durante l'esecuzione di un appalto, ed il cui contenuto era stato sottoposto dalla stazione appaltante all'ANAC, ai sensi dell'art. 37 del d.l. n. 90/2014, convertito con l. n. 114/2014. L'ANAC riscontrava gravi disfunzioni e irregolarità nell'esecuzione dell'appalto, al contempo sollecitando l'amministrazione a comunicare le misure che avrebbe adottato a fronte delle osservazioni e disponendo la trasmissione dell'atto alla Procura regionale della Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica di Milano.
I ricorrenti, asserendo carenze istruttorie nell'atto predetto, presentavano istanza di riesame e di annullamento in via di autotutela, cui l'Autorità non forniva riscontro. Pertanto, questi adivano la giustizia amministrativa sostenendo che l'oggetto delle valutazioni dell'Autorità esorbitasse dall'attività di vigilanza in senso strettoe che l'ANAC avesse adottato tale provvedimento oltre il termine di sessanta giorni di cui al Regolamento dell'Autorità, rendendolo improcedibile per carenza di potere in concreto.
L'atto introduttivo del giudizio poggiava, in particolare, sulla considerazione che la delibera, lungi dall'incarnare una legittima attività di accertamento e vigilanza da parte dell'ANAC, censurasse invece nel merito l'operato della stazione appaltante. Da ciò si poteva desumere la natura sostanziale del provvedimento, parificato quoad effectum ad una raccomandazione vincolante.
Il Tar, con la sentenza impugnata, ha ritenuto il ricorso inammissibile per carenza di interesse, sul rilievo che, al pari dei pareri non vincolanti, la delibera dell'ANAC fosse priva di lesività nei confronti dei vigilati e che il suo scopo fosse stimolare la stazione appaltante ad esercitare i poteri di propria spettanza. Il provvedimento, in sostanza, avrebbe funzione non precettiva, bensì consultiva e di accertamento.
Il giudice di appello, disattendendo quanto stabilito in primo grado, ha invece ritenuto doversi accedere ad un criterio di verifica in concreto della lesività del provvedimento, non potendosi negare in astratto l'impugnabilità di una delibera non vincolante.