È impugnabile la deliberazione dell'ANAC che contiene vincoli conformativi puntuali alla successiva attività dei soggetti vigilati

Laura Mastroianni
02 Febbraio 2023

Il Consiglio di Stato viene chiamato ad esprimersi sull'impugnazione di una delibera dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, emessa nell'ambito dell'esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo sui contratti pubblici di cui all'art. 213 del d.lgs. n. 50/2016.
Massima

È impugnabile, a prescindere dal nomen juris, la delibera non vincolante dell'ANAC, qualora imponga ai suoi destinatari un vincolo conformativo che non permette loro di discostarsi, nella successiva attività, dalle osservazioni rese dalla stessa autorità.

Il caso

Il Consiglio di Stato viene chiamato ad esprimersi sull'impugnazione di una delibera dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, emessa nell'ambito dell'esercizio delle funzioni di vigilanza e controllo sui contratti pubblici di cui all'art. 213 del d.lgs. n. 50/2016.

La delibera aveva ad oggetto alcune varianti ritenute necessarie durante l'esecuzione di un appalto, ed il cui contenuto era stato sottoposto dalla stazione appaltante all'ANAC, ai sensi dell'art. 37 del d.l. n. 90/2014, convertito con l. n. 114/2014. L'ANAC riscontrava gravi disfunzioni e irregolarità nell'esecuzione dell'appalto, al contempo sollecitando l'amministrazione a comunicare le misure che avrebbe adottato a fronte delle osservazioni e disponendo la trasmissione dell'atto alla Procura regionale della Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica di Milano.

I ricorrenti, asserendo carenze istruttorie nell'atto predetto, presentavano istanza di riesame e di annullamento in via di autotutela, cui l'Autorità non forniva riscontro. Pertanto, questi adivano la giustizia amministrativa sostenendo che l'oggetto delle valutazioni dell'Autorità esorbitasse dall'attività di vigilanza in senso strettoe che l'ANAC avesse adottato tale provvedimento oltre il termine di sessanta giorni di cui al Regolamento dell'Autorità, rendendolo improcedibile per carenza di potere in concreto.

L'atto introduttivo del giudizio poggiava, in particolare, sulla considerazione che la delibera, lungi dall'incarnare una legittima attività di accertamento e vigilanza da parte dell'ANAC, censurasse invece nel merito l'operato della stazione appaltante. Da ciò si poteva desumere la natura sostanziale del provvedimento, parificato quoad effectum ad una raccomandazione vincolante.

Il Tar, con la sentenza impugnata, ha ritenuto il ricorso inammissibile per carenza di interesse, sul rilievo che, al pari dei pareri non vincolanti, la delibera dell'ANAC fosse priva di lesività nei confronti dei vigilati e che il suo scopo fosse stimolare la stazione appaltante ad esercitare i poteri di propria spettanza. Il provvedimento, in sostanza, avrebbe funzione non precettiva, bensì consultiva e di accertamento.

Il giudice di appello, disattendendo quanto stabilito in primo grado, ha invece ritenuto doversi accedere ad un criterio di verifica in concreto della lesività del provvedimento, non potendosi negare in astratto l'impugnabilità di una delibera non vincolante.

La questione

Il dibattito che il giudicante è stato chiamato a comporre riguarda l'ammissibilità dell'impugnazione di una delibera resa dall'ANAC nell'esercizio dell'attività di vigilanza e controllo, ai sensi dell'art. 213 del d.lgs. n. 50/2016.

Sebbene, infatti, il giudice di prime cure abbia parificato la stessa ad un parere non vincolante, non integrante una manifestazione di volontà lesiva delle situazioni giuridiche soggettive e dunque non impugnabile autonomamente, il principio sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa ad oggi maggioritaria si fonda sulla valutazione degli effetti dell'atto nella sfera giuridica del vigilato, effettuata caso per caso.

Le soluzioni giuridiche

Il collegio, con la sentenza in commento, aderendo all'orientamento della giurisprudenza prevalente, ha affermato che, per verificare l'autonoma impugnabilità delle delibere, occorre svolgere un accertamento in concreto sulla lesività diretta dell'atto, a prescindere dal relativo inquadramento dogmatico e dal relativo nomen juris.

In particolare, si è riscontrato nella delibera un chiaro contenuto conformativo, che non lasciava ai vigilati scelta sull'an e sul quomodo del suo recepimento. Il provvedimento, si osserva, ha preso in esame non solo le varianti ma l'appalto nel suo complesso, indicando ai vigilati di dare comunicazione degli strumenti correttivi che avrebbero inteso azionare.

Inoltre, secondo il Collegio, la natura ordinatoria dei termini di conclusione del procedimento che non siano espressamente definiti come perentori non è regola applicabile ai provvedimenti sostanzialmente sanzionatori, tra i quali spiccano quelli pregiudizievoli per l'altrui sfera giuridica. In questo caso, al di là della qualificazione giuridica, i termini si considerano sempre perentori, stante i principi di effettività del diritto di difesa e di certezza dei rapporti giuridici.

Osservazioni

La sentenza esaminata si pone nel solco di una corrente giurisprudenziale che, facendo proprio il concetto di lesività in concreto degli effetti del provvedimento, ammette l'impugnabilità di atti regolamentari o generali dal contenuto precettivo, che non lascino al destinatario margini di discrezionalità nella successiva declinazione attuativa.

Tale concetto si rinviene anche nelle pronunce del Consiglio di Stato che hanno accordato tutela giurisdizionale avverso le Linee guida dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, di cui all'art. 177 del codice dei contratti pubblici, data la loro caratterizzazione immediatamente prescrittiva e conformativa. Ne deriva la diretta impugnabilità di ogni provvedimento dell'Autorità che, sebbene rientrante nei poteri di vigilanza e controllo, vincola il contenuto della successiva attività del destinatario, facendo sorgere il diritto costituzionale di difesa in giudizio in capo al soggetto.

Netta, quindi, la distanza rispetto ad altro orientamento, che ritiene ammissibile l'impugnabilità di un parere non vincolante solo nell'ipotesi in cui la stazione appaltante ne recepisca o richiami il contenuto nel provvedimento finale; si tratterebbe di un'impugnazione congiunta del parere e del provvedimento autoritativo conclusivo.