I nipoti non possono essere obbligati a frequentare i nonni: l'interesse superiore del minore prevale su quello degli ascendenti
03 Febbraio 2023
In accoglimento della richiesta dei nonni e dello zio paterno, il Tribunale per i minorenni di Milano aveva disposto che i ricorrenti potessero intrattenere rapporti con i due nipotini, secondo la regolamentazione disposta dai servizi sociali, superando così gli ostacoli frapposti dai genitori. La decisione veniva confermata anche in appello, sulla base della constatazione per cui nessun pregiudizio poteva derivare per i bambini dalla frequentazione con i parenti paterni. I genitori hanno proposto ricorso per cassazione. Per quanto riguarda la posizione dei nonni, il Collegio ricorda che «le questioni concernenti le modalità con cui riconoscere il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni devono essere risolte alla luce del primario interesse del minore, secondo un principio di carattere generale che è riconducibile agli artt. 2,30 e 31 Cost., come la Corte costituzionale ha più volte chiarito (si veda in questo senso, da ultimo e per tutte, la sentenza n. 79/2022), e che viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento», tra cui la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e la Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini, approvata a New York il 3 dicembre 1986. In tal senso, «l'interesse superiore del minore, perciò, deve costituire la considerazione determinante e, a seconda della propria natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori o degli altri familiari». Pur riconoscendo il fatto che ogni bambino ha un interesse rilevante a fruire di un legame relazionale ed affettivo con i suoi ascendenti, per il tramite dei genitori, e che queste relazioni di norma «funzionano secondo linee armoniche e spontanee, perciò fruttuose per tutti gli attori in campo», vi sono casi particolari in cui occorre l'intervento giudiziale. Il giudice deve allora tenere in considerazione l'art. 317-bis c.c. che «nel riconoscere agli ascendenti un vero e proprio diritto a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, non attribuisce allo stesso un carattere incondizionato, ma ne subordina l'esercizio e la tutela, a fronte di contestazioni o comportamenti ostativi di uno o entrambi i genitori, a una valutazione del giudice avente di mira l‘ “esclusivo interesse del minore”, ovverosia la realizzazione di un progetto educativo e formativo, volto ad assicurare un sano ed equilibrato sviluppo della personalità del minore, nell'ambito del quale possa trovare spazio anche un'attiva partecipazione degli ascendenti, quale espressione del loro coinvolgimento nella sfera relazionale ed affettiva del nipote». L'apprezzamento richiesto al giudice di merito si sostanzia dunque in una valutazione in positivo della possibilità di procedere a tale coinvolgimento, quale presupposto indispensabile per l'utile cooperazione dei nonni all'adempimento degli obblighi educativi e formativi dei genitori. Nella vicenda in esame, i giudici di merito si sono invece limitata a constatare dell'insussistenza di un reale pregiudizio nel passare del tempo con i nonni e lo zio paterni. Ribadisce quindi il Collegio che «non è il minore a dovere offrirsi per soddisfare il tornaconto dei suoi ascendenti a frequentarlo, ove non ne derivi un “reale pregiudizio”, ma è l'ascendente – il diritto del quale ex art. 317-bis c.c. vale nei confronti dei terzi, ma non dei nipoti, il cui interesse è destinato a prevalere - a dovere prestarsi a cooperare nella realizzazione del progetto educativo e formativo del minore, se e nella misura in cui questo suo coinvolgimento possa non solo arricchire il suo patrimonio morale e spirituale, ma anche contribuire all'interesse del discendente». In caso di conflittualità fra genitori e ascendenti la questione rilevante non è quella di assicurare tutela a potestà contrapposte, individuando quale delle due debba prevalere sull'altra, ma «di bilanciare, se e fin dove è possibile, le divergenti posizioni nella maniera più consona al primario interesse del minore, il cui sviluppo è normalmente assicurato dal sostegno e dalla cooperazione dell'intera comunità parentale». Il giudice non è chiamato ad individuare quale dei parenti abbia ragione, imponendosi sulle argomentazioni dell'altro, ma deve stabilire, alla luce del superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici o conflittuali tra gli adulti si possano comporre e come ciò possa avvenire. Dopo aver verificato la possibilità di avviare una utile cooperazione tra gli adulti nella realizzazione del progetto educativo e formativo del bambino, dovrà determinare le concrete modalità di questa necessaria collaborazione, tenendo conto dei differenti ruoli educativi, e stabilire, di conseguenza, anche tramite l'ascolto dei minori coinvolti ai sensi dell'art. 315-bis, comma 3, c.c., le più opportune modalità di organizzazione degli incontri. In conclusione, «il mantenimento di rapporti significativi, perciò, non può essere assicurato tramite la costrizione del bambino, attraverso un'imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, cosicché nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336-bis c.c.». La Cassazione accoglie il ricorso dei genitori, cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa alla Corte d'appello di Milano in diversa composizione.
Fonte: dirittoegiustizia.it
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