Priorità assoluta e relativa nel concordato preventivo secondo il Codice della crisi

Filippo Lamanna
06 Febbraio 2023

L'Autore illustra, in modo quanto più chiaro e semplice, le regole e le modalità di distribuzione dell'attivo nel concordato preventivo in continuità aziendale secondo il Codice della crisi, evidenziando quale sia la funzione assolta dal parametro “valore di liquidazione” alla luce dei criteri distributivi della priorità assoluta e/o relativa ed indicando anche talune delle possibili criticità che possono derivarne in sede applicativa.
I criteri distributivi della priorità assoluta e/o relativa disciplinati dall'art. 84 del Codice della crisi

L'art. 84, comma 6, del Codice della crisi, innova, a seguito del Secondo Correttivo, le regole in tema di par condicio e graduazione applicabili nel concordato in continuità aziendale, facendo parziale applicazione del criterio di priorità relativa (relative priority rule — RPR).

Il primo e basilare parametro utilizzato dal legislatore delegato per disegnare il nuovo modello di distribuzione dell'attivo è il «valore di liquidazione», che, non a caso, va sempre indicato nel piano, come previsto dall'art. 87, comma 1, lett. c), disposizione, questa, che, inoltre, impone di calcolarlo rapportandolo all'ipotesi in cui si apra una liquidazione giudiziale e con riferimento alla data della domanda di concordato.

Tale valore serve anche per stabilire se, ed in che limiti, possa applicarsi la regola di priorità relativa prevista dall'art. 84, comma 6.

In sostanza, tale disposizione esige, al fine di regolare il trattamento che può essere riservato ai creditori prelazionari nel concordato in continuità aziendale, che siano individuati due diversi valori: uno è, appunto, il valore di liquidazione, ossia il valore dell'attivo in caso di liquidazione giudiziale calcolato alla data della domanda di concordato preventivo; l'altro è il valore che il piano ipotizza come conseguibile solo mediante, e durante, il concordato preventivo attraverso la prosecuzione dell'attività.

Dei due valori, uno statico, l'altro dinamico, il secondo costituisce il plusvalore da continuità nel concordato, e deriva, di norma, dai flussi finanziari prodotti dalla continuità d'impresa (che costituiscono di fatto sopravvenienze attive rispetto al valore di liquidazione dei beni fotografati staticamente al momento della domanda).

La regola distributiva viene articolata dai commi 6 e 7 in modo triplice:

a) il primo valore, quello di liquidazione, va distribuito sempre e comunque nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; si applica cioè la stessa regola ordinaria della priorità assoluta (absolute priority rule - APR) che si applicherebbe in caso di liquidazione giudiziale;

b) per il valore che si assume (o, meglio, che si presume già ex ante) realizzabile, durante il concordato preventivo, in misura eccedente quello iniziale di liquidazione (plusvalore da continuità), non occorre necessariamente prevedere con il piano una distribuzione secondo le ordinarie regole della graduazione, ma il debitore ha la facoltà di derogarvi, essendo sufficiente che i crediti inseriti in una classe (tenendo conto che il classamento è obbligatorio) ricevano complessivamente un trattamento almeno pari (si presume, per implicito, in percentuale, altrimenti sarebbe davvero «dura» effettuare il raffronto) a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore;

c) tuttavia, i crediti dei lavoratori, assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751-bis n. 1 c.c., fruiscono di una prerogativa e tutela speciali, poiché vanno soddisfatti sempre nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione, con la regola della priorità assoluta, sia sul valore di liquidazione che sul valore eccedente il valore di liquidazione (la norma fa inoltre salve - in attuazione dell'art. 1, par. 6 della direttiva Insolvency - le prestazioni pensionistiche garantite dall'art. 2116 c.c., le quali sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza).

Le finalità perseguite dal legislatore

A parte il carattere innovativo delle disposizioni in commento, che già di per sé implica inevitabili incertezze interpretative, vi sono poi dubbi aggiuntivi causati dalla loro formulazione alquanto ellittica.

Per dirimerli, nei limiti del possibile, occorre anzitutto chiedersi perché si sia voluto introdurre questo nuovo sistema distributivo.

Il motivo va rinvenuto nelle difficoltà che si sono sempre poste, nel vigore della (sola) legge fallimentare, per individuare un criterio efficiente con cui distribuire le risorse derivanti dalla continuità, specie nel concordato in continuità diretta (su tale questione, esaminata alla luce della legge fallimentare, cfr. PLATANIA, L'ordine di pagamento dei creditori ipotecari e privilegiati nel concordato in continuità diretta, in Fall., 2020, 1501; e, alla luce del Codice della crisi, D. GALLETTI, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in questo portale, 6 aprile 2022).

In estrema sintesi si può dire che, per tale tipologia di concordato, due principali ostacoli hanno giocato a sfavore del suo successo o comunque di una sua tranquilla attuazione.

Da un lato, la regola del necessario pagamento integrale dei creditori muniti di prelazione, esclusi dal voto proprio perché non interessati alle sorti del concordato, dovendo appunto essere pagati per intero.

Tale regola non ha creato speciali conflitti in caso di concordato con cessione dei beni, vista la prevista liquidazione di tutti cespiti, con conseguente piana applicazione delle regole del concorso, compresa la graduazione.

Il maggiore aspetto problematico che si è posto nella prassi ha riguardato in tal caso il pagamento dei crediti muniti di privilegio speciale in caso di mancanza del bene su cui farlo valere (specie in materia di rivalsa IVA), poiché sarebbe stato necessario attingere alle (limitate) risorse destinate agli altri creditori per pagarli, senza alcuna aspettativa di recupero con la vendita dei beni oggetto di garanzia (in quanto inesistenti).

Tale difficoltà è stata superata proprio con l'inserimento nella legge fallimentare (art. 160, comma 2) della regola che ha previsto la facoltà di pagare anche non interamente questi creditori, laddove sia attestato da un professionista indipendente che anche in caso di fallimento (e ora, alla luce del Codice della crisi, anche in caso di liquidazione giudiziale), non potrebbe effettuarsi un pagamento integrale per incapienza totale o parziale del bene su cui insiste la prelazione.

L'altro ostacolo è stata la regola di anticipata scadenza dei debiti pecuniari ex art. 55 l. fall. (ora art. 154, comma 2, CCII), applicabile anche nel concordato preventivo, conseguendone che, al momento di deposito della relativa domanda, qualunque fosse la tipologia di concordato proposta, le obbligazioni pregresse sarebbero scadute e i crediti con prelazione avrebbero dovuto essere pagati tendenzialmente subito.

Ad aggravare ulteriormente gli effetti di tale regola, giocava altresì l'inapplicabilità al concordato preventivo dell'art. 54 l. fall. in quanto non richiamato dall'art. 169 l. fall. tra le norme ad esso applicabili.

L'art. 54 l. fall. dispone — per quanto qui d'interesse — che i creditori muniti di ipoteca, pegno o privilegio hanno diritto di concorrere anche nelle ripartizioni che si eseguono prima della distribuzione del prezzo dei beni vincolati a loro garanzia, ed in tal caso, se ottengono un'utile collocazione definitiva su questo prezzo per la totalità del loro credito, computati in primo luogo gli interessi, l'importo ricevuto nelle ripartizioni anteriori viene detratto dalla somma loro assegnata per essere attribuito ai creditori chirografari; se la collocazione utile ha luogo per una parte del credito garantito, per il capitale non soddisfatto essi hanno diritto di trattenere solo la percentuale definitiva assegnata ai creditori chirografari.

La Suprema Corte ha sempre ritenuto che tale norma, in quanto esclusa dal richiamo contenuto nell'art. 169 l. fall., non potesse applicarsi al concordato, derivandone, a stretto rigore, come conseguenza negativa per il concordato in continuità aziendale, l'impossibilità di pagare durante il concordato i creditori muniti di prelazione su beni strategici non soggetti a liquidazione, e nemmeno mediante acconti, proprio per l'impossibilità di effettuare i pagamenti anticipati previsti dall'(inapplicabile) art. 54 l. fall., altrimenti ledendosi il diritto degli altri creditori, non potendo essi contare sulla possibilità di soddisfarsi prima o poi sui beni oggetto della prelazione perché sottratti, in quanto tali, alla liquidazione.

Il legislatore ha cercato di porre (in parte) rimedio a tali criticità in due modi, per attutire il rischio che fosse impraticabile in concreto qualunque proposta di concordato in continuità aziendale, essendo quasi inimmaginabile che imprese in crisi abbiano la disponibilità di ingenti risorse tesaurizzate a parte per pagare entro il termine di attuazione del concordato i creditori muniti di prelazione su beni strategici.

Prima lo ha fatto con l'introduzione [art. 186-bis comma 2, lett. c), l. fall.] della possibilità di proporre con il piano di concordato in continuità una moratoria fino ad un anno (poi aumentata a due anni) per il pagamento dei creditori con prelazione su beni di cui non sia prevista la liquidazione; termine di moratoria però assai poco generoso, data la quasi costante carenza di risorse (specie se limitate solo ai flussi derivanti dalla continuità) indispensabili per pagare, una volta decorso tale breve lasso di tempo, tutti i crediti muniti di privilegio, pegno ed ipoteca.

Poi — anticipando l'applicazione di una norma del Codice — ha concesso al debitore, in deroga alla regola di immediata scadenza dei debiti pecuniari di cui all'art. 55, comma 2, l. fall., la possibilità (inserita tramite un sesto comma nell'art. 182-quinquies l. fall.) di non pagare per intero e subito il debito residuo di mutui ipotecari in corso di esecuzione, ma consentendogli di poter continuare a pagare i ratei successivi alla scadenza convenuta; anche in tal caso si è trattato però di un beneficio di scarso spessore, sia perché limitato ad un solo tipo di credito con prelazione (quello da mutuo ipotecario, occorrendo comunque pagare subito tutti gli altri), sia per la necessità comunque di disporre di flussi finanziari idonei a pagare i ratei in scadenza.

Peraltro, nel frattempo, a complicare le cose si è aggiunta la querelle riguardante la riconducibilità o meno dei flussi finanziari generati dalla continuità alle risorse esterne, che, essendo sottratte alle regole del concorso, avrebbero potuto essere liberamente distribuite ed utilizzate dal debitore.

Solo ipotizzandosi che i flussi finanziari da continuità equivalessero alle risorse esterne, infatti, si riteneva possibile distribuirli ed utilizzarli altrettanto liberamente; in caso contrario, si dubitava che tale possibilità vi fosse.

Di conseguenza, com'era inevitabile, ad un orientamento che ha ipotizzato come possibile tale equiparazione, sul rilievo secondo cui sarebbe stato inappropriato far rientrare retroattivamente nel patrimonio responsabile esistente al momento dell'apertura della procedura, solo limitatamente al quale e con il quale i creditori prelatizi avrebbero dovuto essere soddisfatti, i flussi da continuità generatisi dopo la presentazione della domanda; si è contrapposto quello, di gran lunga maggioritario, che ha negato tale possibilità, ritenendo che i proventi da continuità rientrassero nella garanzia patrimoniale del debitore, dovendo egli rispondere dei suoi debiti con tutti i suoi beni, sia presenti che futuri (art. 2740 c.c.), beni, questi ultimi, idonei a comprendere per ciò stesso anche i futuri proventi da continuità.

Solo apparentemente ha costituito variante edulcorata di quest'ultimo orientamento, un precedente di merito che ha ritenuto possibile una libera distribuzione dei flussi derivanti dalla continuità se generati da apporti di terzi immessi in azienda (Trib. Milano 5 dicembre 2018). Infatti, tale decisione non ha negato in linea di principio la sussistenza del divieto di distribuire liberamente i flussi da continuità, ma ha solo riportato nell'alveo delle risorse esterne i flussi che ad esse potessero ricondursi etiologicamente in via derivativa.

Ebbene, il legislatore delegato ha preso atto di questa confusa e spinosa problematica, certamente sfavorevole alla diffusione del concordato in continuità aziendale, operando su varie direttrici.

Anzitutto, ha colmato la lacuna che abbiamo visto caratterizzare la legge fallimentare, richiamando ora espressamente, con l'art. 96 (corrispondente all'art. 169 l. fall.), anche l'art. 153 (corrispondente all'art. 54 l. fall.) in modo da risolvere ogni dubbio sulla possibilità di pagare in via anticipata – almeno in teoria, anche se non in pratica, come fra poco avremo modo di constatare - anche i creditori muniti di prelazione su beni non destinati alla liquidazione.

Ha poi eliminato, come meglio vedremo fra poco, il termine fisso di durata della moratoria che il debitore può prevedere nel piano, consentendo quindi un pagamento dilazionato durante tutto il corso del concordato, senza particolari vincoli temporali, di tutti i creditori muniti di prelazione su beni di cui non sia programmata la liquidazione (beni, quindi, ritenuti strategici).

La moratoria, però, beninteso, non può che arrestarsi ad un certo punto, potendo durare interinalmente non oltre il termine finale di attuazione del piano, momento che segna comunque il redde rationem per il debitore, poiché a quel punto egli sarà costretto comunque a pagare i creditori, e – si badi – in misura comunque pari almeno al valore di liquidazione, con ciò che ne consegue in termini di difficoltà a reperire i mezzi necessari a tal fine in difetto della liquidazione integrale del patrimonio.

Infine, come abbiamo visto sopra, ha limitato l'applicazione della regola della graduazione basata sulla priorità assoluta solo alla distribuzione del valore di liquidazione (regola quindi da applicare sempre nel concordato liquidatorio — come confermato per implicito anche dall'art. 85 comma 4, laddove consente di applicare la diversa regola della priorità relativa al solo concordato in continuità aziendale —, tranne che per gli apporti di terzi, liberamente distribuibili in ogni tipologia di concordato e, nel concordato liquidatorio, «purché sia rispettato il requisito del 20 per cento», come puntualizzato dall'art. 84, comma 4).

Valore di liquidazione relativamente al quale è forse utile chiarire che esso, nel concordato in continuità aziendale, va calcolato anche al fine indiretto di ricavare poi, per confronto differenziale, il plusvalore da continuità, anche se ovviamente dovrà e potrà farsi diretta applicazione di tale valore quando si debba distribuire (con la regola della priorità assoluta) il valore di realizzo di singoli beni (sempre che, e quando, essi vengano liquidati).

Come appunto si notava poc'anzi, il valore di liquidazione va sempre interamente distribuito ai creditori, in qualunque tipo di concordato, entro il termine di adempimento indicato nel piano, anche perché solo il pagamento effettuato almeno in tale misura può integrare la condicio sine qua non del trattamento non pregiudizievole (o non deteriore: requisito della convenienza) che il concordato deve comunque garantire in confronto con la liquidazione giudiziale.

Non dimeno, come precisato or ora, il Codice ha previsto anche la possibilità di pagare i creditori (ferma la possibilità già detta di moratoria a favore dei creditori muniti di prelazione su beni non liquidandi, svincolata da un limite massimo prefissato, ma da pagare comunque alla scadenza del termine finale di attuazione del piano), previo classamento obbligatorio, al di fuori della graduazione, distribuendo quanto realizzato in eccedenza rispetto al valore di liquidazione, e dunque gli importi ricavati dal plusvalore concordatario derivante dalla continuità, ma con il vincolo — minimale — di un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore.

Alcune possibili criticità del nuovo sistema distributivo

Naturalmente, anche tale criterio non esaurisce tutti i problemi, poiché la deroga alla graduazione può operare solo nei limiti del surplus concordatario, e quindi avrà attuazione a macchia di leopardo, anzitutto a seconda di quale sia, nel patrimonio delle singole imprese ricorrenti, la possibilità di realizzare tale surplus, ove giocano un ruolo non secondario non solo l'efficienza della struttura d'impresa, le capacità manageriali e le condizioni settoriali del business, ma anche il rapporto tra beni liquidabili perché non strategici, e beni non liquidabili perché indispensabili alla prosecuzione dell'attività, con conseguente molteplice possibilità di variazione proporzionale della soddisfazione realizzabile con i flussi derivanti dalla continuità.

Ma non finisce qui, essendo davvero seri i problemi applicativi implicati dal nuovo sistema distributivo, essendo stato esso disciplinato in modo del tutto insufficiente e scontando per di più i sopra segnalati difetti originari causati dall'innaturale assimilazione, nell'unica tipologia del concordato in continuità aziendale, di due figure antitetiche, come sono, da un lato, il concordato in continuità aziendale diretta, il quale, ripetendo la vecchia struttura del cd. concordato per garanzia, prospetta una semplice promessa di pagamento con mezzi di cui il debitore presume di poter disporre entro il termine di adempimento indicato nel piano senza essere vincolato a liquidare i beni aziendali; dall'altro, il concordato in continuità aziendale indiretta, che ha invece sostanzialmente struttura liquidatoria e in cui, di conseguenza, il pagamento ai creditori passa attraverso il realizzo dell'intero patrimonio aziendale mediante distribuzione del prezzo di cessione o di conferimento dell'azienda .

Tali difetti implicano – come ora vedremo - un'imprevista residualità della possibile applicazione della regola della priorità relativa, finendo per ridimensionare anche i dubbi espressi di primo acchito sui rischi che sarebbero potuti derivare invece da una sua diffusa e massiccia applicazione (sui quali v. in particolare le osservazioni di D. GALLETTI, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in questo portale, 6 aprile 2022, secondo il quale la regola di priorità relativa potrebbe ridurre « ;in modo irrimediabile il coefficiente di prevedibilità del trattamento che sarà offerto ai creditori in caso di futuro default del debitore, e soprattutto del recovery ratio; ciò non potrà non influire ex ante sul momento in cui d'ora in poi sarà valutato se erogare o meno il credito, ed a quali condizioni»; ed in effetti, potendosi liberamente, e quindi non prevedibilmente, congegnare le forme di distribuzione dell'attivo, anche in funzione di un non predeterminabile numero di classi e di trattamenti differenziati, sarà difficile per le banche effettuare con cognizione di causa una valutazione del merito creditizio, difficoltà che potrebbe indurle a negare gli affidamenti ancor più spesso di prima).

Ma scendiamo ora su un piano di maggiore concretezza per meglio comprendere le criticità di cui andiamo discorrendo.

Un primo problema applicativo riguarda la stima che occorre fare del valore di liquidazione (e in via consequenziale del surplus da continuità).

Si consideri, al riguardo, che il valore di liquidazione indicato dal debitore nel piano non deve necessariamente basarsi, alla luce delle norme sopra citate, su una relazione attestativa ad hoc. Di norma, quindi, la correttezza con cui sia stato calcolato il quantum del valore di liquidazione sarà solo uno degli aspetti su cui dovrà esprimersi il professionista asseveratore indipendente con la relazione attestativa di fattibilità (in qualunque modo questa debba essere declinata) che il debitore deve presentare, salva, ovviamente, la facoltà (e non l'obbligo) di accompagnarla da una collaterale relazione redatta da un altro esperto stimatore avente specificamente ad oggetto il valore di liquidazione e quello del (presumibile) surplus concordatario.

L'una, ed eventualmente l'altra, relazione saranno sempre sottoposte al vaglio del commissario giudiziale, che, però, è da ritenere, non potrà avvalersi di un proprio stimatore di fiducia per controllarne l'attendibilità, poiché, dovendosi attuare anche l'art. 14 della direttiva Insolvency, che ha posto limiti al potere del tribunale di disporre la stima del complesso aziendale nell'ambito del giudizio di omologazione, il comma 4 dell'art. 112 statuisce che, in caso di opposizione proposta da un creditore dissenziente, la stima del complesso aziendale del debitore può essere disposta dal tribunale soltanto se con l'opposizione venga eccepito il difetto della convenienza di cui al comma 3 o il mancato rispetto delle condizioni di ristrutturazione trasversale di cui al comma 2. Tale norma, anche se attiene specificamente al giudizio di omologazione, sembra in effetti implicare un più generale divieto di far gravare la procedura dei costi derivanti da consulenze estimative al di fuori della suddetta tassativa ipotesi in cui sono consentiti. Se così fosse, ne deriverebbe la seria difficoltà per il tribunale di esprimere in via generale il proprio giudizio sull'attendibilità dei valori esposti dal ricorrente, se non per quanto attiene all'ambito circoscritto della loro correttezza formale, con conseguente possibilità che poi, appunto, sorgano controversie su tale aspetto, risolvibili solo con una stima da svolgere in sede di omologazione (ma solo) nel caso in cui siano proposte opposizioni in punto di convenienza (o di ristrutturazione trasversale).

Non è poi forse inutile ribadire che anche nel concordato in continuità aziendale deve prevedersi un termine finale di adempimento e di attuazione del piano, sia che la continuità sia diretta, sia che sia indiretta.

Se, infatti, il debitore può aspirare con la continuità diretta a ripristinare le condizioni di equilibrio che gli consentano di proseguire anche in futuro, a tempo indeterminato, la sua attività d'impresa, il concordato, tuttavia, non può durare a tempo indeterminato, ma deve realizzare gli obiettivi satisfattivi del piano in un tempo determinato (e predeterminato).

E a questo proposito è da rimarcare anche che, sebbene il Codice non ponga un preciso limite di durata della fase attuativa post-omologa, il termine finale di attuazione del concordato non potrà essere comunque troppo lungo, termini superiori ai 7-10 anni potendo in ipotesi considerarsi inammissibili anche alla stregua della finalità satisfattiva che deve caratterizzare il concordato per dettato di legge (e che quindi va a colorare anche la causa concreta del concordato) e dei termini di ragionevole durata dei processi (anche se, a quest'ultimo proposito, qualche dubbio è stato sollevato sulla applicabilità alla fase esecutiva dei principi in tema di ragionevole durata).

Tutti i creditori, in ogni caso, salvi patti individuali in deroga, andranno dunque soddisfatti entro e non oltre il termine (che dovrà essere necessariamente congruo, ossia non troppo lungo) di adempimento del concordato che deve essere indicato nel piano.

Verifichiamo ora come potrebbe concretizzarsi la possibilità di pagare il surplus da continuità nell'ipotesi più semplice, ossia solo quando si giunga alla scadenza di tale termine (e non prima).

Il debitore dovrebbe poter disporre allora di un attivo liquido sufficiente a pagare i creditori sia per l'intero valore di liquidazione (con la regola della priorità assoluta), sia, dopo aver proceduto con questo criterio a tale distribuzione, con il surplus da continuità, che è invece distribuibile con la regola della priorità relativa.

Ma quali imprese potranno davvero riuscire a programmare con il piano la distribuzione dell'intero valore del patrimonio iniziale senza averlo liquidato di fatto interamente e programmando anche la distribuzione del surplus da continuità?

In pratica, se si riflette, probabilmente solo quelle (o quasi solo quelle) che avranno proposto un concordato in continuità aziendale in forma indiretta con la prevista cessione finale dell'azienda a terzi, o con il conferimento della medesima in una società, salva la antecedente prosecuzione dell'attività in forma personale diretta che solo temporaneamente ed interinalmente vi sia stata da parte del debitore, in attesa di procedere poi a tale cessione o a tale conferimento. Solo tali imprese, infatti, nell'ipotesi in cui durante la gestione temporanea fossero riuscite a realizzare con la continuità diretta temporanea utili puri (al netto dei costi), da poter qualificare come surplus da continuità, potrebbero avere qualcosa da distribuire dopo aver distribuito il prezzo di cessione dell'azienda che rappresenterà, di fatto, nella maggior parte dei casi, il valore di liquidazione (da notare, peraltro, che non potrà comunque emergere un surplus da continuità in caso di affitto-ponte, poiché in tal caso la gestione dell'impresa risulterà affidata a terzi, cui competeranno i relativi rischi ed utili, e quindi questi ultimi, intesi come teoricamente corrispondenti al surplus da continuità, potranno andare solo a beneficio dell'affittuario e/o acquirente).

Le imprese che, invece, avranno proposto un concordato in continuità aziendale in forma diretta non potranno spogliarsi interamente del proprio patrimonio, ma solo dei beni non essenziali, non strategici, e quindi, per poter pagare ai creditori il valore di liquidazione con la regola della priorità assoluta, dovranno utilizzare altre risorse, ammesso e non concesso che ve ne siano, e che siano sufficienti a questo scopo (ma di norma quasi certamente non ve ne saranno in tale misura), e dunque dovranno utilizzare proprio i flussi attivi eventualmente conseguiti con la continuità, i quali dovrebbero costituire il surplus in questione, oppure anche, se esistenti, gli apporti gratuiti provenienti da soci o da altri terzi.

Ma quante imprese potranno realizzare un surplus che non solo vada a completare la parte del valore di liquidazione non coperta dal realizzo di beni essenziali (in quanto non liquidati), e che possa anche essere distribuito poi come eccedenza con la regola della priorità relativa?

Si è davvero troppo pessimisti a pensare che saranno rare come l'araba fenice?

Ma se così sarà la situazione nel caso più semplice, in cui si ponga il problema di distribuire il surplus alla scadenza del termine finale di attuazione del concordato, in quali casi sarà poi concretamente e realisticamente possibile effettuare tale distribuzione addirittura prima, durante la procedura?

Ancora una volta è giocoforza dubitare che possano essere molti, né potrà aggirarsi l'ostacolo con un'applicazione avventata e scorretta dell'art. 153, pagando cioè interinalmente acconti ai creditori che siano muniti di una prelazione su beni non destinati alla liquidazione, poiché tale pagamento dovrà essere stato previsto già ex ante nel piano e potrà quindi considerarsi consentito, legittimo e possibile solo alla luce del previsto conseguimento di un attivo distribuibile con la sommatoria del realizzo di beni non essenziali e del plusvalore da continuità in misura tale che, alla scadenza del termine di attuazione del concordato, con esso possano essere pagati i creditori sia per l'intero valore di liquidazione, sempre con la regola di priorità assoluta, sia con l'eventuale eccedenza costituita da una parte o da tutto il surplus da continuità (con la regola di priorità relativa).

Per questo motivo, che rende plastica la difficoltà che tale evento si realizzi, più sopra abbiamo anticipato che la possibilità di pagare acconti ai creditori muniti di prelazione sui beni non liquidandi, avvalendosi della facoltà concessa dall'art. 153, è più teorica, che reale.

In definitiva, per quanto la cosa possa sorprendere, un meccanismo così complesso come quello del trattamento distributivo soggetto all'innovativa regola della priorità relativa introdotto per agevolare il concordato in continuità aziendale diretta, potrà avere in tale tipologia di concordato un limitatissimo ambito di applicazione, mentre avrà modo di esprimersi più facilmente – anche se comunque residualmente - nel concordato in continuità aziendale indiretta, in cui sia prevista una fase di continuità diretta temporanea da parte del debitore proponente, data la struttura sostanzialmente liquidatoria di tale tipologia.

Ciò precisato, non varrebbe a questo punto neppure la pena di dilungarsi troppo sulle varie sfaccettature di dettaglio inerenti l'attuazione procedimentale del trattamento che può porsi in atto mediante la regola della priorità relativa.

Tuttavia, per completezza, può forse essere utile qualche ulteriore considerazione in merito.

Tutti i creditori, come si diceva poc'anzi, andranno soddisfatti entro il termine finale di attuazione del piano, sia pure, nella peggiore delle ipotesi, con un trattamento che assicuri comunque un'utilità economicamente valutabile.

Ciò significa che se con il valore di liquidazione non potranno essere soddisfatti i creditori chirografari (tali in origine o perché interamente degradati per incapienza delle prelazioni; interamente, perché se l'incapienza fosse solo parziale già i creditori riceverebbero un'utilità per la parte capiente e non sarebbe necessario assicurargliene un'altra in aggiunta), ad essi potrà promettersi ed attribuirsi una qualunque utilità, come ad es. quella consistente nella prosecuzione dei contratti di fornitura.

Quando non possa assicurarsi a tutti siffatto tipo di utilità, e dovendo comunque il debitore cercare di ottenere un voto favorevole dalle varie classi, sarà più probabile che venga loro promessa una quota parte del surplus da continuità. Ma, come abbiamo detto, anche questa sarà solo una possibilità teorica, data la residualità dei casi in cui davvero potrà pervenirsi a distribuire liberamente il surplus in questione.

Il debitore resterà non dimeno libero di stabilire se vendere i propri beni per ottenere liquidità utilizzabile per i pagamenti, quali beni vendere, e quando, ma rispettando sempre alcuni paletti.

Il primo è che, se deciderà di vendere durante il concordato beni non essenziali sui quali insista una prelazione, i creditori prelazionari dovranno essere soddisfatti subito dopo la vendita, nei limiti del previsto valore di realizzo, degradando al chirografo per la parte incapiente, relativamente alla quale, dunque, il pagamento avverrà secondo le regole e la misura previste per la classe di chirografi in cui devono risultare inseriti.

Se sui beni oggetto di vendita non gravi alcuna prelazione, il debitore sarà libero di decidere se provvedere subito ad un riparto del realizzo o rinviarlo alla fine del concordato (ma, beninteso, inserendo già nel piano in via previsionale tale scelta).

Se deciderà di fare subito un riparto (secondo la relativa chance già prevista nel piano) potranno concorrere con i chirografi, distribuiti in una o più classi, anche i creditori muniti di prelazione su beni di cui sia programmata la successiva vendita, potendo godere del diritto di acconto ex art. 153 del Codice.

Non potranno invece concorrere percependo un pagamento sia pure in acconto i creditori con prelazione su beni di cui non sia prevista la successiva vendita, in quanto il concorso con i chirografari si risolverebbe per questi ultimi in un danno irrecuperabile e definitivo, non potendo contare sul realizzo dei beni su cui insistono le prelazioni di tali creditori, poiché tali beni non verranno mai liquidati, a meno che, naturalmente, non sia possibile prevedere il conseguimento di un surplus da continuità (o fruire di apporti di terzi) in misura sufficiente ad integrare la parte del valore di liquidazione che non può essere coperta dalla vendita di tali beni in quanto non liquidandi o liquidati.

Il debitore potrà fruire della moratoria fino al termine finale di attuazione del piano per il pagamento dei creditori con prelazione su beni che non verranno liquidati, ma dovrà comunque pagarli per intero (e con gli interessi) alla fine del concordato (per essi non vale infatti la possibilità di pagarli entro i limiti della capienza, visto che non ci sarà la vendita).

Per il pagamento dei creditori con prelazione sui beni esistenti al momento della domanda, di cui sia stata programmata la liquidazione nel corso della procedura, il pagamento avverrà sempre secondo la regola della priorità assoluta in base al valore di liquidazione complessivo (e naturalmente anche in base al valore di liquidazione riguardante ciascun singolo bene in quanto sia appunto oggetto di prelazione, il che avverrà sempre per i beni mobili, in quanto eventualmente gravati da pegno, ma sempre perché comunque gravati dai privilegi generali, e potrà non avvenire solo per beni immobili che non siano ipotecati né gravati da privilegi speciali immobiliari).

Tale modalità verrà applicata anche per i chirografari e per i creditori con prelazione su beni per i quali non sia prevista la liquidazione se per gli uni e/o per gli altri il surplus da continuità non possa essere distribuito liberamente (in quanto effettivamente eccedente rispetto al valore di liquidazione).

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