Impresa familiare e convivenza di fatto

Francesco Buffa
06 Febbraio 2023

In tema di impresa familiare e convivenza di fatto, la Sezione lavoro della Corte di cassazione ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima: "se l'art. 230 bis, comma terzo, c.c. possa essere evolutivamente interpretato (in considerazione dell'evoluzione dei costumi nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso) in chiave di esegesi orientata sia agli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost. sia all'art. 8 CEDU come inteso dalla Corte di Strasburgo, nel senso di prevedere l'applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità”.

Il caso riguarda una donna stabilmente convivente con il titolare di un'impresa che, alla morte di quest'ultimo, conviene in giudizio i figli e coeredi del defunto, al fine di accertare l'esistenza di un'impresa familiare, relativa all'azienda agricola gestita dal de cuius, nonché ad ottenere la condanna dei suddetti eredi alla liquidazione della quota a lei spettante quale partecipe dell'impresa suddetta, pari quantomeno al 50% del valore dei beni acquistati e degli utili conseguiti, compresi gli incrementi patrimoniali avutisi nel corso del tempo.

In particolare, a fronte del rigetto della domanda da parte del giudice di merito, parte attrice deduce che, alla luce delle mutate sensibilità sociali in materia di convivenza nonché nell'ambito di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 230-bis c.c. in relazione all'art. 2 della Costituzione, stante anche gli illustri precedenti giurisprudenziali e dottrinari, ben avrebbe potuto e dovuto, il giudice territoriale, affermare, anche senza ricorrere all'art. 230 ter c.c. (introdotto solo successivamente dalla disciplina sulle unioni civili di cui alla legge n. 76 del 20.5.2016, ed inapplicabile al caso di specie precedente), l'applicabilità di tale norma alla convivenza di fatto come nel caso trattato.

La Sezione Lavoro della Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 2121 del 24 gennaio 2023, Pres. Tria, rel. Caso, ha ricordato che la vita dei conviventi di fatto rientri nella concezione di "vita familiare" ormai da tempo elaborata dalla Corte EDU in sede di interpretazione dell'art. 8, par. 1, CEDU (tra le tante: Corte EDU, 13/06/1979, Marckx c. Belgio; Corte EDU, 26/05/1994, Keegan c. Irlanda; Corte EDU, 05/01/2010, Jaremowicz c. Polonia; Corte EDU, 27/04/2010, Moretti e Benedetti c. Italia; Corte EDU, 24/06/2010, Schalk and Kopf c. Austria; Corte EDU, 21/07/2015, Oliari ed altri c. Italia: Corte EDU 14/12/2017, Orlandi ed altri c. Italia; Corte EDU, 3 aprile 2012, Van der Heijdel c. Netherlands).

La Sezione Lavoro ha quindi trasmesso gli atti al Primo Presidente della Corte per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza che segue: "se l'art. 230 bis, comma terzo, c.c. possa essere evolutivamente interpretato (in considerazione dell'evoluzione dei costumi nonché della giurisprudenza costituzionale e della legislazione nazionale in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso) in chiave di esegesi orientata sia agli artt. 2, 3, 4 e 35 Cost. sia all'art. 8 CEDU come inteso dalla Corte di Strasburgo, nel senso di prevedere l'applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità”.