Sul principio di sinteticità e sul rapporto tra accesso civico ed accesso documentale

02 Febbraio 2023

Non può essere concessa l'autorizzazione postuma al superamento dei limiti dimensionali qualora non sussistano, o comunque la parte richiedente non alleghi, i gravi e giustificati motivi di cui all'art. 7 del d.P.C.S. 22 dicembre 2016.
Massima

Non può essere concessa l'autorizzazione postuma al superamento dei limiti dimensionali qualora non sussistano, o comunque la parte richiedente non alleghi, i gravi e giustificati motivi di cui all'art. 7 del d.P.C.S. 22 dicembre 2016.

La pubblica amministrazione destinataria di un'istanza di accesso a documenti amministrativi che sia formulata in modo generico (ossia senza riferimento all'accesso c.d. tradizionale oppure all'accesso civico generalizzato) ovvero che contempli il richiamo ad entrambi i predetti istituti (c.d. istanza cumulativa), ha il potere - dovere di esaminarla nella sua interezza e, dunque, anche con riferimento alla disciplina dell'accesso civico generalizzato.

Qualora, invece, l'istanza sia formulata con inequivoco riferimento alla disciplina dell'accesso oggetto della legge n. 241/1990 e l'Amministrazione non provveda espressamente su tale domanda, l'interessato non può proporre l'azione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a. sostenendo di aver azionato l'accesso civico generalizzato; in caso di mancata risposta dell'Amministrazione sull'istanza di accesso documentale si forma infatti il silenzio diniego, che l'interessato ha l'onere di impugnare entro il termine di decadenza, a pena di irricevibilità del gravame proposto.

La ratio della disciplina relativa all'accesso al pubblico alle informazioni ambientali che si rinviene nell'art. 1 del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195, emanata in attuazione della direttiva 2003/4/CE, è principalmente quella di far conoscere al pubblico, e quindi alla collettività, le informazioni che riguardano l'ambiente in un'ottica di trasparenza e di massima diffusione. In altri termini, il fine è quello “di contribuire sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l'ambiente”. Ciò stante, l'accesso alle informazioni ambientali non è invocabile in riferimento all'interesse del singolo in giudizio relativamente a procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti e preordinati a verificare eventuali impatti dell'attività da lui gestita sulle matrici ambientali circostanti.

Il caso

La controversia esaminata dal Consiglio di Stato ha ad oggetto l'accertamento dell'illegittimità del silenzio diniego opposto dall'amministrazione all'istanza di accesso difensivo, formulata ai sensi dell'art. 22, l. n. 241/1990 s.m.i.

Nel caso in esame l'istanza non è qualificabile come esercizio del diritto di accesso civico riconosciuto dal d.lgs. n. 33/2013 che ha “tracciato un ambito di tutela “più ampio”, sostanzialmente e processualmente, del diritto di accesso tradizionale (ex art. 22. l. n. 241/1990)”; pertanto, la mancata risposta dell'amministrazione allo scadere del termine per provvedere determina la formazione del silenzio diniego all'accesso impugnabile ai sensi degli artt. 116 c.p.a. e 25 della l. n. 241 del 1990 s.m.i., non venendo in rilievo alcuna inerzia dell'amministrazione rispetto alla quale il privato sarebbe stato legittimato ad esercitare l'azione nel termine lungo annuale ex art. 117 c.p.a.

La sentenza qualifica, quindi, l'accesso come documentale in quanto risulta diretto alla difesa degli interessi in giudizio dell'istante, in relazione ai procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti a suo carico volti a verificare eventuali impatti dell'attività gestita sulle matrici ambientali circostanti.

La questione

Una prima questione processuale riguarda la sussistenza dei presupposti per il superamento dei limiti dimensionali ai sensi dell'art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016, avendo parte ricorrente quasi raddoppiato (40.387 caratteri) nell'atto di appello i limiti dimensionali previsti dall'art. 3, comma 1, lett. a), del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, come modificato dal decreto del 16 ottobre 2017.

La seconda questione affrontata concerne l'ammissibilità dello strumento processuale disciplinato dall'art. 117 c.p.a., a fronte dell'inerzia serbata dall'amministrazione sull'istanza di accesso, che legittimerebbe il privato ad esercitare la relativa azione nel termine lungo annuale.

La terza questione giuridica affrontata dalla sentenza riguarda, infine, l'applicazione dell'art. 26 c.p.a. e degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla condanna alle spese di giudizio.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio si sofferma, in primo luogo, sull'istanza di autorizzazione postuma al superamento dei limiti dimensionali, ai sensi dell'art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016, essendo di competenza dell'organo giudicante la decisione sulla istanza presentata dopo l'instaurazione del giudizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 18 maggio 2021, n. 826).

In base ai principi generali elaborati sulla rilevanza del dovere di chiarezza, specificità e sinteticità degli scritti difensivi (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2018, n. 4413) e in particolare degli atti di impugnazione nonché sulla eccezionalità delle deroghe ai limiti dimensionali ed al carattere preventivo dell'autorizzazione (cfr. decreto pres. C.g.a., sez. giurisd., nn. 196/2021 in r.g.n. 1209/2021 e 122/2021 in r.g.n. 686/2021; Cons. Stato, Sez. IV, n. 803/2020 e n. 2190 del 2018), l'istanza in esame viene respinta, poiché non si ravvisano (né risultano allegati) i "gravi e giustificati motivi" che, ai sensi dell'art. 7 d.P.C.S. cit., consentono l'autorizzazione postuma al superamento dei limiti dimensionali.

In secondo luogo, viene richiamata la sentenza dell'Adunanza plenaria n. 10 del 2 aprile 2020, al fine di chiarire che, su un piano generale, la pubblica amministrazione destinataria di un'istanza di accesso a documenti amministrativi che sia formulata in modo generico (ossia senza riferimento all'accesso c.d. tradizionale oppure all'accesso civico generalizzato) ovvero che contempli il richiamo di entrambi i predetti istituti (c.d. istanza cumulativa), ha il potere - dovere di esaminarla nella sua interezza e, dunque, anche con riferimento alla disciplina dell'accesso civico generalizzato.

Tuttavia, tale regola non deve essere seguita nel caso, come quello in esame, in cui l'interessato abbia fatto inequivoco riferimento alla disciplina dell'accesso oggetto della l. n. 241/1990: in tale ipotesi l'istanza dovrà essere esaminata unicamente sotto i profili dettati da tale ultima legge e non anche con riferimento all'accesso civico generalizzato.

Nello stesso senso, anche la sentenza dell'Adunanza plenaria n. 4 del 2021 ha riaffermato che, in relazione all'accesso difensivo di cui alla l. n. 241/1990, l'amministrazione detentrice dei documenti deve verificare che vi sia "uno stretto collegamento" tra gli atti richiesti e le difese da apprestare in un processo già pendente o eventualmente da instaurare, fermo restando il limite per la pubblica amministrazione di esprimere valutazioni ulteriori circa l'influenza o la decisività del documento ai fini della risoluzione della controversia.

L'interesse fatto valere, dunque, viene connotato come “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso", e quindi esattamente rispondente alla tipologia di posizione giuridica di cui all'art. 22 legge n. 241/1990; ciò anche per l'ulteriore ragione che gli atti richiesti hanno riguardato terreni nella esclusiva disponibilità dell'appellante.

Una volta ricostruito l'interesse fatto valere, la sentenza statuisce che l'istante ha, da un lato, illegittimamente azionato il ricorso ex art. 117 c.p.a., e, dall'altro, è incorso nella decadenza dal termine previsto dall'art. 116 c.p.a. giacché deve essere escluso che egli abbia azionato l'accesso civico generalizzato non trovandosi nella posizione del quisque de populo e non potendo, pertanto, essergli riconosciuto un interesse ancipite.

Neppure l'oggetto delle informazioni che riveste carattere ambientale, consente la riconduzione dell'istituto al d.lgs. n. 195/2005, con la conseguente esperibilità del ricorso nel termine previsto ex art. 117 c.p.a.

In primo luogo, la ratio della disciplina relativa all'accesso al pubblico alle informazioni ambientali che si rinviene, segnatamente, nell'art. 1 del d.lgs. 19 agosto 2005, n. 195 non si attaglia alle istanze presentate dalla ricorrente: la disciplina emanata in attuazione della direttiva 2003/4/CE è principalmente volta a far conoscere al pubblico e quindi alla collettività le informazioni che riguardano l'ambiente in un'ottica di trasparenza e di massima diffusione, al fine "di contribuire sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l'ambiente" (I considerando della direttiva 2003/4/CE), laddove l'interesse che connota la ditta istante è tutt'altro giacché è quello di difendere i propri interessi in giudizio in relazione ai procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti a sui carico diretti a verificare eventuali impatti dell'attività gestita sulle matrici ambientali circostanti (così l'istanza del 14 luglio 2020).

In secondo luogo, sotto un profilo formale, la disciplina in materia di informazioni ambientali è stata soltanto genericamente indicata nell'istanza del 14 luglio 2020 e in quella del 28 gennaio 2021 senza che sia stata in alcun modo circostanziato l'interesse all'informazione ambientale, in tesi fatto valere.

Infine, la sentenza affronta l'esame dell'art. 26 c.p.a. e degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla condanna alle spese di giudizio.

In particolare l'appellante ha chiesto che le spese del doppio grado di giudizio siano poste a carico dell'amministrazione (in ragione della asserita fondatezza dell'appello) o, in subordine, siano compensate in considerazione della novità delle questioni oggetto del contenzioso, quanto meno in primo grado, "dato che la normativa applicabile è stata oggetto di un intervento giurisprudenziale di natura nomofilattica, con la sentenza dell'Adunanza plenaria n. 10 del 2 aprile 2020, in un periodo coevo al momento in cui è stata presentata l'istanza di accesso agli atti".

Il Collegio chiarisce che l'art. 92 comma 2 c.p.a., nel testo novellato nel 2014, aveva stabilito che il giudice può compensare le spese tra le parti solo "se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti".

Nonostante la decisione 19 aprile 2018, n. 77 della Corte costituzionale abbia dichiarato la illegittimità dell'art. 92, c. 2, c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti anche qualora sussistano altre "analoghe gravi ed eccezionali ragioni", tuttavia tale decisione non ha ripristinato tal quale la previgente clausola generale delle "gravi ed eccezionali ragioni", in quanto ha aggiunto il quid pluris che le "gravi ed eccezionali ragioni" devono essere "analoghe" rispetto alle ipotesi tipizzate, e quindi appartenere al novero delle sopravvenienze o di situazioni di assoluta incertezza.

Nel caso in esame, la sentenza in materia di diritto di accesso dell'Adunanza plenaria n. 10 del 2 aprile 2020 sopra richiamata non è idonea ad integrare il presupposto delle "analoghe gravi ed eccezionali ragioni", giacché ciò che rileva ai fini della "novità delle questioni" è l'instaurazione del contenzioso da parte della ditta appellante e, nel caso in esame, il ricorso di primo grado è stato notificato il 20 maggio 2021 e depositato il successivo 25 maggio 2021, per cui anche l'intervento nomofilattico a cui fa riferimento l'appellante è anteriore rispetto alla instaurazione del contenzioso.

Osservazioni

L'esame delle questioni giuridiche indicate consente di svolgere alcune osservazioni.

Le nuove disposizioni, dettate con d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle amministrazioni disciplinano situazioni, non ampliative né sovrapponibili a quelle che consentono l'accesso ai documenti amministrativi, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, come successivamente modificata ed integrata.

Con il citato d.lgs. n. 33/2013, infatti, si intende procedere al riordino della disciplina, intesa ad assicurare a tutti i cittadini la più ampia accessibilità alle informazioni, concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, al fine di attuare «il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell'utilizzo di risorse pubbliche», quale integrazione del diritto « ad una buona amministrazione», nonché per la « realizzazione di un'amministrazione aperta, al servizio del cittadino».

L'esercizio del cosiddetto «accesso civico», consistente in una richiesta – che non deve essere motivata – consente di accedere alle informazioni in possesso dell'amministrazione, con possibilità, in caso di conclusiva inadempienza all'obbligo in questione, di ricorrere al giudice amministrativo, secondo le disposizioni contenute nel relativo codice sul processo (d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104). Diversamente, l'accesso ai documenti amministrativi, disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 è riferito, invece, al «diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia di documenti amministrativi», intendendosi per «interessati … tutti i soggetti … che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso»; in funzione di tale interesse la domanda di accesso deve essere opportunamente motivata.

La sentenza in commento chiarisce come tale criterio discretivo appaia sufficiente per evidenziare la diversificazione di finalità e di disciplina dell'accesso agli atti, rispetto al cosiddetto accesso civico, pur nella comune ispirazione al principio di trasparenza, che si vuole affermare con sempre maggiore ampiezza nell'ambito dell'amministrazione pubblica.

Per quanto concerne l'accesso documentale, l'art. 25, c. 4, l. n. 241/1990 prevede nel primo periodo che decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta questa s'intende respinta.

Avverso il diniego o differimento di accesso è possibile sperimentare la tutela giurisdizionale ovvero una tutela di tipo giustiziale esperibile dinanzi al difensore civico competente per territorio, ove si tratti di atti di P.A. comunali, provinciali e regionali ovvero davanti alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi, allorché vengano in considerazione amministrazioni statali e periferiche dello Stato. Il ricorso ai procedimenti giustiziali in ogni caso non esclude la possibilità di avvalersi della tutela giurisdizionale, tant'è che i termini per il ricorso al giudice amministrativo sono sospesi fino alla conclusione del giudizio instaurato dinanzi al difensore civico o alla Commissione per l'accesso.

Il ricorso avverso il diniego espresso o tacito di ostensione documentale è disciplinato dall'art. 116 c.p.a., inserito nel Libro IV sui riti speciali.

Per quanto di interesse, le controversie relative all'accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa sono attribuite ai sensi dell'art. 133, c. 1, lett. a), n. 6, c.p.a. alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

L'accesso civico condivide con l'accesso ai documenti amministrativi i rimedi di tutela giurisdizionale.

Il legislatore infatti nell'art. 5, c. 5 del decreto trasparenza prevede che la tutela del diritto di accesso civico è disciplinata dalle disposizioni di cui al Codice del processo amministrativo.

L'art. 116 c.p.a. che, in virtù di tale rinvio, si applica al rito per la tutela dell'accesso civico è stato modificato appositamente per la tutela dello stesso prevedendo la possibilità che il giudice condanni la P.A. alla pubblicazione di documenti, dati e informazioni.

A differenza, però, della legge n. 241/1990, che qualifica il silenzio sull'istanza di accesso documentale come silenzio-rigetto («decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta»: art. 25, c. 4), il d.lgs. n. 33/2013 non qualifica il silenzio serbato dall'amministrazione a seguito di una richiesta di accesso civico generalizzato. È, infatti, soltanto previsto che il procedimento di accesso civico debba concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell'istanza (art. 5, c. 6, d.lgs. n. 33/2013). Nella prassi, si è pertanto posto il problema del rimedio attivabile in sede giurisdizionale nel caso di silenzio dell'amministrazione a fronte di un'istanza di accesso civico generalizzato.

Secondo un primo orientamento, l'individuazione del rito speciale di cui deve avvalersi il cittadino al fine di assicurare tutela al proprio diritto di accesso civico rispetto alla condotta silente dell'Amministrazione è da ascrivere all'art. 116 del codice del processo amministrativo, attesa la natura di diritto soggettivo del diritto di accesso, sia esso documentale o civico, posto che la l'Amministrazione rimasta silente è chiamata al compimento di un'attività vincolata ed il giudice deve accertare la sussistenza del diritto all'ostensione dei documenti (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 10 marzo 2020, n. 645).

Secondo un altro orientamento, nel caso di accesso civico generalizzato, l'interessato ha la possibilità di proporre ricorso giurisdizionale secondo il rito dell'accesso di cui all'art. 116 c.p.a. solo avverso la decisione negativa espressa dell'amministrazione competente o, in caso di richiesta di riesame, avverso quella del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.

Nell'ipotesi in cui l'amministrazione o, in sede di riesame, il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, non si siano pronunciati sull'istanza di accesso, l'inerzia non può essere qualificata giuridicamente come silenzio significativo (più precisamente silenzio - diniego), ma piuttosto come silenzio – inadempimento (Tar Lazio, Roma, Sez. III-quater, 11 novembre 2021, n. 11656).

Di conseguenza, l'interessato potrà proporre l'azione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a, nel termine lungo annuale.

Invero, il ricorso giurisdizionale in materia di accesso civico non è diretto a dare tutela all'interesse di un singolo, ma a realizzare l'interesse pubblico alla trasparenza da raggiungere mediante l'ordine rivolto dal giudice all'amministrazione di adempiere all'obbligo legislativo di pubblicazione.

Analogamente, nel giudizio avverso l'inerzia ovvero il diniego di accesso alle informazioni ambientali, in cui il richiedente appaia assistito da una legittimazione diffusa o popolare, si esclude che il deducente possa agire per finalità di semplice sindacato ispettivo e non per riparare a una compromissione dell'ambiente individuata specificamente.

Non si tratta, però, anche in tale caso, di situazioni che riguardino un singolo individuo, né una formazione sociale personificata, ma di interesse della collettività di riferimento.