I beni ricompresi nell'attivo fallimentare possono essere oggetto di sequestro preventivo?

La Redazione
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08 Febbraio 2023

Sulla base di un approccio interpretativo logico sistematico che fa leva sugli artt. 317 ss. CCII, la Cassazione conferma la possibilità di procedere, in caso di reato fiscale, al sequestro preventivo finalizzato alla confisca della somma corrispondente al profitto del reato a carico della società, nonostante l'intervenuta dichiarazione di fallimento.

Il Tribunale di Trani ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo con cui era stata applicata, a carico di due società, la misura suddetta cautelare, finalizzata alla confisca diretta, per l'importo corrispondente al profitto del reato di omesso versamento di ritenute (art. 10 d.lgs. n. 74/2000).

Il curatore fallimentare di una delle due società ha proposto ricorso per cassazione, invocando l'impossibilità di procedere con il sequestro preventivo di beni rientranti nella disponibilità della curatela fallimentare, successivamente alla dichiarazione di fallimento. Il ricorso risulta infondato.

Il Collegio rileva sul punto un contrasto interpretativo, poiché da un lato è stato affermato che è illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis d.lgs. n. 74/2000 su beni già assoggettati alla procedura fallimentare (v. Cass. pen. sez. III n. 27706 del 24 giugno 2022; Cass. pen. sez. II n. 19682 del 13 aprile 2022; Cass. pen., sez. III, n. 3716 del 26 novembre 2021, dep. 2022). Tale affermazione si fonda sulla considerazione per cui a seguito del fallimento si assiste allo spossessamento del patrimonio della persona fisica o giuridica, con il conseguente venir meno del potere di disposizione che viene trasferito al curatore fallimentare nella prospettiva della conservazione delle tutele patrimoniali per i creditori. Alcune pronunce di senso opposto hanno messo in dubbio tale ricostruzione attribuendo la titolarità dei beni in capo al fallito fino al momento della vendita fallimentare (v. Cass. pen. sez. III n. 31921 del 4 maggio 2022; Cass. pen. sez. IV n. 864 del 3 dicembre 2021, dep. 2022). Secondo tale orientamento è dirimente il fatto che la dichiarazione di fallimento, pur comportando lo spossamento della società fallita, non comporta alcuna alterazione della compagine sociale i cui organi restano in funzione (seppur con i limiti della procedura fallimentare). Logico corollario del fatto che la società continua ad esistere come soggetto giuridico è che essa non possa essere giuridicamente affrancata dall'applicazione di una misura ablativa obbligatoria.

Il Collegio aderisce a tale interpretazione che trova riscontro non soltanto nei diversi arresti giurisprudenziali (v. Cass. pen. sez. III n. 1577 del 2020; Cass. pen. sez. III n. 28077 del 09 febbraio 2017; Cass. pen. sez. III n. 23907 del 01 marzo 2016), ma anche nel codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) il quale prevede espressamente la legittimazione del curatore alle impugnazioni de libertate avverso il decreto di sequestro preventivo e le relative ordinanze. Inoltre, l'art. sancisce il principio di prevalenza delle misure cautelari reali e della disciplina della tutela dei terzi contenute nel libro I, titolo IV, d.lgs. n. 159/2011 rispetto alle procedure concorsuali, limitando tale prevalenza alle ipotesi di sequestro preventivo penale strumentale alla confisca ai sensi dell'art. 321, comma 2, c.p.p. (che ricomprende anche i sequestri per reati fiscali).

Così ricostruiti i rapporti tra le procedure concorsuali e le misure cautelari reali tramite un approccio interpretativo logico-sistematico, il Collegio rigetta il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it