Al vaglio della Cassazione il rapporto tra il d.l. “liquidità” e il delitto di malversazione a danno dello Stato

Giovanni Domeniconi
09 Febbraio 2023

La questione attiene alla riconducibilità dell'erogazione della garanzia pubblica concessa dal Fondo centrale di garanzia PMI alla fattispecie di cui all'art. 316-bis c.p.
Massima

In tema di legislazione emergenziale volta al sostegno delle imprese colpite dalla pandemia da Covid-19, è configurabile il reato di cui all'art. 316-bis c.p., nel caso in cui, successivamente all'erogazione, da parte di un istituto di credito, di un finanziamento assistito dalla garanzia rilasciata dal Fondo per le PMI, ai sensi dell'art. 13, lett. m) d.l. n. 23/2020, (cd. "decreto liquidità"), convertito con modificazioni dalla l. n. 40/2020, gli importi erogati non vengano destinati alle finalità cui detto finanziamento è destinato per legge.

Il caso

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini disponeva il sequestro preventivo della somma di 15.000 euro, finalizzato alla confisca diretta del profitto, nei confronti di un soggetto indagato del reato di malversazione a danni dello Stato perché, avendo ottenuto dallo Stato, tramite la garanzia fornita dal Fondo di Garanzia per PMI, un finanziamento destinato allo svolgimento di attività di interesse pubblico (ai sensi dell'art. 13, lett. m, d.l. 8 aprile 2020, n. 23 cd. decreto liquidità, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40), non lo impiegava per finanziare esigenze di liquidità della propria azienda, ma lo utilizzava per acquistare un camper adibito ad uso privato.

Secondo il GIP del Tribunale di Rimini, nel caso di specie, sussisteva il fumus commissi delicti dal momento che i) nella carta di circolazione il camper risultava “immatricolato per uso proprio, specialità campeggio”; ii) gli accertamenti bancari avevano dimostrato che, in assenza del finanziamento garantito percepito, l'indagato non avrebbe avuto le risorse necessarie per poter acquistare il camper.

L'indagato formulava richiesta di riesame nei confronti del decreto che aveva disposto il sequestro preventivo.

Il Tribunale di Rimini accoglieva la richiesta di riesame e annullava il decreto, disponendo il dissequestro e la restituzione della somma di 15.000 euro.

Secondo il Tribunale del riesame, in particolare, la condotta dell'indagato non poteva essere ascritta entro il perimetro di cui all'art. 316-bis c.p. perché il finanziamento non era erogato direttamente dall'ente pubblico al privato beneficiario, bensì da una banca e era assistito da garanzia statale.

Pertanto, la somma percepita avrebbe avuto carattere privatistico, trattandosi di denaro nella disponibilità della banca.

Per corroborare la propria decisione, il Tribunale di Rimini aveva richiamato la sentenza n. 22119 del 2021, con la quale la Sesta Sezione Penale della Cassazione, affrontando un caso similare, aveva escluso che potesse essere integrato il delitto di malversazione perché l'ipotesi in esame prevedeva (non un unico rapporto, ma) due rapporti giuridici distinti: un rapporto di mutuo tra l'istituto di credito e il beneficiario e un rapporto accessorio e di garanzia che riguardava lo Stato.

Di conseguenza, l'intervento dello Stato sarebbe del tutto eventuale e connesso ad un'ipotesi di inadempimento del mutuatario, nei cui confronti – in ogni caso – avrebbe potuto rivalersi direttamente il Fondo per le piccole e medie imprese.

Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Rimini ricorreva per Cassazione avverso tale ordinanza, chiedendone l'annullamento e deducendo, con un unico motivo, la violazione dell'art. 316-bis c.p.

Nello specifico, secondo il ricorrente, l'istituto di credito che eroga un finanziamento all'imprenditore ai sensi dell'art. 13, lett. m) d.l. n. 23/2020 opera come longa manus dello Stato, dal momento che svolge un mero controllo formale sulla coerenza dei dati autocertificativi dell'impresa con i parametri fissati dalla legge e non esamina il merito creditizio del beneficiario.

Inoltre, la pubblica accusa ha sostenuto che il finanziamento di cui si discuteva era assimilabile alle “altre forme di intervento comunque denominate” (ex art. 640-bis c.p.) aventi natura pubblicistica.

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nella propria requisitoria, chiedeva la remissione della questione di diritto alle Sezioni Unite e, in subordine, di annullare il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Rimini sulla base delle medesime considerazioni svolte dal Pubblico Ministero ricorrente.

Il difensore dell'indagato, invece, richiedeva alla Corte di Cassazione di voler dichiarare l'inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza, in virtù delle argomentazioni già espresse dalla giurisprudenza della predetta sentenza n. 22119/2021.

Inoltre, ad avviso del difensore, il sequestro preventivo del finanziamento non poteva essere disposto perché l'indagato stava rimborsando all'istituto di credito le somme percepite.

La questione

Il tema centrale devoluto alla Corte di cassazione riguarda la natura pubblica o privata del finanziamento garantito di cui si discute e, di conseguenza, la possibilità di considerarlo o meno come ausilio economico “ottenuto dallo Stato”.

Vi sono, inoltre, due questioni collegate che sono state affrontate dalla Suprema Corte: il momento consumativo del reato di malversazione ai danni dello Stato e gli effetti prodotti dalla restituzione delle rate del finanziamento ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 316-bis c.p.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha dato conto del fatto che il decreto legge “liquidità” non ha introdotto fattispecie di reato per sanzionare le condotte distrattive dei soggetti che, una volta ottenuto il finanziamento, imprimono alle somme ricevute una destinazione diversa da quella prevista dal legislatore (quale, il mantenimento dei livelli occupazionali, l'evitare il fallimento o la crisi dell'impresa a causa della contrazione del fatturato determinata dall'emergenza sanitaria da Covid-19, la copertura di spese strettamente funzionali all'attività).

Pertanto, i giudici hanno dovuto valutare la sussumibilità di tali condotte entro i perimetri delle fattispecie previste dal codice penale.

Sul punto, in giurisprudenza si sono sviluppati due orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, espresso dalla citata sentenza n. 22119/2021, la condotta di chi – avendo ottenuto l'erogazione di un finanziamento a titolo di prestito garantito da SACE S.p.A., come previsto dal Decreto Liquidità – impieghi le somme ricevute per finalità diverse da quelle cui detto finanziamento era destinato per legge non integra il reato di malversazione ai danni dello Stato.

Per giungere a tale conclusione la Corte di Cassazione ha valorizzato due aspetti.

Innanzitutto, il finanziamento in esame, sebbene connotato da onerosità attenuata e destinato alla realizzazione di finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da un altro ente pubblico, bensì da un istituto bancario, che è (e rimane sempre) un soggetto privato.

Gli istituti bancari, infatti, non presentano i requisiti che caratterizzano gli enti pubblici, unici soggetti attivi del reato di malversazione a danno dello Stato.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, il concetto di ente pubblico che eroga fondi distratti nella loro destinazione coincide con quello di organismo pubblico (cfr. Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2013, n. 17343).

Ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. d) d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (cd. Codice degli appalti), l'organismo di diritto pubblico presenta le seguenti caratteristiche: i) è istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; ii) è dotato di personalità giuridica; iii) lo Stato, gli enti pubblici territoriali o altri organismi di diritto pubblico ne finanziano in modo maggioritario l'attività oppure ne controllano la gestione oppure designano più della metà dei membri dell'organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza.

Elementi che non caratterizzano, invece, gli istituti bancari.

Inoltre, la Corte di cassazione ha evidenziato la presenza di due rapporti giuridici nello schema operativo del Decreto Liquidità: da un lato, un rapporto di mutuo a scopo legale sussistente tra l'impresa e la banca; dall'altro lato, un rapporto accessorio di garanzia tra il garante pubblico e la banca.

La garanzia pubblica è rilasciata da SACE S.p.A. (acronimo di Sezione speciale per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione) o dal Fondo centrale di garanzia PMI (se l'impresa ha meno di 499 dipendenti), la quali, a loro volta, sono garantiti dallo Stato.

Il garante pubblico interviene solo nel caso di mancata restituzione del finanziamento e quindi in un momento successivo rispetto all'erogazione dello stesso.

Pertanto, se l'imprenditore distrae le somme ricevute rispetto allo scopo cui erano destinate, ma rimborsa integralmente il finanziamento, la garanzia pubblica non viene attivata.

Da ciò la Corte di Cassazione deduce che la distrazione del denaro rileva solo all'interno del rapporto di mutuo, che non vede la partecipazione di alcun soggetto pubblico e che ha come rimedi la messa in mora del mutuatario ovvero la risoluzione del contratto di mutuo.

In conclusione, pertanto, secondo il primo indirizzo giurisprudenziale, il finanziamento oggetto del Decreto Liquidità non può in alcun modo essere considerato una diretta erogazione dello Stato e, quindi, non può integrare il reato di cui all'art. 316-bis c.p.

Tale orientamento è rimasto del tutto isolato e le successive sentenze della Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, tra cui anche quella oggetto del presente commento, hanno privilegiato una soluzione diametralmente opposta (Cfr. Cass. pen., sez. VI, 24 novembre 2021, n. 2125).

L'indirizzo maggioritario, infatti, ha posto in evidenza che la garanzia dello Stato (concessa in prima battuta dal Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese) è presupposto essenziale per l'erogazione del finanziamento al privato, dal momento che, in sua assenza, la valutazione del merito creditizio secondo le ordinarie condizioni di mercato avrebbe reso più difficile il ricorso al credito per le imprese, specie nelle condizioni in cui versavano in periodo pandemico.

Al contempo, è stato lo stesso legislatore a qualificare l'operazione di finanziamento agevolato, realizzata mediante l'intervento di SACE o del Fondo centrale di garanzia PMI, come una forma di intervento pubblico vincolato allo scopo di sostenere le imprese in crisi di liquidità a causa degli effetti del Covid-19.

Di conseguenza, pur essendo erogato nell'ambito di un rapporto privatistico come quello tra banca e imprenditore, il finanziamento in esame assolverebbe una funzione pubblicistica.

In generale, si dice, la nozione di finanziamento pubblico elaborata dalla dottrina amministrativa (e ripresa da quella penalistica) ricomprende tutti quei rapporti in cui la temporanea creazione di disponibilità finanziarie avviene per intervento diretto o indiretto (tramite istituti di credito) dello Stato e il beneficiario è vincolato ad utilizzarle per un fine convenuto che corrisponde ad uno specifico interesse pubblico, di volta in volta individuato.

Di conseguenza, nel caso di specie, la Cassazione – aderendo alle argomentazioni espresse dalla giurisprudenza maggioritaria – ha concluso che il reato di malversazione a danno dello Stato possa avere ad oggetto anche finanziamenti erogati indirettamente dallo Stato, tramite la prestazione di una garanzia sulle somme materialmente distribuite da un istituto bancario.

Infine, nella sentenza in esame sono state affrontate due ulteriori questioni.

La Cassazione ha ricordato che il delitto di cui all'art. 316-bis c.p. è un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui le sovvenzioni, i finanziamenti o i contributi pubblici sono distratti dalla destinazione (vincolata) per la quale erano stati erogati.

Nel caso in cui sia previsto un termine per il perseguimento della finalità pubblica, il reato può dirsi perfezionato solo quando sia giunto a scadenza detto termine. In tal caso, le condotte precedentemente commesse possono essere punibili a titolo di tentativo.

Nel caso in cui, invece, non sia previsto alcun termine, allora la consumazione coincide con il momento in cui le somme percepite vengono distratte.

Di conseguenza, ai fini della configurabilità del reato, non assume rilevanza la restituzione del finanziamento da parte dell'agente in epoca successiva rispetto alla distrazione delle somme.

Il quantum di finanziamento restituito alla banca potrà, invece, essere valutato al fine di determinare l'ammontare del profitto da reato da sottoporre a sequestro preventivo o a confisca.

Osservazioni

Durante l'emergenza pandemica, il Governo, ricorrendo sistematicamente alla decretazione d'urgenza, ha promosso diverse misure di sostegno all'economia, tra cui, per quanto ci impegna, l'accesso a finanziamenti garantiti dallo Stato.

Al contempo, non sono state introdotte fattispecie di reato ad hoc che potessero trovare applicazione nelle ipotesi di inosservanza fraudolenta delle disposizioni di aiuto alle imprese.

Per questo motivo la giurisprudenza, sopperendo al silenzio del legislatore, ha dovuto valutare la possibilità di applicare «il cd. microsistema delineato dal Codice penale per il contrasto delle frodi nella concessione degli incentivi pubblici e degli abusi successivi alla loro erogazione».

Nello specifico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che

  • integri il reato di cui all'art. 316-ter c.p. la condotta di chi ottiene il finanziamento garantito dallo Stato a seguito della presentazione di documenti non veri o di un'autocertificazione che attesta dati falsi (Cass. pen., sez. VI, 13 gennaio 2022, n. 11246);
  • e integri il reato di cui all'art. 316-bis c.p. la condotta di chi, ottenuto il finanziamento garantito dallo Stato, non lo destini al fine per il quale era stato ottenuto.

Presupposto comune alle due fattispecie individuate dalla giurisprudenza è che il finanziamento sia un finanziamento dello Stato, seppur irrogato indirettamente tramite un istituto bancario.

Chi scrive ritiene che tale impostazione non possa essere condivisa, dal momento che il finanziamento cui fa riferimento il d.l. Liquidità non è un finanziamento (indiretto) dello Stato, bensì un finanziamento (solo) garantito dallo Stato.

Di conseguenza, non può essere considerato come finanziamento pubblico (o altra erogazione comunque denominata, ai sensi dell'art. 316-ter c.p.).

A sostegno dell'estraneità dello Stato, dal punto di vista patrimoniale, rispetto alle fattispecie suindicate, si consideri che qualora l'imprenditore, dopo aver destinato le somme percepite a scopi diversi rispetto a quelli previsti dal d.l. n. 23/2020, rimborsi integralmente il finanziamento, la garanzia pubblica non verrà mai escussa dalla banca.

In conclusione, si ritiene che non sia possibile estendere le maglie delle norme incriminatrici per tutelare un interesse (solo potenziale) dello Stato: il legislatore avrebbe dovuto introdurre delle fattispecie ad hoc per sanzionare simili condotte, essendo peraltro necessario prevedere la responsabilità penale soltanto nei casi di lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto.

Riferimenti
  • G. Mazzotta, Il sostegno all'economia nella crisi da COVID: il versante penale. Le fattispecie applicabili e le indagini, in questionegiustizia.it, 15 marzo 2021;
  • F. Mucciarelli, Finanziamenti garantiti ex art. d.l. 23/2020: profili penalistici, in sistemapenale.it, 4 maggio 2020;
  • C. Santoriello, È malversazione utilizzare per fini personali i finanziamenti garantiti dal Fondo per le PMI, in IUS Societario (ius.giuffrefl.it), 14 settembre 2022.