Il secondo blocco di quesiti si misura poi con il problema del ruolo del titolare del trattamento dati, specialmente in funzione di garanzia dell'effettività del diritto al delisting.
E' noto che la legislazione euro-unitaria attribuisce un significato particolarmente ampio alla nozione di «titolare del trattamento dati», come «persona fisica o giuridica, autorità pubblica, servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali» (art. 4, punto 7, GDPR); a sua volta, il trattamento dati racchiude una molteplicità di operazioni che possono avere ad oggetto il dato personale, con un'evidente finalità definitoria omnicomprensiva. La nozione di titolare del trattamento si distingue quindi dal diverso ruolo assunto dal «destinatario dei dati personali», che si limita a «ricevere comunicazione di dati personali, che si tratti o meno di terzi» (art. 4, punto, 9, GDPR). L'intento è quello di differenziare fra loro gli operatori che svolgano un ruolo attivo nel trattamento, rispetto a quelli che risultano unicamente destinatari di un trattamento già svolto o da svolgersi da parte del titolare. Quest'ultimo è difatti responsabile della messa in atto di misure tecniche e organizzative adeguate a informare gli altri titolari del trattamento, che gli abbiano fornito tali dati o ai quali esso stesso abbia trasmesso i dati in questione, della revoca del consenso dell'interessato, nonché della sua volontà di vederne cessata l'accessibilità al pubblico su internet attraverso i motori di ricerca.
Occorre allora verificare se l'attività di raccolta dei dati al fine di una loro pubblicazione all'interno degli elenchi qualifichi il soggetto che la svolga come «titolare del trattamento dati», ovvero come mero «destinatario» e quali siano gli obblighi gravanti su di esso.
Pochi dubbi sembrano residuare, per la Corte, sul fatto che la pubblicazione degli elenchi, così come la comunicazione degli stessi dati ad altri fornitori, appartenga alle attività tipiche del titolare del trattamento. Più discusso è invece se il fornitore di elenchi, che sia terzo nel rapporto fra l'abbonato e il suo operatore di servizi telefonici, sia anche tenuto a comunicare la revoca del consenso al trattamento dati lungo tutta la catena. È ragionevole aspettarsi, d'altronde, che l'interessato comunichi la revoca del consenso al solo soggetto che gli fornisce i servizi telefonici.
Data tuttavia la natura unitaria della base giuridica che assicura la liceità del trattamento dati (art. 6, par. 1, lett. a GDPR), può comunque ritenersi che qualunque titolare del trattamento dati, a prescindere dalla esistenza di un rapporto contrattuale con l'interessato, sia tenuto a garantire l'esercizio effettivo del diritto alla cancellazione. Ciascun titolare tratta, infatti, i dati in successione e in modo indipendente, ma sulla base di un unico consenso legittimante. Gli obblighi in capo a Proximus non potrebbero, dunque, dirsi esauriti con il solo aggiornamento della propria banca dati, ma si estenderebbero anche al dovere di informare gli altri operatori di telecomunicazione di tale revoca: inadempimento che, nel caso di specie, ha annullato l'effetto dell'aggiornamento compiuto da Proximus, determinando la re-inclusione dei dati di contatto dell'abbonato all'interno dei suddetti elenchi. Di conseguenza, la responsabilità non si ferma al solo primo titolare cui è prestato il consenso (Telenet), ma anche a ogni altro titolare successivo che abbia a sua volta assunto l'iniziativa della cessione dei dati (Proximus), restandone dunque responsabile.
A ben vedere, l'obiettivo della Corte è quello di mirare alla concentrazione dei rimedi a tutela dell'interessato e di responsabilizzazione del titolare del trattamento(accountability), in una prospettiva di unitarietà funzionale del consenso. Laddove lo scopo del trattamento sia il medesimo, sarebbe inutilmente penalizzante gravare l'interessato dell'onere di rivolgere la sua richiesta ai singoli titolari del trattamento dati, parcellizzando così il diritto alla cancellazione lungo tutta la catena. Tale approccio risulta inoltre coerente con la risposta che la Corte ha in precedenza fornito al secondo quesito. Qualora si permetta difatti un'impostazione più “lassista” in ordine agli obblighi di informare l'interessato sull'identità dei diversi titolari del trattamento dei dati, non si può allora imporre a quest'ultimo l'onere di comunicare la revoca del consenso a soggetti la cui identità possa essergli del tutto sconosciuta. Questa interpretazione è altresì coerente con l'impostazione seguita dal GDPR, secondo cui «il consenso è revocato con la stessa facilità con cui è accordato» (art. 7, par. 3, GDPR). Allorché vari responsabili trattino i dati personali dell'interessato sulla base di un medesimo consenso, sarà sufficiente che quest'ultimo, per revocare il proprio consenso, si rivolga ad uno qualunque dei titolari del trattamento, il quale sarà poi tenuto ad attivarsi affinché ne siano informati anche li altri titolari.
Alla stessa logica si informa, infine, la risposta all'ultimo quesito, relativo alla facoltà dell'autorità nazionale di intimare al fornitore di elenchi di informare non solo gli altri operatori dei servizi telefonici, ma anche i motori di ricerca, della richiesta di cancellazione.
Il diritto al delisting è richiamato all'interno dell'art. 17, par. 2 GDPR, secondo il quale «il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell'interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali». Nel noto caso Google Spain (C-131/12) la Corte aveva riconosciuto che, nella misura in cui l'attività di un motore di ricerca è in grado di incidere in modo significativo sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali, il gestore del motore di ricerca, in qualità di responsabile del trattamento deve garantire che il trattamento soddisfi i requisiti della normativa sulla protezione dei dati affinché le garanzie stabilite da tale normativa possano avere pieno effetto e che «la protezione effettiva e completa degli interessati, in particolare del loro diritto alla vita privata, possa essere effettivamente realizzata».
Il punto critico affrontato nella pronuncia attiene nuovamente al ruolo assegnato al fornitore di elenchi nell'individuazione delle misure che possono essere ragionevolmente adottate da quest'ultimo per informare gli altri titolari del trattamento, fra cui figurano anche i motori di ricerca. In particolare, è messa in dubbio la ragionevolezza della richiesta al fornitore di comunicare al motore di ricerca la volontà dell'interessato di avvalersi del diritto alla de-indicizzazione, laddove non sia certa la provenienza dei dati utilizzati dal motore di ricerca, potendo essi provenire anche da altri fornitori di elenchi: sarebbe, insomma, irragionevole attribuire a Proximus la responsabilità per l'inadempimento di fornitori terzi. Qualora si consentisse, tuttavia, al titolare del trattamento di sottrarsi alla responsabilità ogni qual volta residui un dubbio che i dati in questione siano stati forniti da terzi, si finirebbe, di fatto, per svuotare di effettività la tutela del diritto alla cancellazione, gravando l'interessato di un onere pressoché impossibile da assolvere. In tal modo, come suggerito dall'Avvocato Generale nelle conclusioni, si incentiverebbe altresì il titolare del trattamento a realizzare la massima diffusione possibile dei dati per sottrarsi alla responsabilità ex art 17, par. 2, GDPR facendo affidamento sull'incerta origine del dato. Tale valutazione va dunque effettuata, a detta della Corte, tenendo in considerazione la sola tecnologia disponibile e i costi di attuazione per il fornitore di elenchi; elementi che, nel caso di specie, hanno confermato la ragionevolezza della richiesta a Proximus, attesa la particolare concentrazione del mercato dei servizi di browsing in Belgio (90% delle ricerche su desktop e 99% di quelle su smartphone e tablet attraverso Google).
La conclusione ribadisce dunque la centralità assunta dal principio di effettività della tutela nel rispetto del consenso dell'interessato al trattamento dati e nell'attuazione della sua revoca. In un settore come quello delle telecomunicazioni, contraddistinto da meccanismi di trasmissione e trattamento dati a catena, con fisiologico coinvolgimento di più titolari, diviene allora essenziale misurare il principio di concentrazione delle tutele con quello della ragionevolezza degli adempimenti previsti dal GDPR. Se appare, per un verso, eccessivamente oneroso gravare il titolare del trattamento dell'obbligo di informare l'interessato sull'esatta identità di ogni altro destinatario dei dati – al permanere, ovviamente, di una medesima finalità –, per l'altro, è ragionevole attribuire sul primo una fetta più ampia di responsabilità, data la base legale unitaria che legittima il trattamento dati e la necessità di assicurarne la sua effettiva permanenza. L'indirizzo promosso è dunque quello di un potenziamento nella responsabilizzazione dei titolari del trattamento dati i quali, a prescindere da chi sia stato inizialmente autorizzato al trattamento e alla diffusione dei dati (nel caso di specie, Telenet), hanno l'obbligo di cooperare fra loro per assicurare un'informazione effettiva sul permanere e sull'eventuale revoca del consenso, anche laddove essa sia stata comunicata solamente ad uno dei titolari successivi (Proximus).