Società di diritto europeo e partecipazione dei sindacati al consiglio di sorveglianza

Renato Bernabai
12 Febbraio 2023

La trasformazione di una società di diritto nazionale in società europea (SE) non deve ridurre la partecipazione dei sindacati alla composizione del consiglio di sorveglianza. Quando il diritto nazionale impone, per la società da trasformare, una votazione distinta per l'elezione dei rappresentanti dei lavoratori proposti dai sindacati, una simile modalità elettorale deve essere mantenuta. Nella specie, si trattava della trasformazione di una s.p.a. di diritto tedesco in società europea- SE, con la previsione che, in caso di riduzione del numero dei membri del consiglio di sorveglianza da 18 a 12, i sindacati potessero sempre proporre candidati per una quota dei sei seggi spettanti ai rappresentanti dei lavoratori: candidati, questi, non più eletti, però, sulla base di una votazione distinta da quella prevista per l'elezione degli altri membri in rappresentanza dei lavoratori. Di conseguenza, la presenza effettiva di un rappresentante dei sindacati tra i rappresentanti dei lavoratori all'interno di tale consiglio di sorveglianza non era più garantita.
Cenni sulla genesi della società europea (SE)

Con l'inedito abbinamento del regolamento CE 8 ottobre 2001 n.2157 relativo allo statuto della Società europea (SE) e della coeva direttiva 2001/86/Ce - che ne costituisce “complemento indissociabile” (considerando n.19 del Regolamento: “Le norme relative al ruolo dei lavoratori nella SE sono oggetto della direttiva 2001/86/CE del Consiglio dell'8 ottobre 2001 che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori. Dette disposizioni costituiscono pertanto un complemento indissociabile del presente regolamento e devono poter essere applicate contemporaneamente”) - giunse a termine il lungo iter di approvazione dello statuto della società europea - SE e di adozione di uno schema societario comune a tutti gli Stati membri.

Il contenuto dei due atti normativi risulta molto conciso rispetto a precedenti progetti: concisione, dovuta alle difficoltà di una reductio ad unum delle varie discipline nazionali. Tralasciando un primo conato del Consiglio d'Europa nel 1949, rimasto privo di seguito, l'aspirazione ad uno statuto europeo della s.p.a. moveva dal riconoscimento dell'insufficienza degli strumenti ordinari del coordinamento e del ravvicinamento delle legislazioni nazionali a soddisfare l'esigenza dell'accrescimento dimensionale delle imprese europee, in ambito transnazionale, idoneo a fronteggiare, sul piano della competitività, le grandi società americane e giapponesi.

La prima proposta compiutamente elaborata era stata presentata dalla Commissione nel 1970, emendata nel 1975 a seguito del parere del Parlamento, e contava ben 284 articoli; dettando una disciplina esaustiva su tutti gli aspetti del diritto societario, senza operare alcun rinvio alle legislazioni nazionali. Tuttavia, il progetto collideva frontalmente con le diverse tradizioni giuridiche in punti qualificanti; onde, i singoli Stati membri si dimostrarono renitenti ad accogliere l'adozione di uno strumento di diritto uniforme: per di più, sostanzialmente esemplato sul modello dell'Aktiengesellshaft tedesca.

Le difficoltà di armonizzazione in tema di gruppi di società - considerata premessa irrinunciabile della creazione di una società di secondo grado, quale doveva essere la società europea - e soprattutto in ordine al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dell'impresa ed alla scelta della struttura societaria - tra l'opzione monistica (propria dell'esperienza anglosassone) e quella dualistica (tipica del diritto tedesco) - furono ostacoli insormontabili all'approvazione del progetto.

Nondimeno, il bisogno di uniformità normativa era reale ed urgente: in Europa, a differenza che negli Stati Uniti, le attività imprenditoriali transnazionali avvenivano, infatti, mediante costituzione di società controllate, soggette alla legge dei diversi Stati membri, piuttosto che con il ricorso a filiali della società-madre straniera. Concorreva a questa prassi la diffidenza da parte delle imprese locali (in primo luogo, le banche) a trattare con società disciplinate da una normativa straniera di non sempre agevole conoscibilità.

Tipologia della SE

Dal Regolamento 2157/2001 emerge che la costituzione della società europea presuppone la presenza di almeno due imprese operanti in diversi Stati membri e risponde allo scopo di coordinarne l'attività comune tramite una struttura sociale unitaria. Anche nel caso di costituzione della SE mediante trasformazione di una singola s.p.a., ai sensi dell'art.4, par. 4, della direttiva 2001/86 (è la fattispecie concreta esaminata dalla Corte di Giustizia nella sentenza in esame), pur essendo unica la società promotrice, è richiesto che questa abbia un'affiliata soggetta alla legge di altro Stato membro.

Sotto il profilo tipologico, la SE è una società per azioni , come si evince testualmente dall'art.2 del Regolamento n.2157/2001, che al primo comma recita: “Le società per azioni indicate nell'allegato 1, costituite secondo la legge di uno Stato membro e aventi la sede sociale e l'amministratore centrale nella comunità, possono costituire una società europea mediante fusione se almeno due di esse sono soggette alla legge di Stati membri differenti”. In senso conforme, il successivo comma 4, che prevede la costituzione di una società europea per trasformazione di una società per azioni di uno Stato membro.

Alla società per azioni fanno immediato riferimento, del resto, taluni aspetti qualificanti, quali la personalità giuridica, l'autonomia patrimoniale perfetta, il frazionamento del capitale, prescritto, nel minimo, in € 120.000 (com'era per la s.p.a italiana, ex art.2327 cod. civ. prima dell'emendamento riduttivo ad € 50.000, introdotto dal d. l.24 giugno 2014 n.91, convertito in l.11 agosto 2014 n.116); salvo l'obbligo di un capitale più elevato se previsto in legislazioni nazionali per l'esercizio di particolari attività (ad es., quella bancaria o assicurativa).

Elemento fortemente distintivo della SE è, oltre l'attività transfrontaliera, il necessario coinvolgimento dei lavoratori: già oggetto, nel 1997, di una relazione finale ad hoc del gruppo di esperti "Sistemi europei di partecipazione dei lavoratori" (relazione Davignon) e disciplinato appositamente con la direttiva n. 2001/86/CEdel Consiglio, che espressamente riporta in rubrica la sua funzione integrativa del Regolamento 8 ottobre 2001 n.2157. E proprio la forma di coinvolgimento dei lavoratori, frutto, infine, di una soluzione di compromesso, è stata, a lungo, di ostacolo all'approvazione dello statuto della SE.

Sotto il profilo procedurale, la direttiva prevede che la negoziazione prenda avvio dalla pubblicazione del progetto di costituzione, o di fusione, o di creazione di una società europea capogruppo, o di trasformazione o costituzione di una società europea affiliata (art.3). Gli amministratori devono fornire ai rappresentanti dei lavoratori le informazioni relative al numero dei dipendenti impiegati nelle società promotrici, nelle affiliate o nelle dipendenze interessate.

La negoziazione viene condotta da una delegazione speciale ad hoc, rappresentativa dei lavoratori delle società partecipanti e dagli organi competenti di queste ultime. Le parti possono giungere alla sottoscrizione di un accordo scritto che disciplini le modalità di coinvolgimento dei lavoratori nella società europea; ma possono anche decidere di applicare la disciplina di riferimento prevista dalla legislazione nazionale. L'accordo può contemplare procedure di informazione e consultazione, o l'istituzione di un organo di rappresentanza dei lavoratori; o ancora, la partecipazione dei lavoratori agli organi societari. In nessun caso è consentita, come detto, la riduzione dei diritti di informazione, consultazione o partecipazione dei lavoratori in caso di trasformazione (art.4, par.4, direttiva n.2001/86 CE).

L'organo di vigilanza o di amministrazione della SE e i rappresentanti dei lavoratori operano con spirito di cooperazione nell'osservanza dei loro diritti e obblighi reciproci (art.9 direttiva n.2001/86/CE); e per evitare il cd. sviamento di procedura, gli Stati membri adottano le misure appropriate, conformemente alla normativa comunitaria, per impedire che una SE sia costituita al fine di privare i lavoratori dei diritti in materia di coinvolgimento o di negare loro tali diritti (art.11 direttiva 2001/86/CE).

Nonostante questo ordito normativo variegato sembra da escludere che la SE costituisca un nuovo tipo societario.

Storicamente, un precedente, nell'ambito della disciplina in esame, può considerarsi la direttiva 94/45/CEE del 22 settembre 1994 (poi abrogata dall'art.17 della direttiva 2009/38/CE), riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo - CAE: direttiva, recepita in Italia con il decreto legislativo 2 aprile 2002 n.74 (a sua volta, abrogato dall'art.19 d.lgs. 22 giugno 2012 n.133). La principale differenza tra la direttiva sui CAE e quella sulla società europea consisteva nell'applicazione di quest'ultima a tutte le imprese, di qualsiasi dimensione, costituite in forma di SE; e non solo alle imprese di dimensione europea, come la direttiva del 1994.

In sintesi, il legislatore comunitario ha inteso creare uno schema societario che agevoli la costituzione di imprese a carattere transnazionale, per lo sviluppo di iniziative economiche su scala europea.

Ma, come è stato notato in dottrina (Fiorio, Lo statuto della società europea: la struttura della società ed il coinvolgimento dei lavoratori, in Giur. it 2003, 1020), a causa della renitenza del legislatore comunitario a fornire un complesso di norme uniformi, l'obiettivo è stato mancato; e la società europea così istituita si rivela un ibrido nazional-comunitario.

I rinvii alla disciplina nazionale concernono, infatti, punti nevralgici del diritto societario, quali la costituzione, la disciplina del capitale, la struttura societaria, lo scioglimento dalla società. Il risultato è stato una normativa disomogenea nei diversi Stati-membri: cosicché si è parlato, paradossalmente, di una società europea italiana, una francese, una tedesca ecc.

La tutela dei diritti di partecipazione

Venendo alla disamina specifica del problema del coinvolgimento dei lavoratori nel caso di una SE costituita mediante trasformazione, oggetto del presente scrutinio, il tenore letterale della direttiva 8 ottobre 2001, n. 2001/86/CErende chiaro che l'accordo sulle relative modalità debba prevedere che esso sia, in tutti i suoi elementi, di livello quanto meno identico a quello che esisteva nella società da trasformare in SE (principio «prima/dopo»). Nel testo, viene messo in rilievo che il rischio di accordi che prevedano un livello di partecipazione inferiore a quello esistente in una o più società partecipanti è “maggiore nel caso di una SE costituita mediante trasformazione o fusione, che nel caso di una Se costituita mediante creazione di una holding o di un'affiliata comune” (considerando n.10).

La Corte di Giustizia, nel breve excursus storico interno alla motivazione, richiama, al riguardo, il quinto considerando della direttiva 2001/86/Ce: “la grande varietà delle normative e delle prassi esistenti negli Stati membri circa le modalità di coinvolgimento dei lavoratori nel processo decisionale della società rende inopportuno stabilire un unico modello europeo di coinvolgimento dei lavoratori applicabile alla società europea”.

Nel contempo, la Corte rileva l'univocità della mens legis nell'intendimento di scongiurare il rischio che la costituzione di una SE - in particolare, mediante trasformazione - porti alla riduzione, o addirittura alla scomparsa, dei livelli di coinvolgimento di cui godevano i lavoratori della società di appartenenza, in forza di legge o di prassi nazionali (considerando nn. 10 e 15 e art.11 della direttiva 2001/86).

Sulla scorta di tali premesse, la Corte statuisce, altresì, che il diritto di proporre una determinata quota di candidati alle elezioni dei rappresentanti dei lavoratori all'interno del consiglio di sorveglianza di una SE costituita mediante trasformazione di una società tedesca non possa essere riservato ai soli sindacati tedeschi; ma debba essere esteso a tutti i sindacati rappresentati nell'ambito della SE, nonché delle sue affiliate e dipendenze, in modo da garantire la parità tra tutti i sindacati in relazione a detto diritto.

E' interessante notare come la Corte, in via pregiudiziale, abbia ritenuto inammissibile l'eccezione di illegittimità della stessa direttiva 8 ottobre 2001, n. 2001/86/CE, sollevata dalla resistenteSAP SE sotto il profilo che non sarebbe compatibile con i diritti fondamentali dell'Unione.

Richiamando il precedente dictum in Msd Sharp& Dohme, C-316/09, la sentenza statuisce, al riguardo, che è competenza esclusiva del giudice del rinvio definire l'oggetto della questione che si intenda sottoporre alla Corte.

Al solo giudice nazionale adito, che si assume la responsabilità della decisione, spetta, infatti, di valutare, alla luce delle peculiarità di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini del giudizio, sia la rilevanza delle questioni demandate alla Corte (principio, questo, affermato anche in Corte di Giustizia 30 novembre 2006, cause riunite C‑376/05 e C‑377/05, Brünsteiner e Autohaus Hilgert, punto 26). E poiché, nella specie, il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro della Germania) non aveva manifestato alcun dubbio in merito alla validità dell'art. 4 della direttiva in esame, e una simile questione non era stata neppure sollevata nella causa principale, l'eccezione è risultata inammissibile, in conformità con una giurisprudenza ben consolidata, secondo cui il rinvio pregiudiziale alla Corte ai sensi dell'art. 267 TFUE(ex art. 234 del TCE) non costituisce un rimedio giurisdizionale direttamente esperibile dalle parti di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale: cosicché la Corte non è tenuta a valutare la validità del diritto dell'Unione per il solo fatto che siffatta eccezione sia stata sollevata dinanzi ad essa da una delle parti, nelle proprie osservazioni scritte.

Essenzialità del coinvolgimento dei lavoratori

Venendo al vaglio della ratio decidendi della sentenza in commento, è da rilevare la premessa, posta a fondamento dell'iter motivo, che la garanzia dei diritti acquisiti dei lavoratori in materia di coinvolgimento nel processo decisionale delle società è un principio fondamentale e l'obiettivo esplicito della direttiva (in questo senso, già si era espressa Corte di Giustizia, ottava sezione, 20 giugno 2013, nella causa C635/11‑, Commissione europea contro Regno dei Paesi Bassi).

Tale ispirazione di fondo è resa testualmente palese dalconsiderando n. 18, che poi aggiunge: « I diritti dei lavoratori acquisiti prima della costituzione della SE sono inoltre alla base dell'elaborazione dei diritti di coinvolgimento degli stessi nella SE». Di essi, la direttiva, anzi, impone non soltanto il mantenimento, ma anche l'estensione a tutti i lavoratori coinvolti in un'eventuale fusione di società nazionali in una SE.

Ne consegue, a chiare lettere che non può esservi alcuna forma societaria europea senza regole in materia di informazione, consultazione o diritti di cogestione dei lavoratori e dei loro sindacati; e che l'adozione di uno statuto europeo non può far sì, in alcun caso, che le imprese si avvalgano di uno strumento giuridico europeo per eludere il coinvolgimento dei lavoratori.

La nettezza della lettera, oltre che della ratio legis, è tale da far ritenere perfino eccessivo lo scrupolo del Bundesarbeitsgericht, nel sottoporre alla Corte di giustizia il quesito sull'interpretazione dell'art.4, par.4, della direttiva 2001/86/CE, dopo aver esplicitamente rivelato che, sul fondamento del solo diritto nazionale, si sarebbe accolta la domanda di annullamento dell'accordo in scrutinio, nella parte relativa alla designazione dei rappresentanti dei lavoratori all'interno del consiglio di sorveglianza, numericamente ridotto, della SE.

Nell'ordinanza di rinvio si ventilava, per contro, il dubbio che l'art. 4, paragrafo 4, della direttiva 2001/86 prevedesse un livello di protezione uniforme, diverso e meno elevato rispetto a quello imposto dal diritto tedesco, all'art. 2 del Gesetz über die Beteiligung der Arbeitnehmer in einer Europäischen Gesellschaft – SEBG (legge che disciplina il coinvolgimento dei lavoratori in una società europea), così da vincolare tutti gli Stati membri: dubbio, che appariva, a dire il vero, già prima facie dissipato dall'univoco tenore della direttiva nei passi sopra richiamati.

Risulta, dunque, condivisibile, de plano,la decisione della Corte di Giustizia, secondo cui l'art. 4, par.4, della direttiva 2001/86 vada interpretato nel senso che l'accordo sulle modalità relative al coinvolgimento dei lavoratori applicabile a una SE costituita mediante trasformazione deve prevedere una votazione distinta, al fine di eleggere alla carica di rappresentanti dei lavoratori, all'interno del consiglio di sorveglianza della SE, una determinata quota di candidati proposti dai sindacati, quando il diritto nazionale applicabile prescriva per questi ultimi una votazione separata.

E' da osservare che, nella specie, la differenza di regime, prima e dopo la costituzione della SE, era solo di natura procedurale. E tuttavia, la Corte non ha avuto dubbi che la votazione disgiunta dei candidati proposti da sindacati per un numero definito di seggi all'interno del consiglio di sorveglianza di una società costituisca un elemento caratterizzante del sistema nazionale di partecipazione; e che quindi anche tale forma procedurale sia da considerare parte del «coinvolgimento dei lavoratori (…) in tutti i suoi elementi», ai sensi dell'art.4, paragrafo 4, della direttiva 2001/86.

Sul punto, ha pure valorizzato, come criterio ermeneutico sussidiario, le preoccupazioni espresse durante la lunga gestazione della direttiva in sede comunitaria – in particolare, proprio dal governo tedesco – in relazione al fatto che la costituzione di una SE mediante trasformazione comportasse il rischio di una riduzione del livello di coinvolgimento dei lavoratori della società da trasformare.

Bibliografia

FIORIO: Lo statuto della società europea: la struttura della società ed il coinvolgimento dei lavoratori, in Giur. it. 2003, 1020;

BIANCA: la società europea: considerazioni introduttive, in contratto e impresa/ Europa 2002, 453;

CATERINO: il regolamento sulla società europea e la connessa direttiva sul coinvolgimento dei lavoratori, in Giur. comm. 2002, 479.