Con riferimento ai contenuti del Codice, i primi problemi interpretativi sono sorti, come emerso sin dai primi commenti, dai “Principi generali”, cui il testo dedica, in apertura, ben undici articoli (l'art. 12 opera un rinvio esterno, per quanto attiene alle procedure di affidamento, alla legge generale sull'azione amministrativa e, per quanto attiene alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione, al Codice civile) (3).
I principi enunciati nei primi tre articoli assumono una valenza particolare, in quanto l'art. 4 li individua espressamente come “criterio interpretativo e applicativo” delle disposizioni codicistiche.
Come evidenziato anche dai comunicati stampa, i primi due articoli introducono i -discussi-principi del “risultato” (art. 1) e della “fiducia” (art. 2).
Il primo dispone che le “stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell'affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo […]”. Il riferimento alla “massima tempestività” e la valorizzazione, da varie parti, del rilievo prioritario che esso darebbe all'esigenza del “fare”, anche rispetto a quella del “fare bene” e di seguire le regole per la migliore selezione, hanno destato giuste preoccupazioni in chi, come Aldo Travi, come chi via parla e come, fortunatamente, diversi altri studiosi, ritiene che la rapidità del processo decisionale possa essere solo un valore aggiunto rispetto alla sua qualità. Per evitare distorte chiavi di lettura della disposizione (che vedano invece il valore preminente nella rapidità dell'affidamento, a discapito della validità della scelta) merita però richiamare l'attenzione sull'espresso richiamo operato dall'art. 1, sia alla “qualità” che al rispetto dei principi di “legalità, trasparenza e concorrenza”, che opportunamente ne chiude il primo comma (anche se la concorrenza è dichiarata poi funzionale a conseguire il miglior risultato possibile), e alla finalizzazione del principio del risultato “all'interesse della comunità e al raggiungimento degli obiettivi dell'UE”. Tali -necessari- temperamenti al criterio della rapidità sono invero parte integrante del “principio del risultato” e devono essere tenuti ben presenti anche nella lettura del quarto comma dello stesso art. 1, che stabilisce che detto principio costituisce “criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto, nonché per: a) valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti; b) attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva”.
In uno Stato di diritto, la certezza e la prevedibilità delle regole è invero un principio e un canone ermeneutico irrinunciabile, che non può essere sacrificato in nome della rapidità ad ogni costo dell'affidamento e dell'esecuzione di prestazioni che, deviando dal rispetto delle regole, non assicurino la qualità soggettiva del contraente e quella contenutistica dell'offerta e, per l'effetto, quella della prestazione.
Si apprezza, in quest'ottica, la precisazione, nella Relazione, che “Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l'interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche”.
Le considerazioni di Aldo Travi sull'amministrazione come servizio al cittadino e l'esperienza negativa di affidamenti rapidi, ma inefficienti -come i gravissimi e notissimi casi della manutenzione del ponte Morandi di Genova e della fornitura delle mascherine anti-covid19- dimostrano come il principio della rapidità del risultato, che -si ribadisce- non identifica il “principio del risultato” nella sua necessaria integralità, non possa essere strumentalmente invocato come chiave di deroga all'osservanza di quelli che la Costituzione e le fonti europee chiedono (e impongono) all'amministrazione di rispettare per il legittimo espletamento del ruolo cui è destinata.
Preoccupa, tuttavia, l'osservazione, in un successivo passaggio della Relazione illustrativa del Codice, che “Il risultato si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l'obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell'interesse della collettività”, come se il raggiungimento di tale obiettivo potesse prevalere su quel contesto. E preoccupa del pari l'affermazione che il comma 4 dell'art. 1, “in coerenza con il principio della fiducia declinato nell'art. 2, valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare)”e che nell'ottica di ridurre la burocrazia difensiva “si “premia” il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità del funzionario pubblico”. Non è chiaro, infatti, quale “risultato” si premi e non convince che possa essere quello dell'affidamento a qualsiasi costo.
Ne sono, del resto, conferma, le precisazioni, nella stessa Relazione, con riferimento all'art. 3, dedicato al “principio dell'accesso al mercato”, che tale principio “rappresenta a sua volta un risultato che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono perseguire attraverso la funzionalizzazione dei principi più generali” di correttezza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità dell'azione amministrativa e, ancora, che “l'imparzialità e la non discriminazione, che per la loro stretta complementarità sono richiamate “in coppia”, quasi come si trattasse di un'endiadi, hanno un diretto fondamento nell'art. 97 Cost. e nei principi europei in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione e rappresentano principi che, calati nella fase di affidamento dei contratti pubblici, impongono alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di assicurare la parità di trattamento fra gli operatori economici, contribuendo anch'essi al conseguimento del miglior risultato possibile nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti pubblici”.
Neppure l'urgenza di utilizzare i fondi PNRR può, invero, giustificare la “rinuncia” al rispetto di tali principi e, con esso, alla qualità, come una distorta valorizzazione della mera accelerazione e semplificazione della procedura rischia fortemente di determinare. Mi piace ancora una volta richiamare, condividendole, le parole usate da Aldo Travi quando, a conclusione di alcune considerazioni a proposito della scelta del sistema di aggiudicazione (tra massimo ribasso e offerta economicamente più vantaggiosa), osserva che esse “evidenziano come la procedura più semplice e più facile per le amministrazioni non sia anche idonea a garantire un risultato accettabile. Anzi tendenzialmente emerge una contraddizione fra le semplicità della procedura e la bontà della prestazione” (p. 121).
Ma qual è, allora, la soluzione? Di nuovo, la qualità. Questa volta, quella dell'organizzazione amministrativa, che deve avere le competenze tecniche per proporre, regolare, scegliere, verificare, vigilare. Si legge così a p. 134 del volume che “solo un'amministrazione tecnicamente preparata è in grado di gestire in modo efficiente l'attività contrattuale; ciò significa, fra l'altro, che dato che l'attività contrattuale rappresenta una necessità primaria per l'amministrazione, solo un'amministrazione tecnicamente preparata è in grado di svolgere adeguatamente la sua missione”. Da cui la ritenuta “urgenza di potenziare le componenti tecniche delle amministrazioni, superando la concezione ancora diffusa che preferisce le esternalizzazioni e che traduce le problematiche contrattuali con ragioni di ordine principalmente legale”, mentre “è necessario il recupero di uno spazio di professionalità tecniche all'interno dell'amministrazione”: un obiettivo ambizioso, che Aldo Travi ritiene però possibile, invocando gli esempi fruttuosi dell'implemento degli apparati contabili di alcuni comuni. Non è evidentemente realistico pensare di riuscirvi nei tempi ristretti dell'attuazione del PNRR. Ma bisogna iniziare a farlo. E proprio i fondi del PNRR e l'accento che esso correttamente pone sulla formazione impongono di farlo. Così come occorre accelerare la digitalizzazione dell'Amministrazione: ho seguito due vicende contro Roma Capitale che non è stata in grado di reperire nei suoi archivi notizie sulla proprietà di alcuni immobili….e in una di queste vicende la procedura di ripristino di un cavalca-ferrovia in piena città è stata bloccata oltre un anno per questo motivo… perché senza istanza della proprietà la Soprintendenza non effettuava la verifica dell'interesse culturale che poi (quando Regione e RC hanno deciso di considerare la proprietà al 50%) ha avuto esito negativo. Il che conferma la fondatezza delle critiche mosse da Aldo Travi allo svolgimento sequenziale invece che contestuale delle fasi sub procedimentali. Il tema ci porta a un profilo importante del Codice dei contratti, su cui però tornerò tra un attimo.
Mi sembra infatti importante richiamare prima l'attenzione sull'art. 2, che afferma il principio generale della reciproca fiducia “nell'azione legittima, trasparente e corretta dell'amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”. Come risulta dai comunicati stampa e dai primi commenti, il principio sembra però essenzialmente mirare alla tutela dei funzionari pubblici, delimitandone la responsabilità, al fine di contrastare la c.d. “paura della firma”. Si legge infatti significativamente nella Relazione che “il nuovo codice vuole dare, sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che – fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità – miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici, introducendo una “rete di protezione” rispetto all'alto rischio che accompagna il loro operato”.
Si ricorda tuttavia che l'art. 21 del decreto semplificazioni 2020 (d.l. 76/2020, convertito nella l. 120 e operante a oggi fino al 30 giugno 2023, ma verosimilmente a oltranza) ha limitato in via generale la responsabilità erariale per gli atti dei funzionari pubblici ai casi di dolo, circoscrivendo quella per colpa grave ai casi di condotte omissive; e si segnala che lo stesso Schema di Codice, a proposito del superamento dei termini della procedura di affidamento e della mancata o tardiva stipula del contratto, dispone semplicemente che la condotta “costituisce silenzio inadempimento e rileva anche al fine della verifica del rispetto del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso” (artt. 17 e 18). Scompare quindi il riferimento contenuto nell'art. 32 del Codice 2016 alla responsabilità erariale e disciplinare. Gli unici riferimenti nel nuovo testo alla responsabilità del soggetto agente per danno erariale sono infatti contenuti nell'art. 215 dello Schema, a proposito dell'inosservanza dei pareri e delle determinazioni del Collegio consultivo tecnico. E nessuna disposizione dell'articolato fa riferimento alla responsabilità disciplinare.
La prospettiva accolta dallo Schema -e, come visto, dichiarata nella Relazione- è del resto espressamente nel senso di implementare e rafforzare i poteri valutativi e la discrezionalità degli enti aggiudicatori, in linea con la logica del risultato, “consistente nel realizzare un'opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività”, e implicante “il superamento di ogni forma di inerzia e l'esercizio effettivo della discrezionalità di cui la P.A.”; e in linea anche con la delimitazione dell'abuso d'ufficio, apprezzata dalla stessa Relazione come “il definitivo superamento di quell'orientamento giurisprudenziale che, attraverso la valorizzazione dei principi generali di buon andamento e imparzialità, aveva in passato ricondotto nel campo di applicazione dell'abuso d'ufficio anche l'eccesso di potere, con conseguente sindacato da parte del giudice penale delle scelte discrezionali del pubblico ufficiale”.
In quest'ottica, la Relazione rimarca la perimetrazione dell'ambito della colpa grave operata dall'art. 2 e coincidente con “la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l'omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell'attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell'agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto”; mentre “non costituisce colpa grave la violazione o l'omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”.
Il problema sarà il contenuto che si vorrà dare all'aggettivo palese. Si lascia quindi, in buona sostanza, alla giurisprudenza il temperamento tra la celerità che porterebbe a ridurre le “cautele, verifiche ed informazioni preventive” e la violazione delle regole di “prudenza, perizia e diligenza” che richiederebbero una attività istruttoria più complessa.
La consapevolezza dell'oggettiva difficoltà di trovare il giusto punto di equilibrio tra rapidità da un lato e correttezza e qualità dall'altro emerge dal comma 4 dell'art. 2, laddove dispone che “Per promuovere la fiducia nell'azione legittima, trasparente e corretta dell'amministrazione, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, nonché per riqualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti, compresi i piani di formazione di cui all'articolo 15, comma 7”. Il riferimento alla copertura assicurativa allontana il testo dalla cura dell'interesse pubblico, mentre sono sicuramente apprezzabili, anche alla luce di quanto osservato da Aldo Travi, le previsioni finalizzate all'implemento delle competenze professionali degli enti aggiudicatori.