Il possibile conflitto negli accordi di ristrutturazione tra termine concesso a seguito di domanda con riserva e termine per aderire alla proposta di transazione fiscale

Filippo Lamanna
14 Febbraio 2023

Un problema che si sta già ponendo nella pratica riguarda il possibile conflitto che può sussistere tra il termine che il tribunale può concedere al debitore a seguito della presentazione di una domanda con riserva finalizzata a depositare successivamente una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione ed il termine entro il quale il Fisco e/o gli Enti previdenziali possono aderire alla proposta di transazione fiscale-contributiva. Può il debitore depositare la domanda di omologa degli accordi ancor prima che sia interamente decorso tale secondo termine?

Un problema che si sta già ponendo nella pratica, suscitando opinioni discordanti, riguarda il possibile conflitto che può sussistere tra il termine che il tribunale è chiamato a concedere al debitore a seguito della presentazione di una domanda con riserva di deposito di documentazione finalizzata a proporre successivamente una domanda di omologa di accordi di ristrutturazione ex art. 44 del Codice della crisi ed il termine entro il quale il Fisco e/o gli Enti previdenziali possono aderire alla proposta di transazione fiscale-contributiva.

La questione si pone, in particolare, quando il termine in concreto concesso dal tribunale, che può andare da un minimo di 30 ad un massimo di 60 giorni, non sia prorogabile a causa della pendenza di un'istanza di apertura della liquidazione giudiziale.

Il Fisco e/o gli Enti previdenziali possono infatti aderire alla proposta di transazione fiscale-contributiva, che il debitore abbia proposto o intenda proporre fruendo del tempo concesso dal tribunale a seguito della domanda con riserva, entro il termine di 90 giorni dal deposito della proposta di transazione (art. 63, comma 1, ultimo periodo).

Può quindi verificarsi il caso, anche qualora il tribunale, accogliendo la domanda con riserva, conceda il termine massimo di 60 gg. (non soggetto, però, a proroga), che il debitore, se non abbia provveduto già anteriormente e tempestivamente al deposito della proposta transattiva, debba depositare la documentazione completa relativa agli accordi formulando la domanda definitiva di omologa degli stessi quando ancora il Fisco e/o gli Enti previdenziali non si siano espressi sulla proposta transattiva, dunque senza sapere se questi abbiano prestato la propria adesione o invece l'abbiano rifiutata o siano rimasti semplicemente silenti (comportamento inerte, quest'ultimo, equivalente ad un diniego).

Tale critica situazione potrebbe essere superata, almeno effettualmente – sempre che si reputasse ammissibile una domanda di omologa presentata anche in assenza di un previo accordo transattivo con il Fisco e/o con gli Enti previdenziali o prima dell'intero decorso del termine in cui questi possono esprimersi -, se il termine di 90 giorni concesso a costoro per pronunciarsi cadesse entro il periodo di tempo entro il quale il tribunale, ove fosse proposta opposizione dai creditori (entro 30 giorni dall'iscrizione della domanda di omologa), vada a fissare l'udienza in camera di consiglio per la comparizione delle parti e del commissario giudiziale.

Sembra cospirare però, contro tale possibilità, e comunque contro l'opinione interpretativa più liberale, il tenore letterale e logico di due delle norme che, nel Codice, disciplinano la transazione fiscale-contributiva.

l'art. 63, comma 1, in particolare, colloca formalmente la proposta di transazione fiscale nel quadro e nel periodo di tempo delle “trattative” che precedono la domanda di omologa degli accordi di ristrutturazione (“Nell'ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione di cui agli articoli 57, 60 e 61 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi …”), sì che tale collocazione temporale dovrebbe considerarsi come quella “normale”.

Per di più l'art. 57 del Codice sembra a sua volta presupporre addirittura che già al momento in cui viene presentata la domanda di omologa degli accordi questi ultimi si siano (tutti) già perfezionati, poiché la suddetta norma stabilisce che “sono soggetti ad omologazione” gli “accordi di ristrutturazione dei debiti … conclusi dall'imprenditore … con i creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dei crediti”, laddove appunto il riferimento agli accordi “conclusi” sembra implicare che essi siano stati tutti già perfezionati al momento di presentazione della domanda di omologa.

Perfezionamento, però, non necessariamente esigibile per la proposta di transazione fiscale/contributiva, visto che, come ben si sa, ove la risposta del Fisco e/o degli Enti sia negativa, il debitore può chiedere che, ai fini dell'omologa, il tribunale svolga un (positivo) giudizio di cram-down ai sensi dell'art. 63, comma 2-bis, del Codice.

Alla luce di tale chance, quindi, sembra ragionevole ritenere che il riferimento ad accordi già “conclusi” implichi in tale specifico caso (della transazione fiscale/contributiva) quanto meno che, prima del deposito degli accordi, se la transazione fiscale non sia stata ancora conclusa, almeno si sia perfezionata la fattispecie idonea a consentire il giudizio di cram down, ossia che sia decorso per intero il termine entro il quale il Fisco e/o gli Enti hanno l'onere di pronunciarsi in merito alla proposta transattiva.

Il tenore letterale e logico delle norme summenzionate, in conclusione, sembrerebbe implicare verosimilmente l'inammissibilità di una domanda di omologa presentata prima ancora che il Fisco e/o gli Enti previdenziali abbiano potuto esprimersi sulla proposta transattiva (si tenga conto d'altra parte che, in sede di presentazione della domanda di omologa degli accordi, proprio in quanto al debitore è concessa, in caso di risposta negativa del Fisco e/o degli Enti, la chance di chiedere al tribunale un provvedimento di sostituzione coatta del consenso mancato in forza dell'art. 63, comma 2-bis, egli non è tenuto ad assicurare al Fisco e/o agli Enti il medesimo trattamento che dev'essere riservato ai creditori estranei ex art. 57, comma 3, e in particolare, nella specie, con riferimento alla lett. a) relativa ai crediti già scaduti).

In mancanza di tale proposizione tempestiva dovrebbe quindi derivarne la conseguente conclusione (coerente, del resto, anche con le finalità codicistiche della tempestiva e, se possibile, finanche precoce reazione del debitore alle situazioni di crisi e della progressiva eliminazione delle prassi e dei comportamenti attendisti rivolti a posticipare tale reazione alla proposizione di istanze per l'apertura della liquidazione giudiziale) che il debitore non possa chiedere l'omologazione degli accordi di ristrutturazione, essendo uno di essi (l'accordo con il Fisco e/o con gli Enti previdenziali) radicalmente irrealizzabile a causa del difetto di un requisito essenziale dell'iter procedimentale delineato in modo legalmente tipico dalle suddette norme (ossia quantomeno la tempestiva formulazione della proposta e la successiva risposta – anche se negativa – del Fisco e/o degli Enti).

Con il corollario – per effetto di tale inammissibilità – anche di una doverosa ed inevitabile declaratoria di apertura della liquidazione giudiziale in pendenza della relativa istanza/richiesta (declaratoria pure tendenzialmente immediata, senza nemmeno la necessità di provvedere dopo il decorso del termine di trenta giorni per le eventuali opposizioni dei creditori ex art. 48, comma 4).