Deve allora ritenersi, a questo punto, che, non volendosi o non potendosi attribuire, per le ragioni anzidette, il carattere di norma di “ordine pubblico” al divieto delle pratiche di “maternità surrogata”, venga meno, per ciò solo, la possibilità di considerare contraria all' “ordine pubblico” la trascrizione in Italia dell'atto di nascita nel quale, trattandosi di un soggetto venuto al mondo grazie alle suddette pratiche, compaia, accanto al genitore “biologico”, quello “intenzionale”?
La risposta a tale interrogativo richiede che si facciano alcune considerazioni preliminari.
La prima di esse è che la genitorialità propriamente detta (con esclusione, quindi, di quella che, per fictio iuris, deriva dall'adozione) dovrebbe necessariamente richiedere una componente “biologica”, alla quale non può certo equipararsi il mero consenso che uno dei “partners” della coppia presti all'altro perché il “materiale biologico” di quest'ultimo, in un modo o nell'altro, mediante l'intervento, diretto o indiretto, di un terzo soggetto, possa dar luogo al concepimento. A ciò potrebbe, tuttavia, obiettarsi che, invece, nel caso di procreazione assistita eterologa (quale consentita, in determinate condizioni, alla coppia eterosessuale, a seguito delle sentenze della Corte cost. nn. 162/2014 e 96/2015, dichiarative della parziale incostituzionalità degli artt. 4, 9 e 12 della legge n. 40/2004 ), proprio dal mero consenso prestato da uno dei “partners”, coniugati o conviventi, a che l'altro “partner” ricorra alla suddetta pratica, deriva, anche per il primo, ai sensi dell'art. 8 della citata legge, l'automatica attribuzione della qualità di genitore. Si tratta di un'obiezione che ha, indubbiamente, un suo fondamento, pur potendosi osservare che la disciplina normativa da essa evocata appare in irrisolto contrasto con la norma penale (art. 567 c.p.) che prevede come reato l'“alterazione di stato” e che, secondo una risalente, ma mai successivamente abbandonata, interpretazione giurisprudenziale (ved. Cass. VI, n. 4633/1994 e Cass. VI, n. 1064/1990), trova applicazione ogni qual volta, sia pure in conformità con la presunzione civile di paternità, il neonato, in sede di formazione dell'atto di nascita, venga denunciato come figlio di taluno che, in realtà, non lo abbia effettivamente generato. Indirizzo, questo, che non può dirsi contraddetto dalle più recenti pronunce (Cass. V, n. 13525/2016; Cass. VI, n. 48696/2016; Cass. VI, n. 31409/2020) secondo le quali non dà luogo alla configurabilità del reato de quo la mera trascrizione in Italia, su richiesta, dell'atto di nascita estero nel quale, conformemente alla “lex loci”, figurino come genitori del neonato i componenti di una coppia che abbia fatto ricorso alla “maternità surrogata”. Ciò in quanto - si è detto - una tale fattispecie non può dirsi equiparabile a quella di una vera e propria “formazione” dell'atto di nascita, quale richiesta, per la configurabilità del reato, dalla norma incriminatrice.
Occorre quindi passare ad una seconda considerazione: quella, cioè, che, nell'ordinamento italiano, oltre ad essere vietata per tutti (e penalmente sanzionata) la pratica della “maternità surrogata”, è anche precluso, alla coppie omosex, ai sensi dell'art. 5 l. n. 40/2004, il ricorso alla procreazione assistita, come pure, ai sensi dell'art, 1, comma 20, della legge n. 76/2016 sulle c.d. “unioni civili”, il ricorso all'adozione congiunta. Ciò significa che, all'evidenza, il legislatore italiano è, almeno finora, radicalmente contrario ad riconoscimento di una qualsiasi forma di genitorialità congiunta di coppie omosex, ferma restando (come si è visto) la sola possibilità dell'adozione in casi particolari, ai sensi dell'art.44, comma 1, lett. d), della legge n.184/1983, da parte di quello solo dei due “partners” che non sia genitore “biologico”. Indirizzo, questo, che deve ritenersi ispirato non certo da intenti discriminatori nei confronti delle coppie omosex in quanto tali, ma piuttosto dalla preoccupazione di realizzare proprio in questo modo il “miglior interesse” dei minori, per tale legittimamente reputandosi quello ad avere come genitori, biologici o adottivi, ad instar naturae, soggetti di sesso diverso. Ciò in perfetta adesione (pur potendosi dissentire dalla valutazione di merito), al principio della necessaria salvaguardia del “ preminente” o “superiore” interesse del minore , quale affermato in vari atti internazionali, tra cui, in particolare, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (c.d. “Carta di Nizza”, all'art. 24) e la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176 (all'art. 3). Il che trova conforto, del resto, anche in quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale (ved., in particolare, le sentenze nn. Corte cost. 221/2019 e 230/2020), secondo cui non può considerarsi, di per sé, “arbitraria ed irrazionale” l'idea che «una famiglia ad instar naturae – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il “luogo” più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato».
Ed è, allora, con specifico riguardo al suddetto indirizzo del legislatore italiano che ci si può chiedere se esso possa essere considerato, almeno allo stato, come espressivo di un principio di “ordine pubblico” c.d. “internazionale”, tale da precludere la trascrivibilità in Italia di tutti gli atti di nascita nei quali figurino indistintamente come genitori del neonato due soggetti dello stesso sesso, a prescindere dalla circostanza che uno di essi sia, o meno, soltanto “intenzionale” e non “biologico”. La risposta potrebbe essere positiva a condizione che, pur mantenendosi ferma, in linea di massima, la nozione di “ordine pubblico internazionale” adottata dalla più recente giurisprudenza (quale illustrata al paragrafo che precede), si faccia salva – come appare ragionevole – l'ipotesi che essa possa comprendere anche il caso di norme che, pur esprimendo una scelta discrezionale del legislatore nell'attuazione di principi presenti nella Costituzione (anche per il tramite dell'art. 117, quando si tratti di convenzioni internazionali), siano non soltanto diverse ma diametralmente ed irrimediabilmente opposte a quelle straniere alle quali si vorrebbero attribuire effetti nell'ordinamento interno. E tale condizione è appunto quella che ben potrebbe ravvisarsi nella materia in discorso, atteso che il riconoscimento della genitorialità “intenzionale”, accanto a quella “biologica”, nel caso di coppie omosex, si porrebbe in diretto contrasto con la norma italiana che esclude in radice, come si è visto, l'ammissibilità della genitorialità congiunta di soggetti che non siano di sesso diverso, ritenendola contraria (opinabilmente ma non certo irragionevolmente) al “superiore interesse” del minore; ciò a differenza di quanto si verifica con riguardo al divieto della “maternità surrogata”, la cui ostatività al riconoscimento della “genitorialità intenzionale” viene giustificata (come pure si è visto) soltanto con la ritenuta esigenza di evitare quello che altrimenti costituirebbe un indiretto incentivo alla sua elusione.