Accertamento del danno da mancato guadagno: efficacia probatoria del PVC
15 Febbraio 2023
Massima
Il processo verbale di constatazione, redatto dagli agenti della Guardia di Finanza nell'ambito di un accertamento fiscale, ha efficacia di piena prova soltanto con riferimento alle operazioni compiute dagli operanti o ai fatti avvenuti in loro presenza, rimanendo liberamente valutabile ogni altra circostanza di cui gli stessi abbiano avuto conoscenza attraverso l'esame della documentazione contabile della società sottoposta a verifica.
L'accertamento fiscale che ne deriva, pertanto, poggiando su elementi presuntivi, non è opponibile alla Compagnia di assicurazione rimasta estranea alla verifica e, in assenza della produzione in giudizio delle dichiarazioni fiscali e/o di altra documentazione contabile attestante i ricavi del danneggiato, non può costituire prova del reddito da porre alla base del calcolo del danno patrimoniale da mancato guadagno.
Il caso
Tizio, avendo riportato gravi lesioni a seguito di un sinistro stradale, conveniva in giudizio il responsabile civile e la di lui compagnia d'assicurazione per la RCA al fine di ottenere il risarcimento del danno subito.
Incontestata la responsabilità nella causazione dell'incidente e la quantificazione del danno non patrimoniale, permaneva contrasto sull'esistenza e sulla prova del danno patrimoniale da mancato guadagno subito dall'attore.
Tale voce di danno veniva quantificata dal danneggiato capitalizzando, per un numero di anni pari alla sua presumibile vita residua, un reddito annuale da lavoro autonomo risultante – non già dalle dichiarazioni fiscali ex art. 137 cod ass. priv. o da analitica documentazione contabile (in atti non prodotta) - bensì̀ da un atto di accertamento dell'Agenzia delle Entrate posto in essere a carico della società̀ di persone di cui il medesimo, all'epoca dei fatti, risultava socio all'80%.
Il Tribunale di Milano, ritenendo di poter attribuire a tale atto di accertamento una valenza probatoria equivalente a quella delle dichiarazioni fiscali, accoglieva integralmente la domanda risarcitoria.
La Corte d'appello, investita del gravame proposto dalla Compagnia d'assicurazioni, riformava la sentenza ritenendo che la prova dell'esistenza del reddito non potesse fondarsi sulle risultanze di un accertamento fiscale che, effettuato con metodo presuntivo induttivo, non poteva assumere alcuna valenza – neppure presuntiva – dal punto di vista civilistico. Tizio ricorre quindi per Cassazione lamentando che la Corte d'Appello avrebbe errato nel non attribuire al Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza valore di prova legale ai fini della produzione del reddito da porre alla base del calcolo del danno da mancato guadagno dal medesimo patito. La questione
Le risultanze del processo verbale di costatazione e il conseguente atto di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate a seguito di verifica fiscale possono costituire prova legale o privilegiata del reddito percepito dal soggetto danneggiato ai fini della determinazione del danno patrimoniale da mancato guadagno in maniera sostanzialmente analoga a quanto previsto per le dichiarazioni fiscali dall'art. 137 cod. ass. priv.?
Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento fornisce una riposta negativa alla questione prospettata facendo coerente applicazione di principi giuridici ormai consolidati in tema di valutazione della prova.
In primo luogo, viene richiamato l'insegnamento secondo il quale un atto avente efficacia di pubblica fede assume valore probatorio soltanto 1) in funzione dei fatti da esso attestati come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, 2) quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale che lo ha redatto ed alle dichiarazioni a lui rese.
Alcuna efficacia probatoria privilegiata può invece essere attribuita al contenuto delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale da terzi ovvero in relazione ai fatti che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche.
Declinando tali principi al processo verbale di costatazione risulta pertanto evidente che, se, da un lato, devono ritenersi non contestabili (se non con querela di falso) la provenienza del documento da parte degli agenti operanti e tutte le operazioni eseguite dai medesimi (così come il tenore delle dichiarazioni rese dai soggetti intervistati), dall'altro, le conseguenze in termini di imputazione di un maggior reddito a carico del soggetto verificato non hanno alcuna valenza di prova legale o comunque privilegiata.
Quanto sopra, poiché tale imputazione viene effettuata secondo un criterio presuntivo che, previsto specificatamente dalla normativa tributaria, alcuna valenza può avere in un ambito civilistico.
Nel caso in esame, ad esempio, il ricavo imputato al soggetto verificato è stato ottenuto semplicemente maggiorando del 5 % il costo sostenuto per l'acquisto del bene: ciò in assenza di prova circa l'effettivo prezzo di rivendita ma semplicemente ricavando tale dato dalla percentuale di redditività applicata dall'Agenzia delle Entrate sulla base del settore di riferimento, della zona geografica e del volume d'affari delle società verificate.
In maniera del tutto analoga, l'atto di accertamento dell'Agenzia delle Entrate, imputando al danneggiato un reddito calcolato all'esito di un ragionamento di tipo presuntivo - induttivo, a mente dell'art. 39, comma 2 del d.p.r. 600/1973 (pertanto, utilizzando semplici presunzioni anche non dotate dei requisiti di precisione, gravità e concordanza di cui all'art. 2729 c.c.), non può costituire prova né privilegiata né tantomeno legale dei redditi percepiti dal de cuius sul quale grava l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza e l'entità del reddito asseritamente perduto secondo le regole civilistiche in materia di onere della prova.
Regole che, nel caso in esame, la Suprema Corte torna a richiamare dando continuità all'insegnamento secondo il quale, se il danno patrimoniale futuro derivante da lesioni personali può essere riconosciuto anche sulla base di presunzioni semplici come conseguenza naturale della riduzione della capacità di lavoro, la sua effettiva quantificazione richiede invece la prova di una reale contrazione dopo il sinistro, da accertarsi in concreto sulla base di una ragionevole e fondata previsione che il danno si produrrà essendo preclusa ogni valutazione automatica ed equitativa.
Osservazioni
Impostata in tali termini la questione, appare certamente interessante chiedersi come il danneggiato avrebbe potuto provare il futuro danno patrimoniale da mancato guadagno considerato che, avendo avviato l'attività da meno di due anni e non avendo ottemperato agli obblighi di regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, al momento del sinistro lo stesso poteva disporre soltanto della dichiarazione dei redditi dell'anno precedente (rettificata a seguito dell'accertamento fiscale di cui si è detto).
Sul punto, occorre ricordare che se da un lato è principio unanimemente condiviso quello per cui le risultanze delle denunce dei redditi presentate dalla vittima costituiscono una presunzione iuris tantum superabili dalla prova contraria, in tutti quei casi in cui (come quello di cui si discute) il danneggiato pretenda che il danno venga calcolato sulla base di redditi totalmente o parzialmente occultati all'erario, la giurisprudenza esige che la prova dell'esistenza di redditi non dichiarati sia sottoposta ad un “severo vaglio di attendibilità”.
A parere di chi scrive, pertanto, nel concreto caso in esame, al fine di superare la presunzione attribuibile all'unica dichiarazione fiscale prodotta in giudizio ed esclusa ogni valenza di prova legale o comunque privilegiata delle risultanze del processo verbale di constatazione e dell'accertamento fiscale dell'Agenzia delle Entrate, l'attore aveva l'onere di produrre l'integrale documentazione contabile relativa ai ricavi ed ai costi sostenuti dimostrando, così, il reddito “netto” realmente conseguito, inteso nella definizione fatta propria dalla sentenza in esame come base imponibile ai sensi dell'art. 3 d.p.r. 597/1973.
Oltre a quanto precede il danneggiato avrebbe dovuto altresì dar prova del fatto che, in assenza del sinistro, tale reddito netto sarebbe stato secondo l'id quod plerumque accidit conseguito per tutta la sua restante vita lavorativa.
Prova quest'ultima che - per quanto ardua da fornire per una società di recentissima costituzione che, come tale, non dispone di uno storico da porre alla base della valutazione prognostica - si sarebbe potuto cercare perlomeno di offrire attraverso la produzione di dati statistici attestanti la crescita media delle imprese dello stesso settore di riferimento, area geografica, tipologia e dimensioni.
In assenza di tali produzioni, il reddito da porre alla base del conteggio del danno patrimoniale futuro asseritamente subito dal danneggiato non può ritenersi adeguatamente provato.
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