I contrasti giurisprudenziali sull'accesso alla composizione negoziata per la società in stato di insolvenza o di liquidazione

Simone Spiazzi
14 Febbraio 2023

Gli Autori analizzano l'attuale stato della giurisprudenza in tema di compatibilità dell'accesso alla composizione negoziata della crisi di impresa e delle connesse misure protettive con lo status di insolvenza o di liquidazione dell'imprenditore richiedente. L'interrogativo che si è posto è se anche le imprese decotte, ovvero con scarse possibilità di risanamento, possano o meno ricorrere alla composizione negoziata. La giurisprudenza ha proposto delle soluzioni pratiche a questo quesito, giungendo a conclusioni non sempre conformi.
Il quadro normativo

L'introduzione dell'istituto della composizione negoziata della crisi di impresa, operata con il D.L. n. 118 /2021, convertito con L. n. 147/2021, e attratta all'interno del nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza con il secondo Decreto correttivo (D.Lgs. n. 83/2022), ha portato alla naturale emersione di alcuni problemi interpretativi relativi alle condizioni oggettive di accesso a tale strumento, alternativo rispetto ai tradizionali strumenti messi a disposizione dalla legge fallimentare, da parte delle imprese che versano in stato di insolvenza o di liquidazione volontaria.

L'accesso alla composizione negoziata è permesso all'imprenditore che si venga a trovare “in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza” e quando “risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa” (art. 12, comma 1, CCII). Il Codice definisce la “crisi” come “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi” e l'“insolvenza” come “lo stato del debitore che si manifesta con l'inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni” (art. 2, comma 1, lett. a e b, CCII).

Il Legislatore lega dunque la possibilità di accesso alla composizione negoziata e alle misure protettive alla sussistenza di due condizioni oggettive: lo squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rende probabile la crisi o l'insolvenza e la ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa.



L'accesso alla composizione negoziata della società in stato di insolvenza o liquidazione

L'interrogativo che la dottrina si è posto è se anche le imprese decotte, ovvero con scarse possibilità di risanamento, possano o meno ricorrere alla composizione negoziata. La giurisprudenza ha proposto delle soluzioni pratiche a questo quesito, giungendo a conclusioni non sempre conformi.

L'interpretazione strettamente letterale della norma sembrerebbe condurre ad una chiusura totale nei confronti dell'impresa decotta. Tale interpretazione, particolarmente preclusiva dell'accesso alla composizione negoziata, è stata fatta propria da una parte della giurisprudenza di merito (cfr. ad es. Trib. di Siracusa 14 settembre 2022), secondo cui il sintagma “probabilità d'insolvenza” va inteso nel senso di “rischio di una futura insolvenza” e dunque in chiave prospettica. Pertanto, lo stato di insolvenza precluderebbe l'accesso alla composizione negoziata. Nel senso appena prospettato, secondo questo filone interpretativo, deporrebbe il dettato dell'art. 21, comma 1, CCII, il quale stabilisce che “Quando, nel corso della composizione negoziata, risulta che l'imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso gestisce l'impresa nel prevalente interesse dei creditori”. Secondo tale orientamento, il riferimento allo stato di insolvenza contenuto nella norma riguarderebbe soltanto i casi in cui l'imprenditore risulti insolvente nel corso della composizione negoziata. Parimenti, la ratio dell'istituto sarebbe legata alle esigenze di allerta precoce, che possono essere “appagate solo da una interpretazione dei presupposti di accesso volta a stimolare la tempestiva individuazione della situazione di crisi”.

Altra giurisprudenza di merito ha espresso una conclusione differente (Trib. Bologna 8 novembre 2022), secondo la quale l'istituto non sarebbe applicabile alle sole insolvenze sopravvenute nel corso del percorso di composizione negoziata, giacché apparirebbe incongrua la scelta del legislatore di costruire una norma applicabile alle rare ipotesi in cui l'impresa divenga insolvente nell'arco di tempo dei pochi mesi di durata delle trattative. Le argomentazioni a confutazione dell'orientamento più restrittivo risiedono nel fatto che il legislatore avrebbe voluto imprimere all'istituto una precisa impostazione, favorevole all'accesso delle imprese già in stato di insolvenza alla composizione negoziata, poiché:

  • non è previsto alcun filtro di ammissibilità all'accesso alla procedura di composizione negoziata;
  • la commissione di cui all'art. 13 CCII si deve limitare sempre e comunque alla nomina dell'esperto;
  • le misure protettive si attivano automaticamente nel momento in cui vengono pubblicati nel registro delle imprese la richiesta di attivazione delle stesse e l'atto di accettazione dell'esperto;
  • è prevista dall'art. 12 CCII la sterilizzazione dei poteri attribuiti al Pubblico Ministero dall'art. 38 CCII, la cui iniziativa è pertanto incompatibile con la composizione negoziata;
  • il test di autodiagnosi non richiede la dimostrazione dell'inesistenza di uno stato di insolvenza.

Tale secondo orientamento non dà rilievo primario alla condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario, ma valorizza maggiormente la seconda condizione oggettiva citata nell'art. 12, comma 1 CCII, ossia la ragionevole perseguibilità del risanamento dell'impresa, ponendo l'accento proprio sul fatto che il Codice della crisi evoca in più occasioni il concetto di risanamento (cfr. Trib. Arezzo 16 aprile 2022; Trib. Roma 10 ottobre 2022):

  • l'art. 12, comma 1 CCII ammette l'imprenditore a chiedere la nomina di un esperto indipendente quando “risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa” e stabilisce che compito dell'esperto è quello di agevolare le trattative al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio;
  • l'art. 17, comma 3 lett. b) CCII impone all'istante di depositare “una relazione chiara e sintetica sull'attività in concreto esercitata recante un piano finanziario per i successivi sei mesi e le iniziative che intende adottare”;.
  • l'art. 17, comma 5 CCII prevede che “l'esperto, accettato l'incarico, convoca senza indugio l'imprenditore per valutare l'esistenza di una concreta prospettiva di risanamento”. in caso contrario “l'esperto ne dà notizia all'imprenditore e al segretario generale della camera di commercio che dispone l'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata”;
  • l'art. 19, comma 2, lett. d) ed e) CCII prevede, ai fini della conferma delle misure protettive e cautelari, il deposito di “un progetto di piano di risanamento redatto secondo le indicazioni della lista di controllo di cui all'articolo 13, comma 2 CCII, un piano finanziario per i successivi sei mesi e un prospetto delle iniziative che intende adottare” e “una dichiarazione avente valore di autocertificazione attestante, sulla base di criteri di ragionevolezza e proporzionalità, che l'impresa può essere risanata”.

In questo modo, il piano di risanamento prospettato dall'imprenditore potrebbe in ipotesi prevedere la dismissione dell'intero patrimonio della società, ma a condizione che ad essa si accompagni una “concreta, quand'anche embrionale, ipotesi di risanamento funzionale alla prosecuzione dell'attività d'impresa” (Trib. Bergamo 15 marzo 2022).

La soluzione alla crisi non potrebbe dunque avere “natura meramente liquidatoria” (ed anche su questo tema sono sorti pareri contrastanti in dottrina), anche perché tale tipo di soluzione non è contemplata quale esito possibile della procedura di negoziazione a norma dell'art. 23 CCII, mentre, al contrario, un simile scenario è considerato dall'art. 25-sexies CCII quale esito della procedura di negoziazione nell'opposto caso del fallimento delle trattative tra il debitore ed i suoi creditori, agevolate dall'esperto, tale da condurre all'apertura di un concordato semplificato funzionale alla liquidazione del patrimonio dell'impresa.

Nel caso appena descritto, sottoposto a Tribunale di Bergamo, l'impresa non versava formalmente in stato di liquidazione.

Altre pronunce si sono espresse, invece, su istanze di conferma di misure protettive presentate da società in stato di liquidazione, dando seguito alla tesi espressa nella Sez. III, par. 2.4, del decreto dirigenziale del 28 settembre 2021, ove si afferma che “se l'esperto ravvisa, diversamente dall'imprenditore, anche a seguito dei primi confronti con i creditori, la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata. Occorre però che l'esperto reputi che vi siano concrete prospettive di risanamento che richiedano, per essere ritenute praticabili, l'apertura delle trattative, perché dovranno essere valutate sulla base della effettiva possibilità di accordi con i creditori o di una cessione dell'azienda i cui proventi consentano la sostenibilità del debito…”.

In una di queste pronunce, il Tribunale ha riaffermato che l'obiettivo della composizione negoziata è quello di “offrire alle imprese risanabili una nuova chance, alternativa e diversa rispetto ai tradizionali strumenti messi a disposizione dalla legge fallimentare” e ha ravvisato l'astratta compatibilità tra lo stato di liquidazione e l'accesso alla composizione negoziata (Trib. di Arezzo 16 aprile 2022, cit.).

L'incompatibilità con l'istituto in esame sussisterebbe, invece, nei casi in cui vi sia “un'insolvenza irreversibile e l'assenza di una concreta prospettiva di risanamento, inteso come riequilibrio finanziario e patrimoniale che consenta all'impresa di restare sul mercato, se del caso previa revoca dello stato di liquidazione”.

Allo stesso modo, è stato ritenuto fondamentale, al fine di permettere alla società in stato di liquidazione l‘accesso alla procedura di composizione negoziata, la “sussistenza attuale dei presupposti per la revoca della causa di scioglimento e dello stato di liquidazione” e, in definitiva, della ripresa della continuità aziendale (Trib. Ferrara 21 marzo 2022).

Nei due casi appena descritti si appalesava la finalità meramente liquidatoria perseguita dalle società debitrici ricorse alla composizione negoziata e la mancanza della prospettazione di una seria e ragionevole possibilità di risanamento. Motivo per cui i giudici hanno ritenuto insussistenti le condizioni per l'accesso alla composizione negoziata e, quindi, hanno revocato le misure protettive e cautelari richieste.

La ragionevole possibilità di risanamento non sempre passa univocamente dalla asettica analisi delle risultanze del test pratico prescritto dall'art. 13 CCII, ma deve tenere criticamente conto anche di altri elementi, come la ragionevolezza del piano industriale, lo stato delle trattative con i creditori e la preferibilità dell'accesso alla composizione negoziata rispetto ad alternative liquidatorie.

Gli ultimi due elementi appena richiamati sono stati particolarmente valorizzati dal recente provvedimento del Tribunale di Bologna citato in precedenza (Trib. Bologna 8 novembre 2022), il quale ha esteso ulteriormente la facoltà di accesso dell'impresa alla composizione negoziata e alle connesse misure protettive. I giudici, nel caso di specie, hanno confermato le misure protettive a favore di una società in stato di insolvenza “pur ritenendo il raggiungimento del risanamento di impervia realizzazione”, e ciò per due ordini di ragioni. In primo luogo, l'avanzato stato delle trattative con i creditori, sussistente nel caso in esame, è stato considerato elemento imprescindibile della valutazione sulla ragionevole possibilità di risanamento. In secondo luogo, la conferma delle misure protettive è stata ritenuta preferibile ad alternative liquidatorie incapaci di soddisfare, se non in minima parte, le aspettative dei creditori.



In conclusione

Alla luce dell'orientamento interpretativo più estensivo , secondo il quale l'attenzione del Giudice dovrebbe rivolgersi non tanto alla verifica dello stato di insolvenza o di liquidazione, quanto alle possibilità di risanamento dell'impresa, la valutazione circa tale possibilità avrà esito negativo se la natura del piano proposto dall'imprenditore non permette la continuità diretta dell'impresa, così anche nei casi in cui lo stato di insolvenza o di liquidazione sia da ritenersi irreversibile.

Elementi ulteriori che rientrano nella valutazione sono lo stato di avanzamento delle trattative e la preferibilità degli strumenti offerti dall'istituto sotto forma di concessione di misure protettive rispetto a piani di natura sostanzialmente liquidatoria che non permettono di soddisfare i diritti dei creditori dell'impresa.

Secondo i dati raccolti da Unioncamere, sono state finora presentante non molte istanze di composizione negoziata della crisi. Ma è interessante la motivazione di chiusura delle istanze (86 in totale): l'assenza di prospettive di risanamento. Infatti, 43 casi su 86 vengono chiusi per manifesta irreversibilità della situazione di crisi. Questo dato, se accostato a quello relativo ai casi di chiusura per esito favorevole (solamente 3), ci suggerisce l'attuale stato “fisico” della composizione negoziata.



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