La Giudice del Tribunale di Parma accoglie la domanda principale del ricorso ritenendo che sia discriminatorio il licenziamento ordinando, quindi, la reintegrazione della lavoratrice. Nel comporto, infatti, parte datoriale ha incluso le assenze per malattia della ricorrente riconducibili alle patologie che giustificano il suo stato di invalidità. Tale nesso tra le assenze computate nel periodo di comporto e disabilità è stato accertato dalla CTU disposta durante il giudizio.
La Giudice ritiene che applicare indistintamente la disciplina del comporto a tutti i lavoratori e senza particolari accorgimenti nei confronti dei soggetti disabili , costituisca una forma di discriminazione indiretta. Nella motivazione parte dal presupposto che, in attuazione della direttiva 2000/78/CE, l'art. 2 del d.lgs. n. 216/ 2003 preveda due forme di discriminazione: quella diretta e quella indiretta.
L'art. 2 lett. a) del d.lgs. 216/2003 precisa che la discriminazione diretta si ravvisa qualora per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o orientamento sessuale, una persona sia trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga.
Nella successiva lett. b) è stabilito che per discriminazione indiretta si intende una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri, ma possono mettere le persone che professano una determinata religione o convincimento personale, le persone portatrici di handicap le e persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto alle altre.
La Giudice ritiene che il caso di specie rientri nella seconda ipotesi, cioè di discriminazione indiretta poiché un lavoratore disabile è esposto al rischio ulteriore di assenze dovute a malattie causate dalla sua disabilità. Ne consegue che per cause ad esso non imputabili, il lavoratore disabile è sottoposto ad un maggiore rischio di accumulare giorni di assenza per malattia e, quindi, di superare il cd periodo di comporto (cfr. Corte di Giustizia UE 18 gennaio 2018, causa C-270/16; Corte App. Roma, sez. lav. sent. 26 maggio 2021, n. 2194; Trib. Palermo, sez. lav. sent. 01 aprile 2022, n. 1078).
Sulla base di tale presupposto costituisce discriminazione indiretta la mancata sottrazione dal calcolo del comporto dei giorni di malattia ascrivibili all'handicap del lavoratore con conseguente nullità del licenziamento impugnato (cfr. ex plurmis, Cass. 25 luglio 2019, n. 20204; Corte App. Genova, sez. lav., 21 luglio 2021, n. 211; Trib. Mantova, sez. lav. 22 settembre 2021, n. 126).
Una norma apparentemente neutra come quella che disciplina ll cd periodo di comporto può, come viene rilevato nella sentenza, comportare una violazione del principio di parità di trattamento stabilito dall'art. 3 Cost. La suddetta ipotesi si verifica quando una disposizione considera in maniera uniforme situazioni invero eterogenee. Un caso è appunto applicare le medesime condizioni in relazione all'istituto del periodo di comporto ad un lavoratore non invalido e ad uno affetto, invece, da disabilità.
Nelle motivazioni della sentenza la Giudice evidenzia come le assenze del disabile non debbano essere aprioristicamente escluse dal calcolo del comporto. Richiamandosi alla sentenza del Tribunale di Lodi, pronunciata il 12 settembre 2022 n. 19, rammenta come malattia e disabilità siano concetti differenti.
La prima costituisce una difficoltà funzionale del lavoratore, di carattere permanente, o quanto meno di lunga durata, che pregiudica o rende più difficile lo svolgimento di un'attività lavorativa. Per tale ipotesi il Legislatore prevede che il datore di lavoro debba adottare accorgimenti al fine di agevolare il disabile nell'esecuzione della prestazione.
La malattia, invece, è uno stato morboso temporaneo che impedisce completamente lo svolgimento dell'attività lavorativa per un determinato periodo di tempo.
Puntualmente la Giudice rileva come vi possano anche essere lavoratori affetti da disabilità gravi, come ad esempio coloro che sono affetti da cecità, che tuttavia non sono sottoposti ad un rischio di maggiori assenze per malattia rispetto ad un lavoratore normodotato.