Appunti sul procedimento unitario nelle procedure di sovraindebitamento

16 Febbraio 2023

L'articolo si sofferma sul procedimento unitario per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, disciplinato dall'art. 7 CCII, in punto di sua compatibilità con le procedure “minori” di sovraindebitamento. Con riferimento a tali procedure, l'Autore ritiene che, l'ambizioso obiettivo perseguito dal legislatore di concepire una disciplina procedurale universale, risulta ridimensionato, palesando i limiti che lo stesso procedimento unitario incontra al rapporto con il complesso della disciplina codicistica.
Premessa

Com'è noto, una delle novità che il Codice della Crisi e dell'insolvenza era chiamato ad introdurre rispetto all'impianto della Legge Fallimentare era costituita dal c.d. procedimento unitario, quale unico modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, per mutuare il dettato di cui all'art. 2 Legge Delega 155/2017.

Scopo di queste note non è quello di verificare se il traguardo che si prefiggeva il Legislatore della L. 155/2017 sia stato raggiunto o se - come pare, e come sembra percepito dalla maggior parte dei primi commentatori (v. par. Guida all'approfondimento) - i risultati raggiunti – nonostante i più recenti interventi correttivi operati con il D. Lgs. 83/2022, che sicuramente mirava a scolpire in modo più profondo il carattere di unitarietà del procedimento – siano largamente inferiori alle aspettative.

Ci si propone, invece, di “testare” il procedimento unitario, o meglio la sua disciplina, con specifico riferimento alle procedure di sovraindebitamento, per verificare se ed in che termini la disciplina generale del procedimento unitario sia stata declinata in modo coerente con riguardo a quei procedimenti che, sul piano statistico, potrebbero raggiungere traguardi numerici – e rilievo di sistema – anche superiori rispetto alle procedure c.d. “maggiori”.



La discplina prevista dall'art. 7 del Codice della crisi d'impresa

L'art. 7 C.C.I. – collocato nella Sezione III del Capo II, Titolo I, rubricata eloquentemente “principi di carattere processuale – enuncia le regole generali di “trattazione unitaria delle domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alle procedure di insolvenza”, evidente riferimento all'ipotesi in cui nei confronti del medesimo debitore risulti formulata più di una domanda di attivazione di uno strumento di regolazione.

La previsione, al proprio comma 1, stabilisce in primo luogo due regole fondamentali:

  1. le varie domande di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alle procedure di insolvenza debbono essere trattate “in un unico procedimento”;
  2. (pertanto) ogni domanda “sopravvenuta” va riunita a quella già pendente ed il procedimento “si svolge nelle forme degli articoli 40 e 41”.

Il successivo comma 2 detta l'ulteriore regola fondamentale per cui, in presenza contemporanea di una domanda di apertura della liquidazione giudiziale o della liquidazione controllata e di una domanda diretta a regolare la crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione -giudiziale o controllata che sia - il tribunale è tenuto a esaminare in via prioritaria quest'ultima.

Riflesso di tale regola è il disposto di cui al comma 3, il quale stabilisce che, ferme le ipotesi di conversione di cui agli articoli 73 e 83, il tribunale può procedere alla declaratoria dell'apertura della liquidazione giudiziale (mentre nessun cenno è fatto alla liquidazione controllata), solo in caso di mancato accoglimento o declaratoria di inammissibilità o declaratoria di improcedibilità della domanda diretta a regolare la crisi o l'insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, nonché nei casi previsti dall'articolo 49, comma 2, naturalmente alla duplice condizione che sia accertato lo stato di insolvenza e che vi sia l'istanza di uno dei “soggetti legittimati”.

Nonostante la formulazione non ineccepibile della norma, si può affermare che – come emerge comunque in modo chiaro sia dalla lettera del comma 2 della previsione, ed in particolare dal suo riferimento alla liquidazione controllata, sia dal riferimento, contenuto al comma 3, alle ipotesi di “conversione” di cui agli artt. 73 e 83 CCII – la stessa concerne non solo le procedure che interessano le imprese che superano uno dei parametri di cui all'art. 1, comma 2, lett. d), C.C.I., ma anche le procedure che concernono le “imprese minori” (seguendo la denominazione di cui alla previsione testé richiamata), quale vero e proprio principio generale (“principio processuale”) che dovrebbe operare per la gestione processuale di qualunque strumento di regolazione della crisi o dell'insolvenza contemplato dal codice.

Questa constatazione, tuttavia, si deve misurare con una formulazione complessiva dell'art. 7 CCII che appare evidentemente costruita tenendo presenti soprattutto le procedure maggiori.

In primo luogo, infatti, il riferimento – contenuto al comma 1 – agli articoli 40 e 41 risulta non tenere conto delle peculiarità procedurali delle procedure “minori”, e quindi del fatto che le norme richiamate sono espressamente concepite per le procedure “maggiori” e non appaiono facilmente adattabili alle procedure di sovraindebitamento, le quali comunque godono di una disciplina autonoma, seppure frammentaria e lacunosa, solo con difficoltà integrabile mediante il richiamo operato dall'art. 65, comma 2 CCII. Ne deriva, evidentemente, la difficoltà – se non impossibilità – di procedere de plano alla gestione dei procedimenti di sovraindebitamento “nelle forme degli articoli 40 e 41”.

In secondo luogo, l'art. 7 CCII neppure tiene conto del fatto che i due strumenti di risoluzione della crisi o dell'insolvenza costituiti dalla ristrutturazione dei debiti del consumatore e dal concordato minore sono rimessi alla decisione del Tribunale in composizione monocratica, e non collegiale, con la conseguenza di sollevare concretamente il problema della individuazione dell'organo cui affidare la “trattazione unitaria” nel caso di contemporanea pendenza di una domanda di apertura della liquidazione controllata e di una domanda di omologazione della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore.

Anticipando considerazioni che ci si appresta a sviluppare, va osservato che a tale problema non può rinvenirsi concreta soluzione nella sbrigativa previsione dell'art. 270, comma 1, CCII, il quale si limita a stabilire che il tribunale, in assenza di domande di accesso alle procedure di cui al titolo IV e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269 CCII, dichiara con sentenza l'apertura della liquidazione controllata”, peraltro accogliendo una domanda e seguendo un procedimento che, a ben vedere, non coincidono integralmente con quelli di cui all'art. 40 CCII.

Una parziale soluzione può ravvisarsi nell'art. 271 CCII, ma – come ci si appresta a vedere – tale soluzione appare, si ripete, parziale e non esente da ambiguità, lasciando aperto il tema dell'applicazione dell'art. 7 CCII agli scenari che l'art. 271 CCII disciplina in modo insoddisfacente.

Risulta, tuttavia, evidente che il “principio di carattere processuale” di cui all'art. 7 CCII potrà in ogni caso trovare applicazione della norma alle “imprese minori” solo con inevitabili adattamenti.

In realtà, nonostante, come visto in precedenza, il dato testuale dell'art. 7 sembri prospettarne una propria applicazione universale, l'area di operatività della previsione subisce, nel caso delle procedure di sovraindebitamento, un marcato ridimensionamento, in virtù della presenza dell'art. 271, norma che la Relazione Illustrativa presenta come “variante semplificatoria alla disciplina del procedimento unitario”.

La previsione denuncia ancora una volta i limiti della concezione del procedimento unitario (P. Farina, Il procedimento (tendenzialmente) unitario disegnato dagli artt. 40 ss. c.c.i.: dalla disciplina dei principi processuali alla domanda di apertura, in giustiziacivile.com, 2019, 7), implicitamente riconosciuti dal legislatore, nel momento in cui ha ritenuto di dettare una previsione ad hoc, che, tuttavia, non può ritenersi esaustiva nella definizione dei rapporti processuali tra procedure di sovraindebitamento.



L'art. 271 CCII : alcune considerazioni critiche

I commi 1 e 2, primo periodo, dell'art. 271 CCII, in realtà, ripropongono la regola di trattazione prioritaria di cui all'art. 7 CCII, peraltro con riferimento al solo scenario in cui l'iniziativa del debitore per l'accesso alla ristrutturazione o al concordato minore scaturisca dopo che i creditori o il pubblico ministero abbiano chiesto l'apertura della liquidazione controllata.

Viene subito da rilevare – ancora una volta – che la previsione pare ignorare radicalmente la composizione monocratica del Tribunale quando è chiamato a gestire le procedure della ristrutturazione dei debiti del consumatore e del concordato minore di sovraindebitamento, a differenza della composizione collegiale del Tribunale che valuta l'istanza di apertura della liquidazione controllata. Risultano in tal modo del tutto indeterminate le ricadute di tale profilo anche sulla gestione unitaria del procedimento: non è chiaro, infatti, se, una volta depositata la domanda “piena”, la sua valutazione resti riservata al Tribunale, o se si assista ad un singolare switch – evidentemente incompatibile con un vero procedimento unitario – dall'organo collegiale al giudice monocratico.

In realtà l'art. 271 CCII complica ulteriormente il quadro, in quanto si riferisce costantemente al “giudice” e non al “Tribunale”. Questo riferimento, se nel comma 1 potrebbe essere con un certo sforzo inteso con riguardo ad un giudice istruttore delegato alla trattazione ed istruttoria della domanda, nel caso del comma 2 appare del tutto distonico, perché, inteso letteralmente, verrebbe a prospettare l'apertura di una liquidazione controllata da parte del tribunale in composizione monocratica.

Una interpretazione “ortopedica”, peraltro, vale a risolvere il problema posto dall'infelice formulazione letterale, ma non risolve i problemi connessi alla struttura complessiva della previsione, che sembra ignorare la differenza di composizione dell'organo giurisdizionale nei vari tipi di procedure di sovraindebitamento e può trovare una soluzione unicamente immaginando di ricorrere all'applicazione analogica dell'art. 281-nonies c.p.c., e quindi radicando innanzi al Tribunale in composizione collegiale la decisione sia sulla domanda di liquidazione controllata sia sulla domanda del debitore di ristrutturazione o di concordato minore.

Al di là di tale osservazione, vanno rilevate ulteriori significative peculiarità della previsione.

La prima è costituita dalla concessione da parte del Tribunale di un termine “per l'integrazione della domanda” che costituisce una sorta di ipotesi speciale del termine di cui all'art. 44 CCII, senza tuttavia disciplinare in alcun modo il contenuto della “domanda” del debitore. Domanda che, evidentemente, deve risultare priva dell'insieme di elementi di cui agli artt. 67 e 76 CCII, giacché in questo caso la concessione del termine risulterebbe del tutto pleonastica, ma che non è chiaro quale contenuto minimo debba presentare, potendosi persino immaginare che la domanda sia letteralmente “in bianco”, e cioè caratterizzata dalla sola formulazione della richiesta di accedere alla ristrutturazione o al concordato minore e di conseguire, pertanto, la concessione del termine, la cui durata (e si tratta di altra peculiarità) non è stabilita e risulta quindi rimessa alla valutazione discrezionale del tribunale.

La seconda consiste non tanto nel fatto che in pendenza del suddetto termine il Tribunale non possa pronunciare l'apertura della liquidazione controllata, quanto nel fatto che simile preclusione non è espressamente prevista nella fase successiva alla presentazione della domanda “piena”, e cioè nella fase che dovrebbe condurre all'omologa della ristrutturazione o del concordato minore. Sembrerebbe logica la conclusione per cui anche in questo caso la preclusione sia comunque operante sia per identità di ratio, sia (e con questo si torna alla previsione generale) in virtù dell'operatività della regola generale di cui all'art. 7 CCII.

Si tratta, tuttavia di una conclusione errata, come ci si appresta a vedere immediatamente.

La terza peculiarità, infatti, è costituita dalla previsione espressa della declaratoria di improcedibilità della domanda di apertura della liquidazione controllata quando sia aperta una procedura ai sensi del capo III del titolo IV”. Ora, la procedura “ai sensi del capo III del titolo IV”è il concordato preventivo, sicché legittimamente l'interprete potrebbe provare disorientamento di fronte al dettato normativo, risultando il riferimento alquanto opaco.

Ogni dubbio sembra poter essere sciolto alla luce della Relazione Illustrativa che sul punto, testualmente, afferma che “(…) è previsto (…) che nel caso in cui venga aperta una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, la domanda di liquidazione debba essere dichiarata improcedibile”, da ciò risultando che ci si trova di fronte ad un lapsus calami, e che il riferimento alla procedura “ai sensi del capo III del titolo IV” debba essere letto come riferimento alla procedura “ai sensi del capo II del titolo IV”, e cioè ad una delle due procedure di sovraindebitamento ( nello stesso senso Farina, Il procedimento, cit., 7).

Questa rettifica, tuttavia, getta una luce esplicativa su quanto in precedenza osservato con riguardo all'assenza di una preclusione all'apertura della liquidazione controllata nella fase successiva alla presentazione della domanda “piena”. La preclusione, infatti, non opera, semplicemente perché, una volta depositata la domanda “piena” ed “aperta” la procedura di ristrutturazione dei debiti o di concordato minore, la sola apertura della procedura, indipendentemente dall'esito della medesima, comporta ipso facto la improcedibilità della domanda di apertura della liquidazione controllata.

Potrebbe invece sembrare che il comma 2, secondo periodo, dell'art. 271 CCII (“Alla scadenza del termine di cui al comma 1, senza che il debitore abbia integrato la domanda, ovvero in ogni caso di mancata apertura o cessazione delle procedure di cui al capo III del titolo IV, il giudice provvede ai sensi dell'articolo 270, commi 1 e 2.”) venga a rientrare nell'alveo della regola di trattazione prioritaria, in linea con gli artt. 7 e 49 CCII, operanti per le procedure “maggiori”, in quanto la previsione spalanca il campo per l'apertura della liquidazione controllata nel caso di mancato rispetto del “termine in bianco” (si passi l'espressione) o di naufragio delle due procedure di ristrutturazione o concordato minore.

Anche in questo caso, tuttavia, emerge un profilo di criticità, costituito quantomeno da un cattivo coordinamento.

Nessun ostacolo si presenta all'apertura della liquidazione controllata sia nel caso di vana scadenza del termine di cui al comma 1 dell'art. 271 CCII, sia nel caso di vera e propria mancata apertura della ristrutturazione o del concordato minore, perché in questo caso risultano ancora pendenti le domande di apertura della liquidazione controllata precedentemente proposte.

Problemi concreti, invece, si pongono nel caso di “cessazione delle procedure”, giacché tale “cessazione” dovrebbe sopravvenire dopo che le procedure medesime sono state aperte, e quindi dopo che il Tribunale - in ossequio a quanto statuito dal primo periodo del comma 2 - abbia dichiarato improcedibili le domande di apertura della liquidazione controllata già pendenti, non potendo quindi successivamente aprire la liquidazione controllata sulla scorta di queste ultime.

Esclusa – evidentemente – la possibilità che si assista ad una apertura d'ufficio della liquidazione controllata, la previsione sembrerebbe da riferire alle ipotesi di “cui agli artt. 70, commi 10 e 11, CCII, nonché 80, commi 5 e 6 CCII, oltre che alle ipotesi di “conversione” di cui agli artt. 73 e 83 CCII.

Tralasciando per ora queste due ultime ipotesi, va subito osservato che le fattispecie di cui agli artt. 70 e 80 CCII sono, in realtà, principalmente imperniate su una domanda (denominata atecnicamente “istanza”) del debitore, in quanto l'istanza di un creditore o del pubblico ministero può operare nei soli casi di “frode”, risultando altrimenti preclusa.

Sembra, allora, che dal tessuto dei primi due periodi del comma 2 dell'art. 271 CCII emerga un quadro piuttosto singolare ed evidentemente distonico: depositata domanda di apertura della liquidazione controllata, al debitore basterà depositare la domanda di una procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore, ottenendone l'apertura (magari previa formulazione dell'istanza di assegnazione del termine), per conseguire un duplice risultato: non solo ottenere l'immediata declaratoria di improcedibilità della domanda di liquidazione controllata, ma anche attivare un meccanismo paralizzante in virtù del quale, anche in caso di naufragio delle procedure prima dell'omologa, ulteriori domande di apertura della liquidazione controllata sarebbero proponibili dai creditori o dal pubblico ministero solo in caso di arresto della procedura per frode, restando altrimenti rimessa esclusivamente al debitore la decisione se far aprire o meno la liquidazione.

Si tratta, in questo caso, di un esito che non si allinea semplicemente alla regola della trattazione prioritaria, ma in un certo senso la sovverte, neutralizzando definitivamente la domanda di liquidazione controllata dei terzi sulla sola scorta dell'apertura della procedura minore, senza attendere l'esito definitivo di quest'ultima. In questo modo, però, l'apertura della liquidazione controllata non viene semplicemente subordinata all'esame preliminare della procedura alternativa, ma risulta invece del tutto sterilizzata da quest'ultima.



L'ambito di applicazione delle due norme

Ci si può domandare, a questo punto se residui un ambito di applicazione per l'art. 7 CCII, o se l'art. 271 CCII esaurisca interamente l'ambito dei rapporti processuali tra procedure di sovraindebitamento.

A tale domanda sembra legittimo rispondere nel senso della prima alternativa, in quanto, ad esempio, l'art. 271 nulla dispone per il caso in cui la domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore preceda la domanda di apertura della liquidazione controllata. A meno di ritenere che anche quest'ultima domanda risulti attratta nel meccanismo particolare degli artt. 70, commi 10 e 11 CCII, e 80, commi 5 e 6 CCII, una disciplina per tale ipotesi sembra individuabile solo nella previsione generale dell'art. 7, che però comunque presenta alcuni problemi di adattamento alle procedure di sovraindebitamento.

Il problema non si pone tanto con il comma 2, in quanto, ferma l'applicazione della regola di definizione prioritaria di cui alla prima metà del comma, non si pongono concreti ostacoli alla piena operatività delle regole contenute nell'art. 7, comma 2, alle lett. a) e b), ponendosi, semmai, parziali ostacoli all'applicabilità della previsione di cui alla lett. c).

Nel caso del concordato minore un problema è costituito dal fatto che il requisito della maggiore convenienza per i creditori è imposto in via generale (e quindi non solo per l'ipotesi liquidatoria) dall'art 76, comma 2, lett. d) CCII, a meno di riferire l'indicazione della maggior convenienza al solo concordato liquidatorio (in linea con l'obbligo di apportare risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori stabilito dall'art. 74, comma 2 CCII), e di riferire l'indicazione delle ragioni di assenza di pregiudizio per i creditori al solo scenario della continuità di cui all'art. 74, comma 1 CCII.

Maggiori criticità si pongono invece con riguardo al comma 3. Per quanto ci si trovi di fronte ad un enunciato che ambirebbe in teoria ad avere valenza generale, si deve constatare che, al di là del richiamo alle “ipotesi di conversione di cui agli articoli 73 e 83”, la previsione finisce per dedicarsi esclusivamente alle imprese “maggiori”, come eloquentemente rilevato dalla menzione della sola liquidazione giudiziale - e non anche della liquidazione controllata – e dal riferimento al solo art. 49 CCII.

La regola, allora, lascia irrisolti molti dubbi e pone diversi problemi.

  1. Va in primo luogo evidenziato il carattere pleonastico del riferimento alle ipotesi di “conversione” delle procedure di ristrutturazione dei debiti e di concordato minore di cui agli artt. 73 e 83 CCII e cioè ai casi in cui – revocata un'omologazione che comunque è già stata concessa – la procedura venga “convertita” in liquidazione controllata. Le ipotesi in questione, infatti, non costituiscono, in ogni caso, esempi di apertura della liquidazione controllata in assenza di domanda, dal momento che in entrambi i casi occorre una domanda (ancora una volta denominata atecnicamente “istanza”) del debitore oppure - nei soli casi di revoca per atti in frode o inadempimento – di un creditore o del pubblico ministero, risultando, quindi, più che delle vere e proprie conversioni, delle ipotesi di apertura della liquidazione controllata su domanda.
  2. In ogni caso gli artt. 73 e 83 CCII operano per i casi di patologia della ristrutturazione dei debiti o del concordato minore quando gli stessi sono già stati omologati, e non sarebbero in ogni caso riferibili al caso di una domanda di liquidazione presentata quando all'omologazione non si sia ancora giunti.
  3. Nonostante l'infelice formulazione, la previsione appare riferibile, come già affermato, anche alle procedure di sovraindebitamento, risultando a queste ultime applicabili i principi prima enucleati, con il solo limite dell'applicazione delle regole speciali di cui all'art. 271 CCII nei casi da quest'ultimo contemplati. Quindi: a) in presenza contemporanea di una domanda di omologazione della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore, da un lato, e dell'apertura della liquidazione controllata, dall'altro, dovrà essere esaminata prioritariamente la domanda che regola la crisi o insolvenza con strumento diverso dalla liquidazione controllata; b) la manifesta inidoneità di tale ultima domanda legittimerà l'accelerazione della definizione congiunta dei procedimenti riguardanti il medesimo debitore con il provvedimento che conterrà sia la declaratoria di inammissibilità della domanda di omologazione della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore sia l'apertura della liquidazione controllata; c) l'apertura della liquidazione controllata presupporrà comunque la presenza della domanda o del debitore o di altri soggetti legittimati.
  4. Semmai si ripropone per l'ennesima volta il tema, già evidenziato, della composizione degli organi chiamati a gestire le procedure di sovraindebitamento e delle ricadute di tale profilo anche sulla gestione unitaria del procedimento. Tema che non trova una concreta soluzione nell'art. 270, comma 1 CCII, e che anzi trova ulteriori punti di emersione critica in due previsioni che sono state richiamate anche in precedenza e che, in tema di ristrutturazione dei debiti del consumatore e di concordato minore, costituiscono in un certo senso i “correlati” degli artt. 47, comma 4 CCII, e 49, comma 1 CCII, e cioè gli artt. 70, commi 10 e 11 CCII, e 80, commi 5 e 6 CCII. La criticità di tali norme – fermi in ogni caso i profili problematici già evidenziati esaminando l'art. 271 - non consiste nel contemplare l'apertura della liquidazione controllata (naturalmente in presenza di una domanda) a fronte del “naufragio” della domanda di ristrutturazione dei debiti del consumatore o di concordato minore, bensì nel fatto che sia nell'art. 70, comma 10, sia nell'art. 80, comma 5, è previsto che, a fronte della mancata omologa della domanda, l'apertura della procedura di liquidazione controllata “ai sensi degli articoli 268 e seguenti” sia disposta dal “giudice”, quasi che l'apertura della liquidazione controllata possa essere disposta da un organo monocratico, in evidente contrasto proprio con l'art. 268.
  5. Esclusa una simile eventualità – forse eco distorto della totale monocraticità che caratterizzava il sovraindebitamento nella L. 3/2012 – residua, tuttavia, il problema di fondo, costituito dal fatto che in ogni caso sembrerebbe doversi assistere ad uno sdoppiamento di provvedimenti: da un lato il rigetto o inammissibilità della ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore da parte del giudice monocratico; dall'altro lato, l'apertura della liquidazione controllata da parte del tribunale in composizione collegiale. Esito, questo, che concretamente determina una frattura irrimediabile nella unitarietà che dovrebbe caratterizzare anche le procedure che concernono la c.d. “impresa minore” ed al quale potrebbe porsi rimedio solo ipotizzando – ancora una volta - l'applicazione analogica dell'art. 281-nonies c.p.c., con conseguente trattazione e decisione unitaria delle domande da parte del Tribunale in composizione collegiale.



Conclusioni

Una osservazione conclusiva: né l'art. 271 né l'art. 7 si occupano in alcun modo della tematica del rapporto tra procedure “maggiori” e procedure “minori” (P. Farina, Il procedimento, cit., 7).

Quid se, a fronte di una domanda di liquidazione giudiziale, il debitore (ovviamente imprenditore) si costituisca, e, contestando il superamento delle soglie di cui all'art. 2, comma 1, lett. d), presenti domanda di concordato minore? Quid se il Tribunale, a fronte di una domanda di liquidazione giudiziale, ritenga che il debitore non supera le soglie appena richiamate, ma è insolvente, con conseguente sussistenza dei presupposti per l'apertura della liquidazione controllata: può dichiarare l'apertura di quest'ultima, ritenendo che la domanda di liquidazione giudiziale “contiene” quella di liquidazione controllata oppure deve rigettare la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, ritenendo l'assenza di una formale domanda di apertura della liquidazione controllata? È ammissibile una domanda che chieda, in via alternativa o subordinata, l'apertura di una delle due procedure liquidatorie?

Tutti questi temi vengono radicalmente tralasciati dal Codice, ma è quantomeno evidente che se l'art. 7 (e – nei suoi limiti – l'art. 271) costituisce espressione di quello che può ben essere ritenuto principio generale del rapporto tra strumenti di risoluzione della crisi o insolvenza, consegue che si deve comunque affermare che, fermo restando il problema dell'accertamento delle dimensioni del debitore, la valutazione della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o controllata risulterà comunque subordinata ad un previo giudizio sulla domanda di apertura della procedura “diversa dalla liquidazione”, potendosi quindi affermare che tale regola opera anche trasversalmente tra procedure “maggiori” e procedure “minori”.

I profili sinora esaminati conducono, purtroppo, ad una conclusione che era già stata anticipata in precedenza: il “procedimento unitario” risulta evidentemente concepito avendo in mente quasi esclusivamente le imprese che una volta erano qualificate “fallibili” e non ha ricevuto, con riferimento alle imprese minori, quella disciplina armonizzata che sarebbe stata opportuna ed anzi necessaria.

Il che si traduce nel rilevare un ennesimo profilo che palesa come il “mito” del procedimento unitario si venga costantemente a scontrare con la realtà della disciplina del Codice, uscendo radicalmente – se non irrimediabilmente – ridimensionato.



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