Con la decisione in commento la Corte di Cassazione, richiamando i principi consolidati elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia, ha fornito importanti chiarimenti non solo con riferimento alla ratio della misura prevista dall'art. 156 c.c. e ai presupposti che devono sussistere ed essere accertati dal Giudice per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge, ma anche in relazione alla corretta identificazione e valutazione del “tenore di vita” goduto dal coniuge in costanza di matrimonio su cui l'assegno deve essere parametrato.
- La ratio dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge
In sede di separazione, qualora uno dei due coniugi non abbia adeguati redditi propri, il Giudice può porre a carico dell'altro il versamento mensile di un assegno di mantenimento, ovviamente commisurato alla capacità economica dell'obbligato.
L'art. 156 c.c. prevede, infatti, che «Il giudice, pronunciando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto a ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato […]»
Tale norma disciplina gli effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra coniugi lasciando ben intendere che la condizione giuridica dei coniugi in sede di separazione, da un punto di vista delle obbligazioni di contribuzione e sostegno economico reciproco, è sostanzialmente la stessa di quella sussistente nel corso del matrimonio, sia pure trasformata in obbligazione di somministrazione del mantenimento.
Come evidenziato anche nella pronuncia in commento, la separazione “presuppone la permanenza del vincolo coniugale” e quindi non scioglie il matrimonio ma ne elimina solo i vincoli giuridici di natura personale di coabitazione, fedeltà e collaborazione. L'obbligazione di mantenimento in sede di separazione, nelle intenzioni del legislatore, ha quindi sostanzialmente la stessa natura di quella che ai sensi dell'art. 143 c.c. costituisce la regola contributiva primaria del vincolo matrimoniale.
Questa continuità tra il matrimonio e lo stato di separazione è esplicitata con frequenza dalla giurisprudenza di legittimità che ha ribadito come l'assegno di mantenimento è espressione della solidarietà economica che lega i coniugi durante il matrimonio nonché l' estrinsecazione del generale dovere di assistenza materiale, che permane anche dopo la cessazione della convivenza: la separazione, infatti, instaura un regime che tende a conservare quanto più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, con il tipo di vita di ciascuno dei coniugi (Cass. n. 13408/2022; Cass. civ. sez. I, 20 febbraio 2013, n.4178, cfr. anche Cass. Civ. Sez I, 16 maggio 2017, n. 12196; Cass. civ. Sez. I, 11 dicembre 2003, n. 18920; Cass. civ. Sez. I, 11 dicembre 2003, n. 18920; Cass. civ. Sez. I, 22 aprile 1998, n. 4094 e Cass. civ. Sez. I, 10 marzo 1994, n. 2349).
- I presupposti per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge
Nella pronuncia in commento vengono evidenziati, altresì, i principali presupposti che devono ricorrere per il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge ovvero:
- la non addebitabilità della separazione. La declaratoria di addebito esclude, infatti, il diritto alla percezione di assegno di mantenimento ma non anche il diritto a percepire l'assegno alimentare.
- la mancanza di “adeguati redditi propri”. La norma prevista dall'art. 156 c.c. non specifica il parametro sul quale verificare l'adeguatezza ma è ormai consolidata la giurisprudenza nel ritenere che tale inadeguatezza debba essere parametrata al tenore di vita matrimoniale (cfr. Cass. Civ. n. 20228/2022; Cass. 12196/2017; Cass. Civ. Sez. VI, 4 dicembre 2017, n. 28938; Cass. Civ. Sez VI, n. 1° marzo 2017, n. 5251).
In concreto questo accertamento presuppone l'accertamento delle consistenze reddituali e patrimoniali del coniuge richiedente l'assegno (anche se la norma parla di redditi occorre riferirsi ai patrimoni e all'intera posizione economico reddituale del richiedente).
L'espressione “qualora non abbia adeguati redditi propri” non va, infatti, intesa come stato di bisogno, bensì come difetto di redditi sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di vita goduto in regime di convivenza matrimoniale. (Cass. civ. Sez. I, 9 ottobre 2007, n. 21097; Cass. civ. Sez. VI, 27 maggio 2014, n. 11797; Cass. civ. Sez. VI, 10 giugno 2014, n. 13026). Non rileva inoltre l'aver tollerato, subìto o accettato durante il rapporto di coniugio un tenore di vita più modesto (Cass. civ., sez. I, 27 giugno 2007, n. 5762).
I concetti di “tenore di vita” e “stile di vita” non coincidono necessariamente, e non vanno confusi tra loro, poiché, con il primo (il tenore di vita) deve intendersi la condizione economica potenzialmente godibile dai due coniugi in corso di matrimonio, mentre con il secondo (lo stile di vita) ci si deve riferire alle reali modalità di vita concretamente tenute, che, tuttavia, potrebbero anche essere inferiori alle reali possibilità economiche della coppia.
L'assegno pertanto spetta, pertanto, al coniuge che con le proprie risorse complessivamente intese (Cass. civ., sez. VI, 4 aprile 2016, n. 6427; Cass. civ., 2 novembre 2004, n. 21047; Trib. Cagliari, 7 febbraio 2012), non può beneficiare del tenore di vita goduto in costanza di convivenza matrimoniale (Cass. civ.,7 luglio 2008, n. 18613; Trib. Milano, 21 novembre 2013; Corte d'Appello di Roma, n. 1762/2021).
Anche recentemente la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che “il dovere di assistenza materiale, nel quale si attualizza l'assegno di mantenimento, conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce uno dei cardini fondamentali del matrimonio e non presenta alcun aspetto di incompatibilità con la situazione, in ipotesi anche temporanea, di separazione […] sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio” ( Cass. Civ. n. 213920 del 6 luglio 2022; Cass., n. 9686/2020; Cass. Civ. n. 12196/2017).
- la sussistenza di una disparità economica tra le parti. Occorre altresì compiere una valutazione comparativa dei redditi e patrimoni delle parti per verificare se sussiste una sperequazione. Va effettuato, pertanto, un confronto tra le condizioni economiche dei coniugi per verificare se esista o meno uno squilibrio. Non è necessario determinare l'esatta situazione patrimoniale di entrambi, quanto piuttosto un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali di ognuno (ex multis, Cass. Civ. 12 giugno 2006 n. 13592).
Il tenore di vita e l'irrilevanza della mancata fruizione di beni immobili
Chiarito quindi che i «redditi adeguati» cui va rapportato, ai sensi dell'art. 156 c.c., l'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato, in assenza della condizione ostativa dell'addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio nella fase temporanea della separazione (Cfr. Cass. Civ. n. 26890/2022) stante la permanenza del vincolo coniugale e l'attualità del dovere di assistenza materiale, derivando dalla separazione – a differenza di quanto accade con l'assegno divorzile che postula lo scioglimento del vincolo coniugale – solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione. che il “tenore di vita” assume rilievo per valutare l'inadeguatezza dei redditi del richiedente l'assegno e come finalità dell'assegno (Cass. Civ. 15 gennaio 2018, n. 770; Cass. Civ. 12 gennaio 2017, n. 605) la Corte di Cassazione, richiamando i consolidati principi elaborati in materia, fornisce, altresì, nella pronuncia in commento indicazioni significativamente su come detto tenore di vita debba essere interpretato.
In particolare i Giudici di legittimità rilevano che il tenore di vita tenore di vita goduto in costanza della convivenza deve essere identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi e tenendo conto, quindi, di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro (cfr. Cass. 20638/2004, Cass. 5061/2006).
Il tenore di vita al quale va rapportato il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente è dunque quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del richiedente (Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2626; Cass. n. 13026/2014), senza che possa assumere rilievo la cessazione del godimento di particolari beni.
La Corte, nel cassare la sentenza impugnata, rimarca l'importanza di non confondere il tenore di vita con quella che è stata la fruizione diretta di particolari beni in costanza di convivenza (come ad esempio la casa di villeggiatura) atteso che il venir meno della possibilità di goderne costituisce solo la fisiologica conseguenza della decisione di quest'ultimi di separarsi.
Ciò in quanto l'assegno di mantenimento non ha la funzione di “indennizzare” il coniuge per il fatto di non poter più fruire determinato bene immobile.
I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, pur riconoscendo che l'assegno del coniuge debba tendere a conservare il tenore di vita goduto nel corso del matrimonio, chiariscono anche che con la separazione i coniugi possono subire la «cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita, strettamente collegati alla posizione patrimoniale, reddituale, professionale e sociale dell'uno o dell'altro coniuge, che non sono riproducibili durante la separazione, cosicché il venir meno della possibilità di godere di singoli beni appartenenti a uno dei coniugi costituisce la fisiologica conseguenza della scelta di questi ultimi di dividere le loro sorti”.