Cessione di stupefacenti: l'ennesimo caso di "droga parlata"

Megi Trashaj
17 Febbraio 2023

Nella pronuncia in esame, la Corte di cassazione si è occupata di stabilire se le conversazioni intercettate dagli inquirenti, in cui non viene espressamente menzionata alcuna droga, siano idonee a provare la partecipazione di un soggetto al reato di cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope ex art. 73 d.p.r. n. 309/1990.
Massima

In tema cessione di stupefacenti, qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in dichiarazioni criptiche intercettate senza che sia rinvenuto l'oggetto materiale del reato (cd. droga parlata), il giudice può attribuire significato ai fini della condanna (ex art. 192 c.p.p.) anche all'attività illecita svolta da colui che impartiva le direttive eseguite dall'imputato con le conversazioni captate dalle autorità.

Il caso

Nel caso sottoposto all'attenzione della Corte di cassazione, l'imputato intrattiene diversi colloqui telefonici, utilizzando un linguaggio criptico e molteplici sim card, per organizzare, seguendo le ‘direttive' di un'altra persona, la consegna di beni – mai esplicitamente classificati nel loro genere e quantitativo – contro un corrispettivo che il suo interlocutore si impegna a pagare in più tranches.

Tali colloqui venivano intercettati dalle forze dell'ordine le quali appuravano anche che le ‘direttive' sulle operazioni di scambio venivano fornite all'imputato da un affiliato di un'organizzazione internazionale dedita al traffico di sostanze stupefacenti, affiliato che si era occupato di compravendita di eroina e che aveva assunto la direzione del gruppo criminale di appartenenza a seguito dell'arresto di altri membri del clan.

Sulla base di questi elementi, nei precedenti gradi, l'imputato era ritenuto responsabile di aver concorso (art. 110 c.p.), con più condotte “esecutive del medesimo disegno criminoso” (art. 81 c.p.), alla cessione di diversi – imprecisati – quantitativi di eroina e altre – generiche – sostanze stupefacenti; pertanto, egli veniva condannato per il reato di cui all'art. 73 d.p.r. 309/1990.

Soffermando l'attenzione sul tema di interesse del presente contributo, l'imputato, ricorrendo in Cassazione, rileva il vizio della sentenza della Corte d'Appello che avrebbe stabilito la sua colpevolezza appoggiandosi solo sulle discussioni captate con le intercettazioni. Da queste ultime, però, secondo il ricorrente, non emerge che gli interlocutori organizzassero lo scambio di droga – se di stupefacente si trattava – la tipologia e la quantità di sostanza compravenduta.

La questione

Per dare risposta alla doglianza in analisi la Suprema Corte deve stabilire se: qualora le autorità non abbiano rinvenuto la sostanza illecitamente scambiata né abbiano trovato il denaro asseritamente pagato per la stessa, è possibile ritenere provati gli elementi del reato di cui all'art. 73 d.p.r. 309/1990 a partire da intercettazioni telefoniche in cui, però, non si fa chiaro riferimento ad alcun tipo di stupefacente?

Le soluzioni giuridiche

Nella motivazione della sentenza in commento la Cassazione non fa espressamente riferimento al tema centrale della decisione, ma è evidente che l'argomento è quello della cd. droga parlata, tema che viene in rilievo in molte fattispecie, anche recenti, arrivate all'attenzione del giudice di legittimità per violazione delle norme contenute nel d.p.r. 309/1990.

I reati di cui agli artt. 73 e 74 d.p.r. 309/1990 si caratterizzano per attribuire assoluta rilevanza all'oggetto materiale su cui cadel'azione realizzata dall'autore del reato: è proprio tale oggetto – la sostanza stupefacente – a determinare il fatto tipico preso in considerazione dalle norme incriminatrici menzionate, in sua assenza l'attività di «produzione, traffico e detenzione» non assume significato penale.

I casi di cd. droga parlata si caratterizzano proprio per una difficile ricostruzione dell'oggetto materiale sul quale ricade l'attività del reo: la droga non è rinvenuta dalle autorità e così diventa arduo sia affermare la sussistenza del reato sia, poi, la sua eventuale classificazione in termini di gravità (ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990, ma anche della nota classificazione tabellare delle droghe a cui viene dato rilievo a livello normativo).

Più nello specifico, con l'espressione ‘droga parlata' si indicano i casi in cui nel processo penale non sia possibile affermare il ritrovamento (ad opera degli inquirenti) dello stupefacente oggetto dell'attività illecita contestata, nonostante vi siano delle conversazioni – ritualmente captate – dall'ascolto delle quali si possa desumere il coinvolgimento degli imputati in attività aventi ad oggetto proprio le sostanze stupefacenti, attività sanzionate dal d.p.r. 309/1990.

Con le questioni che ruotano attorno alla problematica della cd. droga parlata, si torna alla regola di cui all'art. 192 c.p.p. in materia di valutazione della prova e di libero convincimento del giudice.

Risolvendo tematiche rese attuali dall'impiego sempre più diffuso delle intercettazioni, la giurisprudenza di legittimità riconosce le difficoltà nell'accertamento della responsabilità alla luce di soli colloqui telefonici e afferma: «qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente, la loro valutazione […] deve caratterizzarsi da assoluto rigore logico-argomentativo ed essere assistito da un alto grado di credibilità razionale» (Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2017, n. 27434; Cass. pen., sez. II, 24 marzo 2021, n. 15616).

Dinnanzi ad un caso di cd. droga parlata, dunque, le intercettazioni devono essere valutate «con particolare attenzione e rigore» in modo che l'eventuale condanna dell'imputato sia fondata «in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”» (Cass. pen., sez. IV, 29 settembre, 2020 n. 37567). In sintesi: non è ammessa alcuna motivazione «instabile, sbrigativa» (Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2022, n. 38341) pena l'affermazione di responsabilità penali in violazione dei dettami costituzionali che contengono, anche per l'ordinamento italiano, il principio del «beyond any reasonable doubt».

Ad aumentare le difficoltà dei processi per ‘droga parlata' il linguaggio utilizzato dagli interlocutori: le conversazioni intercettate, di regola, non sono limpide e cristalline. Come nel caso di specie, infatti, gli imputati sono soliti utilizzare delle espressioni criptiche o cifrate che secondo la Cassazione sono impiegate proprio per «provare a limitare il rischio di controllo da parte delle forze dell'ordine».

Dinnanzi a dialoghi di questo tipo, secondo la giurisprudenza, «il giudice di merito è libero di ritenere che l'espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l'uso di un determinato termine viene indicato per indicarne altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene» (Cass. pen., sez. III, 17 maggio 2016, n. 35593).

A titolo esemplificativo, in un caso recentemente venuto all'attenzione della Cassazione in materia di stupefacenti, gli interlocutori captati parlavano di droga utilizzando espressioni quali «dolci» e «torte»: così il pasticciere coinvolto nell'attività illecita provava a mascherare la propria responsabilità immaginando il rischio di intercettazioni (Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2022, n. 35298). Ecco, proprio con riferimento a casi come questo, il giudice di merito, nell'attività di valutazione della prova, «deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio», se (e solo se) addiviene a questo tipo di risultato egli «ben può […] fondare la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni (Cass. pen., sez. VI, 10 giugno 2005, n. 35680; Cass. pen., sez. un, 26 febbraio 2015, n. 22471).

Tenuta in considerazione questa giurisprudenza in materia di ‘droga parlata' e conversazioni criptiche, pur senza menzionarla espressamente, la Corte di Cassazione rileva che nel giudizio di merito è stata stabilita la colpevolezza dell'imputato guardando a due elementi.

Il primo è costituito dalle telefonate «volutamente» criptiche intercorse tra l'imputato e altro soggetto che, a fronte della cessione di un bene (la sostanza stupefacente), si impegnava al pagamento del suo prezzo in più rate; il secondo è quello relativo ai rapporti personali tra l'imputato e un terzo appartenente ad un'associazione per delinquere internazionale impegnata nel traffico di sostanze stupefacenti, terzo ritenuto autore di reati ex d.p.r. 309/1990.

La ricostruzione della colpevolezza operata dal giudice di merito, che poggiava sui due elementi appena menzionati, appare alla Corte di Cassazione logica e, dunque, la censura alla sentenza di secondo grado proposta dal ricorrente è ritenuta nella pronuncia in commento «inammissibile» perché tesa a portare a una «non consentita rivalutazione dei dati di conoscenza a disposizione».

Così, dichiarando inammissibile il ricorso, la Cassazione confermava la condanna dell'imputato per il reato a lui ascritto.

Osservazioni

La linea interpretativa adottata dalla Cassazione nella sentenza in commento appare al penalista chiara: le intercettazioni, seppur criptiche, possono fondare la responsabilità dell'imputato anche in assenza del ritrovamento della sostanza stupefacente qualora, dal punto di vista logico, provino al di là di ogni ragionevole dubbio la responsabilità dell'imputato per spaccio. L'oggetto materiale del reato non deve essere, dunque, necessariamente appreso dall'autorità e la sua natura può essere ricostruita anche a prescindere dalle consuete analisi tecniche che di regola entrano nel processo penale.

Ma quali sono gli elementi che permettono di desumere dall'interlocuzione telefonica, con linguaggio cifrato, la responsabilità dell'imputato e quindi la cd. alta credibilità razionale del suo coinvolgimento in uno dei reati in materia di droga?

Nel caso di specie, come anticipato, c'era altro oltre alle chiamate intercettate: i rapporti tra l'imputato e un terzo affiliato di un'organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti. Leggendo la sentenza carpiamo molti dettagli su questo ‘terzo': in passato si era occupato della compravendita di eroina e cocaina proveniente dall'Albania e dalla Spagna (sostanza rinvenuta dalle autorità) e aveva assunto la direzione del gruppo criminale di appartenenza a seguito dell'arresto di alti membri del clan coinvolti nella importazione in Italia di una partita di 104 kg di eroina. Purtroppo però nel testo della stessa non vengono messi in rilievo altrettanti dettagli sul rapporto tra questo ‘terzo' e l'imputato, dunque l'interprete fatica a comprendere fino in fondo quale sia l'elemento, ulteriore rispetto alle intercettazioni telefoniche, che ha portato alla condanna dell'imputato.

Guardiamo, dunque, ad altre sentenze in materia di stupefacenti che si contraddistinguono proprio per l'assenza del rinvenimento dell'oggetto materiale del reato intorno al quale orbita la ricostruzione dell'intera fattispecie delittuosa.

Nell'ambito di un altro procedimento in cui veniva in rilievo il tema della ‘droga parlata' la Corte di Cassazione valorizzava, a favore della tesi accusatoria, l'utilizzo del termine ‘erba' nelle conversazioni telefoniche (per indicare la sostanza del tipo marijuana) e il fatto che la difesa non aveva nemmeno «tentato di fornire una lettura alternativa del contenuto delle intercettazioni» (Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 2019, n. 43689). Nella stessa direzione, in altro caso, i giudici di legittimità davano significato pregnante al fatto che l'imputato avesse descritto, parlando al telefono, le «modalità con cui aveva “spacchettato” il carico»; i fatti «avvenuti durante il trasporto via mare» della sostanza; il «valore – “milioni di Euro in ballo”» della merce e il suo quantitativo che «superava in ogni caso mille chili» (Cass. pen., sez. VI, 1 luglio 2022, n. 35644).

In altre sentenze, in senso opposto e dunque accogliendo le tesi difensive, la Corte affermava che a fronte di conversazioni che permettevano di ipotizzare che il luogo in cui si svolgeva lo spaccio fosse l'abitazione dell'imputato l'accusa avrebbe quantomeno dovuto individuare con precisione tale luogo (Cass. pen., sez. VI, 8 luglio 2022, n. 38341) per operare, eventualmente, indagini più accurate. Nella stessa direzione, i giudici di legittimità, in altro caso di cd. droga parlata in cui l'acquirente lamentava al telefono la scarsa qualità del materiale ricevuto, affermavano che le intercettazioni indizianti dovevano essere considerate unitamente a quelle a favore dell'imputato e, dunque, a quelle che ponevano in discussione le qualità psicotrope del materiale oggetto di scambio.

In questo modo, dunque, valorizzando gli elementi del caso concreto può essere attribuito significato alle intercettazioni anche laddove essere siano criptiche e sprovviste di riscontri in termini di sequestri del materiale illecito oggetto di scambio. È fondamentale, però, sia in termini accusatori che difensivi, che tali elementi confluiscano nel giudizio di merito: arrivati alla Cassazione le questioni di fatto sono inutilmente sollevate (Cass. pen., sez. VI, 8 gennaio 2008, n. 17619).

In ultimo, guardando più da lontano i reati ex d.p.r. 309/1990, un dato statistico e una breve correlata considerazione finale.

I reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope rappresentano in Italia uno degli illeciti per i quali sono più frequentemente adottate sentenze di condanna, a sostegno di ciò basti considerare che secondo i dati diffusi dall'ISTAT nel 2017 si contano ben 15.329 sentenze applicative di pena adottate in primo grado in materia di droghe.

Sicuramente, poi, una condanna ex d.p.r. 309/1990 apre spesso le porte del carcere. Attingendo sempre ai dati ISTAT, infatti, la maggior parte dei detenuti presenti negli istituti di pena italiani sono ivi ‘condotti' per scontare sanzioni applicate per i reati di cui al d.p.r. 309/1990: nel 2021 sono ben 18.942 i condannati in carcere per reati di droga, titolo in assoluto più diffuso tra coloro che stanno scontando la pena in stato detentivo (al secondo posto troviamo i condannati per rapina, in totale 16.733; al terzo quelli per furto, in totale 12.459). Dati questi che potrebbero far riflettere non solo sulle scelte di politica criminale adottate in materia dal legislatore, ma anche sul rigore probatorio richiesto (o non richiesto) in sede giudiziaria per ritenere integrata una fattispecie di reato correlata alle attività di spaccio.

D'altra parte, però, salvo e ribadito formalmente anche dalla giurisprudenza di legittimità il principio costituzionale dell'oltre ogni ragionevole dubbio, all'interprete non resta che farne corretta applicazione anche in questa materia.