Inammissibile l'appello per violazione dei principi di sinteticità, chiarezza e specificità dei motivi

Carola Bova
22 Febbraio 2023

Doveri di sinteticità, chiarezza e specificità dei motivi di gravame e conseguenze della loro violazione: la pronuncia del Consiglio di Stato.
Massima

L'appello è inammissibile perché viola i doveri di sinteticità, chiarezza e specificità delle censure sanciti dagli articoli 3, comma 2 (nel testo ratione temporis vigente, antecedente la novella operata col d.l. n. 168/2016 e il d.P.C.S. 22 dicembre 2016), 40, commi 1, lett. d), e comma 2, e 101, comma 1, c.p.a.

Il caso

La sentenza in commento si pronuncia sull'impugnazione proposta, avverso una sentenza del Tar Lazio, mediante un atto di appello composto da ben 53 pagine e incentrato su cinque motivi di censura, genericamente rubricati dalle ricorrenti.

Il Consiglio di Stato si sofferma, pertanto, sulla stessa ammissibilità – prima ancora che sulla fondatezza – di un gravame così articolato, in evidente contrasto con i generali principi di sinteticità, chiarezza e specificità delle censure.

La questione

La problematica giuridica affrontata dalla pronuncia del Consiglio di Stato concerne l'esame dei requisiti di ammissibilità di un atto processuale e, in particolare, di un atto di appello.

Più precisamente, la questione risolta dai giudici del Supremo Consesso riguarda la stessa ammissibilità di un'impugnazione, qualora la stessa sia proposta in palese violazione dell'obbligo di enunciare in maniera chiara e specifica i motivi di gravame e di rispettare i limiti dimensionali dell'atto, utilizzando un numero massimo di caratteri tale da renderlo il più possibile sintetico.

Le soluzioni giuridiche

Il Consiglio di Stato, nell'affrontare tale problematica, ha voluto sanzionare con la scure dell'inammissibilità l'appello redatto in spregio ai suddetti doveri di chiarezza, specificità e sinteticità. Laddove i motivi di censura non siano adeguatamente – e, al contempo, sinteticamente – illustrati dalla parte, la conseguenza non potrà, quindi, che essere quella di ritenere a monte non ammissibile l'impugnazione così proposta.

In tal senso i giudici di Palazzo Spada non si discostano dai numerosi precedenti sul punto, sia civili che amministrativi, volti tutti a incentivare la redazione di ricorsi dal contenuto chiaro e sintetico; in proposito richiamano anche il monito della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, già espressasi in tal senso in un caso analogo, per stigmatizzare negativamente il comportamento processuale della parte appellante e rammentare l'esigenza di rispettare, nella redazione dell'atto, tali principi fondamentali.

Osservazioni

La decisione in esame si pone in continuità con i precedenti più recenti del Consiglio di Stato in materia, confermandone l'approccio rigoroso alla problematica descritta.

Dal tenore della pronuncia, che si preoccupa di sottolineare preliminarmente l'inammissibilità di un appello che sarebbe comunque stato dichiarato manifestamente infondato, risulta evidente la volontà di responsabilizzare le parti e di spingerle a prestare maggiore attenzione ai criteri di redazione dell'atto processuale.

Tale soluzione, del resto, appare del tutto condivisibile, ove si consideri che già l'art. 13-ter delle Norme di attuazione del Codice del Processo Amministrativo richiede che, al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio, le parti redigano il ricorso e gli scritti difensivi secondo criteri formali ben prestabiliti, in ossequio agli artt. 3 e 40 c.p.a.; tali criteri sono stati poi cristallizzati con il decreto n. 167/2016 del Presidente del Consiglio di Stato, mediante il quale sono stati individuati dei veri e propri limiti dimensionali che incidono sulla concreta redazione di un atto del processo.

Lo stesso deve dirsi con riferimento ai doveri di chiarezza e specificità, i quali - al pari di quello di sinteticità - devono guidare la parte nella stesura dell'atto, così da garantire che lo stesso sia agevolmente comprensibile dal giudice e dalle altre parti del giudizio.

È evidente che sentenze come quella in commento sottendano, in un'ottica di buona fede e di leale collaborazione tra le parti, l'esigenza di consentire la ragionevole durata dei giudizi e di perseguire un effetto deflattivo sul contenzioso, considerato che un appello contenente motivi poco chiari (o cd. “intrusi”) comporta il rischio che essi non vengano esaminati nella sentenza, proprio per la difficoltà da parte del giudice di individuarli, con conseguente rischio di revocazione della sentenza stessa. Pertanto, già solo per questo, si ritiene che debbano essere accolte favorevolmente.