Il diritto di manifestazione del pensiero e la legittimità delle proteste contro gli interventi pubblici: i limiti dell'ordine e della morale pubblica

Alessandro Centonze
22 Febbraio 2023

Con la pronuncia in esame la Corte EDU riteneva sussistente la violazione dell'art. 11 CEDU nei confronti dei ricorrenti, che erano stati condannati per avere manifestato il loro dissenso rispetto alla realizzazione di un progetto urbanistico con modalità ritenute pregiudizievoli per l'ordine e per la morale pubblica georgiana. La Corte EDU, in particolare, riteneva violati i diritti di riunione e di manifestazione del pensiero dei ricorrenti, le cui prerogative erano state ingiustamente limitate, non essendosi acquisita alcuna prova che le loro proteste, pur espresse con toni fortemente oppositivi, erano pregiudizievoli per la sicurezza pubblica.
Il caso in esame: l'ammissibilità delle manifestazioni di protesta contro la realizzazione di opere pubbliche

La vicenda processuale in esame riguarda alcuni ambientalisti georgiani, che, nel luglio del 2015, durante la celebrazione dell'European Youth Olympic Festival, che si svolgeva a Tbilisi, prendevano parte a una manifestazione di protesta contro un progetto urbanistico, denominato “Panorama Tbilisi”, che puntava alla realizzazione di quattro nuovi quartieri nell'area collinare di Sololaki, che domina paesaggisticamente la parte più antica della capitale georgiana.

La realizzazione del progetto “Panorama Tbilisi” avrebbe comportato la costruzione di diversi edifici, tra cui alcune alberghiere, contro cui, fin da subito, si mobiliava una parte consistente della società civile georgiana, dando origine a un'aggregazione estremamente variegata, composta da urbanisti, ambientalisti, esponenti del mondo della cultura, preoccupati che i lavori progettati potessero comportare danni irreversibili all'unicità del paesaggio dei vecchi quartieri cittadini.

Pertanto, qualche giorno dopo l'approvazione del progetto urbanistico in questione, da cui avrebbe avuto inizio l'attività di edificazione dell'area di Sololaki, i ricorrenti, unitamente ad alcune centinaia di manifestanti, si riunivano davanti al municipio di Tbilisi, allo scopo di protestare contro tale decisione, nel tentativo di bloccare i lavori che erano già stati autorizzati.

Nel corso di questa protesta pacifica, uno dei manifestanti, per circa cinquanta minuti, brandiva davanti al municipio cittadino uno striscione che paragonava il progetto “Panorama Tbilisi” a un membro sessuale maschile, accompagnando tale esibizione allo slogan “Panorama, my cock!”. Lo stesso manifestante, quindi, dopo essere rimasto fermo, iniziava a camminare con lo striscione, fino a quando non veniva dapprima bloccato e successivamente arrestato dalle Forze dell'Ordine, per avere posto in essere una condotta illecita, che si era concretizzata nell'utilizzo di forme di proteste pregiudizievoli per l'ordine e per la moralità pubblica.

A questo punto, altri sei manifestanti reagivano all'arresto, scrivendo lo stesso slogan su alcuni su pezzi di carta, che esibivano davanti agli agenti di polizia presenti sul posto, accompagnando tali proteste ad accuse a esponenti politici georgiani personalmente coinvolti nella realizzazione del progetto edilizio.

Tali manifestazioni di protesta, secondo quanto accertato durante i processi svolti davanti all'autorità georgiana, si svolgevano in modo pacifico e nel rispetto delle prescrizioni impartite dagli agenti di polizia, alle quali gli attivisti si conformavano rigorosamente.

Tuttavia, nonostante il rispetto di tali prescrizioni, l'autorità giudiziaria georgiana condannava tutti gli attivisti arrestati nel corso della manifestazione svoltasi davanti il municipio di Tblisi, sull'assunto che lo slogan pronunciato nel corso della protesta costituisse un insulto offensivo per la società georgiana e fosse privo di contenuti politici o culturali.

Si riteneva, infine, che le frasi utilizzate dai manifestanti erano ingiustificatamente volgari e non potevano contribuire allo svolgimento di un dibattito pubblico civile, concretizzando, al contempo, un grave pregiudizio per il diritto alla libertà di espressione, pur riconosciuto e ribadito dall'autorità giudiziaria georgiana.

Il ricorso alla Corte EDU e la dedotta violazione degli artt. 10 e 11 CEDU

Dopo la loro condanna, i ricorrenti instauravano un giudizio davanti alla Corte EDU, lamentando che il loro arresto, da cui era derivata la loro condanna, eseguito con le modalità di cui si è detto, integravano una violazione dei diritti al diritto di manifestazione del pensiero e al diritto alla riunione riconosciuti dagli artt. 10 e 11 della Convenzione EDU.

Le condotte poste in essere dai manifestanti, infatti, non potevano essere punite alla luce dell'art. 166 del Codice delle violazioni amministrative, che era stato interpretato in modo estensivo dall'autorità giudiziaria georgiana, non essendosi concretizzata alcuna violazione dei principi di convivenza democratica tutelati da tale disposizione normativa.

Si evidenziava, al contempo, che i termini, asseritamente osceni, utilizzati dai manifestanti erano funzionali ad alimentare il dibattito pubblico sulla questione ambientalistica sollevata, riguardante la realizzazione di un progetto urbanistico che avrebbe prodotto effetti paesaggistici devastanti per la parte vecchia della capitale georgiana.

Si ribadiva, in questo modo, che le forme espressive utilizzate durante la manifestazione di protesta miravano esclusivamente a esprimere la contrarietà dei ricorrenti alla realizzazione di un intervento pubblico, con modalità certamente aggressive ma lecite.

La decisione della Corte EDU: la tutela dei diritti di manifestazione del pensiero e di riunione riconosciuti dagli artt. 10 e 11 CEDU

Occorre premettere che la Corte EDU riconosceva la violazione dell'art. 11 CEDU dedotta dai ricorrenti, evidenziando che la questione sollevata doveva essere esaminata in correlazione alla previsione dell'art. 10 CEDU, atteso che, nel caso di specie, la manifestazione di protesta controversa si era svolta per consentire ai partecipanti di esprimere la propria contrarietà alla realizzazione di un progetto urbanistico che coinvolgeva la collina di Sololaki, che domina la parte più antica della città di Tblisi (Corte EDU, G.C., Kudrevicius e altri c. Lithuania, 15 ottobre 2015, n. 37553/05).

Secondo la Corte EDU, la limitazione della libertà di riunione costituisce una violazione dell'art. 11 CEDU, fatti salvi i casi in cui si renda necessaria per garantire il rispetto delle regole democratiche e sia prevista da un'apposita norma. Tutto questo comporta che le eventuali limitazioni alla libertà di riunione non possono essere interpretate estensivamente e devono essere giustificate, con la conseguenza che gli Stati Membri, pur godendo di margini di discrezionalità, sono sottoposti al controllo rigoroso della Corte di Strasburgo, che, caso per caso, deve verificare la compatibilità delle restrizioni previste dal diritto nazionale con le garanzie convenzionali, sottoponendo a bilanciamento i due elementi di giudizio (Corte EDU, Mushegh Saghatelyan c. Armenia, 20 Settembre 2018, n. 23086/08).

Si evidenziava, al contempo, che, nello svolgimento di tali verifiche, la Corte EDU può valutare se le istituzionali nazionali abbiano esercitato i loro poteri discrezionali ragionevolmente e in buona fede, atteso che la legittimità delle limitazioni alle libertà convenzionali presuppone il perseguimento di uno scopo legittimo e un sacrificio non sproporzionato agli obiettivi da conseguire.

Il criterio di proporzionalità previsto dall'art. 11, § 2 CEDU, dunque, impone la ricerca di un equilibrio tra le finalità perseguite dalle limitazioni previste dal diritto nazionale – finalizzate a tutelare l'ordine e la moralità pubblica interni – e il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni, anche attraverso manifestazioni pubbliche di protesta.

In questa direzione, la natura e la gravità del trattamento sanzionatorio irrogato costituiscono elementi determinanti per valutare la proporzionalità delle limitazioni imposte al diritto di riunione e al diritto di manifestazione del pensiero e, quando le sanzioni irrogate ai dissidenti sono penali, richiedono un'adeguata giustificazione, essendo evidente che una manifestazione pacifica, tendenzialmente, non dovrebbe essere soggetta alla minaccia di una sanzione penale e della privazione della libertà personale, che costituiscono un'extrema ratio (Corte EDU, Chemega e altri c. Ucraina, 18 giugno 2019, n. 74768/10).

D'altra parte, la circostanza che una manifestazione di protesta in un'area urbana possa dare luogo a un'alterazione della vita pubblica non giustifica, di per se stessa, la limitazione della libertà di riunione, dovendo mostrare le istituzioni nazionali un atteggiamento di tolleranza, il cui grado deve essere verificato caso per caso dalla Corte EDU. Ne consegue che laddove i manifestanti infrangano intenzionalmente le regole della convivenza democratica, mediante l'organizzazione di forme di protesta che determino un inaccettabile disturbo della vita pubblica e delle attività legittime degli altri cittadini, non potranno beneficiare della tutela convenzionale e, avendo posto in essere condotte pericolose per l'ordine pubblico, potranno sanzionati penalmente.

Quanto al tema, correlato, della libertà di espressione, la Corte EDU ribadiva che l'art. 10 CEDU protegge sia le informazioni o le ideologie largamente condivise o considerate non offensive, sia quelle che risultino minoritarie o possano arrecare fastidio a una parte, anche consistente, della popolazione, atteso che tale disposizione lascia pochi margini alla possibilità di limitazioni della libertà di espressione nelle ipotesi di dibattiti su questioni di interesse pubblico (Corte EDU, Bumbes c. Romania, 3 maggio 2022, n. 18079/15).

Il linguaggio utilizzato, infatti, fuoriesce dalla previsione dell'art. 10 soltanto se persegue quale unico obiettivo quello di denigrare o demonizzare il contendente, non essendo l'utilizzo di frasi volgari, ex se, determinante per stabilire se le parole usate sono offensive, potendo essere utilizzate anche come forma di comunicazione e ricevendo, in tal caso, protezione convenzionale (Corte EDU, Uj c. Ungheria, 19 luglio 2011, n. 23954/10).

In questa cornice, la Corte EDU evidenziava che era incontroverso che, nel caso in esame, l'intervento delle Forze dell'Ordine georgiane aveva interferito sulla libertà di riunione dei manifestanti, che avevano inscenato una protesta pacifica e utilizzato toni verbali inoffensivi.

Ne derivava che il richiamo dell'autorità giudiziaria georgiana all'art. 166 del Codice delle violazioni amministrative, in astratto, era corretto, non essendo sindacabile dai Giudici di Strasburgo lo scopo di proteggere la morale e i diritti dei cittadini georgiani, laddove pregiudicati da una manifestazione di protesta. La limitazione della libertà prevista dall'art. 166 del Codice delle violazioni amministrative, dunque, non era incoerente con la norma convenzionale, perseguendo, obiettivi astrattamente legittimi.

Tuttavia, in concreto, la limitazione delle libertà dei manifestanti non era legittima sotto un differente parametro convenzionale, rappresentato dalla necessità di interrompere una manifestazione di protesta pacifica, che, in una società democratica, non può essere penalizzata, non potendosi ostacolare il dissenso alle iniziative governative.

La natura pacifica della manifestazione di protesta, del resto, era incontroversa, riguardando la protesta inscenata la realizzazione di un intervento edilizio che poteva compromettere il panorama dell'area urbana della parte antica della città di Tbilisi, che aveva dato origine a un dibattito particolarmente sentito dalla pubblica opinione georgiana.

Si trattava, pertanto, di una questione di rilevanza pubblica, alla luce della quale i limiti alla libertà di espressione dovevano essere giustificati in maniera rigorosa e nel rispetto del criterio di proporzionalità previsto dall'art. 11, § 2 CEDU, che risultava violato nel caso di specie. Le riprese audiovisive dell'arresto dei dimostranti, difatti, rendevano evidente la natura pacifica e passiva dei comportamenti dei dimostranti, che si limitavano a esibire degli striscioni, senza assumere atteggiamenti aggressivi verso la polizia o gli eventuali passanti.

Quanto all'uso di una frase volgare – consistente nello slogan “Panorama, my cock!” – i Giudici di Strasburgo, pur evidenziando, che non erano in grado di valutarne la portata rispetto al sentire comune della popolazione georgiana, ribadivano che l'uso di parole oscene o volgari, se inserito in un contesto riconducibile a legittime manifestazioni di protesta, non concretizzavano alcuna violazione dell'art. 10 CEDU, essendo giustificate dalle finalità, legittime, perseguite.

L'autorità giudiziaria georgiana, dunque, avrebbero dovuto correlare la frase volgare usata dai manifestanti agli obiettivi di protesta perseguiti dai dissidenti, che protestavano legittimamente contro un progetto urbanistico che aveva provocato scontenti in una parte consistente della popolazione (Corte EDU, Ziembinski c. Poland, 5 luglio 2016, n. 1799/07).

Non poteva, peraltro, non rilevarsi che la frase incriminata non era diretta contro un individuo o un'istituzione, venendo adoperata solo per rafforzare il senso della manifestazione inscenata davanti il municipio di Tblisi, che, come detto, incontrava il sostegno di una parte dell'opinione pubblica. Di conseguenza, la frase, pur volgare, non concretizzava alcuna violazione dell'art. 10 CEDU, non contendendo riferimenti personali offensivi o denigratori, che, viceversa, devono ritenersi lesivi delle garanzie convenzionali (Corte EDU, Monteiro Telo de Abreu c. Portugal, 7 giugno 2022, n. 42713/15).

La Corte EDU, pertanto, riteneva violato il principio di proporzionalità previsto dall'art. 11, § 2 CEDU, sull'assunto che i ricorrenti erano stati costretti a interrompere la loro manifestazione di protesta, subendo il comportamento delle Forze dell'Ordine georgiane, il cui intervento, tra l'altro, aveva scoraggiato analoghe, future, iniziative, limitando la libertà di espressione in un pubblico dibattito.

Conclusioni: l'individuazione di nuovi spazi a tutela delle dimostrazioni pubbliche e il principio di proporzionalità di cui all'art. 11, § 2, CEDU

Con la pronuncia che si commenta la Corte EDU affermava che il comportamento delle istituzioni di polizia georgiane, che aveva interrotto una manifestazione di protesta pacifica, aveva determinato la violazione dell'art. 11 CEDU, che, a sua volta, doveva essere valutato alla luce della previsione dell'art. 10 CEDU, pregiudicando la libertà di espressione dei dimostranti.

La Corte EDU, infatti, riteneva violati i diritti di riunione e di libertà di espressione dei soggetti che protestavano legittimamente contro la realizzazione del progetto “Panorama Tbilisi”, la cui limitazione non trovava alcuna giustificazione, essendo incontroverso che i comportamenti dei manifestanti non erano stati in alcun modo pregiudizievoli per l'ordine e per l'incolumità pubblica.

Né rilevava, in senso contrario, l'impiego da parte dei manifestanti di frasi volgari, atteso che tali espressioni si giustificano nel contesto in cui erano state pronunciate, caratterizzato dal dissenso di una parte dell'opinione pubblica georgiana per la realizzazione di un progetto urbanistico ritenuto dannoso per il patrimonio paesaggistico.

La limitazione dell'intervento delle Forze dell'Ordine, infine, appariva ancor più invasivo, alla luce del principio di proporzionalità di cui all'art. 11 CEDU, alla luce del fatto che i dimostranti, nonostante avessero inscenato una manifestazione pacifica, erano stati costretti a interrompere le loro legittime attività di protesta, vedendo limitata la loro libertà di espressione nel dibattito pubblico georgiano.

Bibliografia. Decisioni della Corte EDU

Corte EDU, Monteiro Telo de Abreu c. Portugal, 7 giugno 2022, n. 42713/15; Corte EDU, Bumbes c. Romania, 3 maggio 2022, n. 18079/15; Corte EDU, Chemega e altri c. Ucraina, 18 giugno 2019, n. 74768/10; Corte EDU, Mushegh Saghatelyan c. Armenia, 20 Settembre 2018, n. 23086/08; Corte EDU, Ziembinski c. Poland, 5 luglio 2016, n. 1799/07; Corte EDU, G.C., Kudrevicius e altri c. Lithuania, 15 ottobre 2015, n. 37553/05; Corte EDU, Uj c. Ungheria, 19 luglio 2011, n. 23954/10.

Alessandro Centonze