Il Tribunale Amministrativo chiarisce anzitutto che in base all'art. 108 (Risoluzione), comma 2, lett. b), d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (“Codice dei contratti pubblici”): “Le stazioni appaltanti devono risolvere un contratto pubblico durante il periodo di efficacia dello stesso qualora: […] b) nei confronti dell'appaltatore sia intervenuto un provvedimento definitivo che dispone l'applicazione di una o più misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia e delle relative misure di prevenzione”.
La pronuncia afferma che “Invero, già gli artt. 92, comma 3, ult. parte, e 94, commi 2 e 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, prevedono un potere-dovere qualificato come “recesso” per evidenziare come trattasi dell'esplicazione di uno speciale potere, previsto da norme a matrice pubblicistica e proteso a tutelare l'ordine pubblico economico”.
In tal senso è anche la regola fondamentale tracciata dall'art. 21-sexies della legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede appunto che: “Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto”.
Ciò premesso, appare evidente che alcuna risoluzione o recesso può pronunciarsi se il contratto abbia pressoché esplicato la propria efficacia, giungendo a “scadenza contrattuale”, ovverosia compiendosi il termine finale.
Per quel che concerne la natura e funzione della “garanzia definitiva” prevista dall'art. 103, comma 1 e 2, del Codice dei Contratti pubblici, va poi ribadito che essa è prevista: “[…] a garanzia dell'adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall'eventuale inadempimento delle obbligazioni stesse […]. La garanzia cessa di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del certificato di regolare esecuzione” e “Le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi della cauzione […], per l'eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori, servizi o forniture nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell'esecutore […]”.
Da tali disposizioni emerge, come la funzione della “garanzia definitiva” sia quella di assicurare, da un lato, l'adempimento del contratto di appalto stipulato e, dall'altro lato, quella di tenere indenne l'Amministrazione dagli oneri conseguenti al pronunciamento di risoluzioni in danno dell'appaltatore disposte per inadempienza contrattuale di questi. In altre parole, la causa di risoluzione tutelata è quella riconducibile alla corretta esecuzione delle obbligazioni negoziali ed opera, per così dire, “all'interno” del contratto.
Altro è, invece, - precisa il Collegio” “il caso della risoluzione (rectius recesso), che sia pronunciata, a causa del factum principis costituito dal sopravvenire di un provvedimento pubblicistico interdittivo, che, al contrario, opera “all'esterno” del contratto, precludendone l'ulteriore corso. In tal caso, solo la richiesta – purché tempestiva – di misure di mitigazione, qual è il “controllo giudiziario”, ai sensi dell'art. 34-bis d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, può salvaguardare l'operatività del soggetto interessato”.
Nel caso di specie, l'ammissione al rimedio del “controllo giudiziario” è stato richiesto solo dopo l'ordinanza di rigetto della Sezione delle domandate misure cautelari e, comunque sia, dopo la pronuncia delle due risoluzioni contrattuali, ai sensi dell'art. 108, comma 2, lett. b), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, da parte dei due enti locali.
Tuttavia, va rimarcato che il provvedimento di incameramento della “garanzia definitiva” prestata, in virtù dell'art. 103 d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, non è conseguenziale a qualsiasi risoluzione contrattuale, bensì solo alla pronuncia della risoluzione in danno per inadempienze negoziali. Inadempimenti che dunque devono essere sia imputabili all'aggiudicatario, sia pregiudizievoli all'Amministrazione.
Al riguardo, il TAR Puglia dà compiutamente conto dell'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto. In tal senso, per un primo indirizzo pretorio la risoluzione-recesso del contratto di appalto affidato, a seguito della “sopravvenienza” dell'interdittiva antimafia, non comporta, di per se stesso, l'incameramento della “cauzione definitiva” (Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2021 n. 8367; TAR Sardegna, sez. I, 23 gennaio 2020 n. 48; TAR Emilia-Romagna, sez. II, 13 maggio 2015 n. 461; Idem 29 aprile 2015 n. 46).
Un secondo e contrario orientamento, invece, dilata la nozione di inadempimento contrattuale fino ad includervi il sopraggiungere del “fatto esterno” dell'interdittiva antimafia, senza distinguere tra “cauzione provvisoria”, ex art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50/2016 e “cauzione definitiva” ex art. 103 d.lgs. n. 50/2016 (Cons. Stato, sez. III, 21 giugno 2022, n. 5093).
Più rispondente alla lettura, anche sistematica delle norme, e alla ratio delle disposizioni normative sopra riportate è invece la tesi che ritiene che, a seguito della sopravvenienza dell'interdittiva, debba, finché sia operativa, escutersi la “garanzia provvisoria” (data cioè a corredo dell'offerta economica ex art. 93, comma 6, d.lgs. n. 50 cit.), perché questa tutela dalla mancata sottoscrizione del contratto, dopo il provvedimento di aggiudicazione, dovuta ad ogni fatto che sia riconducibile all'affidatario, ivi comprendendosi expressis verbis anche “l'adozione di informazione antimafia interdittiva” (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2022, n. 7).
Mentre, la “garanzia definitiva” (ossia quella data in seno alla stipulazione del contratto ex art. 103 d.lgs. n. 50 cit.) obbedisce ad una diversa funzione di tutelare l'Amministrazione da inadempienze contrattuali stricto sensu, tant'è che, significativamente, il testo normativo, in questa seconda ipotesi, non contempla la sopravvenienza costituita dall'informativa interdittiva antimafia.
Nel caso di specie, dunque, non si è proceduto ad alcuna “risoluzione in danno”, bensì alla semplice adozione, peraltro solo alcuni giorni dopo alle disposte risoluzioni-recesso, di “misure organizzative compensative” all'interno dell'Amministrazione comunale e a vantaggio dello stesso, ai fini della prosecuzione dei servizi, né sono stati dedotti o dimostrati danni specifici subiti da parte della Stazione Appaltante a seguito della comunicazione interdittiva e del conseguente provvedimento di concessione del controllo giudiziario.
Per cui, il giudice amministrativo ha conseguentemente ritenuto l'incameramento disposto dal Comune di Foggia della “cauzione definitiva” privo di causa e indebito.