La Commissione europea rende note le sue proposte per rilanciare il dialogo sociale europeo

27 Febbraio 2023

Il 25 gennaio la Commissione europea ha adottato la promessa iniziativa per rafforzare e promuovere il dialogo sociale nell'UE, come indicato nell'Action plan per l'implementazione del Pilastro sociale europeo del marzo del 2021 che dettaglia – sino al 2025 – una serie di interventi per rendere il Pilastro effettivo in tutti i suoi 20 principi e diritti nel complessivo ambito del diritto dell'Unione e in quello degli stati membri.

1. Il 25 gennaio la Commissione europea ha adottato la promessa iniziativa per rafforzare e promuovere il dialogo sociale nell'Unione europea, come indicato nell'Action plan per l'implementazione del Pilastro sociale europeo del marzo del 2021 che dettaglia – sino al 2025 – una serie di interventi di varia natura, legislativa, di coordinamento, di suggerimento agli stati nazionali, per rendere il Pilastro effettivo in tutti i suoi 20 principi e diritti nel complessivo ambito del diritto dell'Unione ed in quello degli stati membri. Il molto articolato o principio n. 8 del Pilastro (che sintetizza anche norme del Trattato sul funzionamento) prevede che “le parti sociali sono consultate per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali nel rispetto delle prassi nazionali. Sono incoraggiate a negoziare e concludere accordi collettivi negli ambiti di loro interesse, nel rispetto della propria autonomia e del diritto all'azione collettiva. Ove del caso, gli accordi conclusi tra le parti sociali sono attuati a livello dell'Unione e dei suoi stati membri. I lavoratori ed i loro rappresentanti hanno il diritto di essere informai e consultati in tempo utile su questioni di loro interesse, in particolare in merito al trasferimento, alla ristrutturazione e alla fusione di imprese e ai licenziamenti collettivi. È incoraggiato il sostegno per potenziare la capacità delle parti sociali di promuovere il dialogo sociale”.

Il Pilastro ribadisce e specifica più analiticamente nel contenuto alcuni diritti fondamentali – connessi e strumentali al dialogo sociale – già protetti dalla Carta dei diritti come il diritto all'informazione e consultazione nel luogo di lavoro (art. 27), il diritto allo sciopero e all'azione collettiva (art. 28) e la protezione contro il licenziamento discriminatorio (art. 30). La Dichiarazione del Vertice sociale di Porto del 7 maggio 2022 ha, poi, sottolineato la necessità del rafforzamento, a tutti i livelli, delle procedure e delle azioni connesse al dialogo sociale con l'appoggio dei Tre Presidenti dell'UE e dei social partner dell'Unione [1]. Il rilancio delle politiche sociali europee rimarrebbe certamente monco e non riuscirebbe a catturare pienamente le richieste di garanzie e protezione che provengono direttamente dalle dinamiche trasformative in atto del mondo lavorativo se non venisse adeguatamente incluso nell'ambito decisionale dell'Unione e degli stati membri il punto di vista delle “parti sociali” e difeso energicamente lo strumento della contrattazione collettiva, nei vari livelli, sulla base di valutazioni autonome di organizzazioni sindacali autenticamente rappresentative nei vari settori.

2. Negli ultimi anni non vi è dubbio che le potenzialità del capitolo sociale dell'Unione come codificate nel Trattato di Amsterdam siano rimaste molto sotto-utilizzate essendosi fermato il processo che sembrava poter diventare egemone a fine millennio di regolazione sovranazionale attraverso autonomi accordi tra parti sociali (sia intercategoriali che settoriali) implementati poi attraverso il diritto dell'Unione, così come si è spento il fenomeno di attuazione dello stesso diritto comunitario a livello nazionale attraverso ulteriori accordi sindacali. Una convergenza non si è trovata né sul salario minimo, né sulla direttiva sulla trasparenza nelle condizioni di lavoro, né ancora sulla disciplina del lavoro tramite intermediazione delle piattaforme. La crisi economica dal 2008 ha portato all'adozione delle molto discusse politiche di austerity con la compressione dei livelli di prestazioni sociali consolidati in molti paesi che hanno allontanato i grandi sindacati dei lavoratori dalle scelte degli organi dell'Unione, alcune volte anche in polemica con talune decisioni della Corte di giustizia. Quest'ultima non solo in alcune sentenze del 2007 (il cosidetto Laval quartet) [2] è stata fortemente criticata per non avere equamente bilanciato l'esercizio delle libertà comunitarie con la protezione dei diritti sociali fondamentali (anche se in un'epoca nella quale la Carta non era ancora vincolante) ma anche per aver esclusa l'applicazione diretta dell'art. 27 della Carta di Nizza sul diritto di informazione e consultazione [3], nonché insindacabili per violazione dei diritti della stessa Carta le misure di austerity disposte nel quadro dei piani di risanamento dei paesi indebitati [4].

Anche ultimamente ha determinato qualche polemica negli ambienti, anche accademici, pro-labour la decisione della Corte di giustizia del 21 settembre 2021, C-928/19, Epsu, che ha ritenuto che la Commissione goda di una piena discrezionalità (anche sotto i profili politico-sociali, non solo sotto quelli del rispetto del diritto dell'Unione o dell'effettiva rappresentatività dei sindacati stipulanti) nel recepire o meno un accordo (con una direttiva) tra partner europei, determinando così una certa incertezza sul quadro istituzionale della contrattazione collettiva sovranazionale che indebolisce la spinta e la prospettiva negoziale. Certamente sembra incontestabile che la giurisprudenza della Corte di giustizia in campo sociale, dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona che conferisce alla Carta dei diritti lo stesso valore giuridico dei Trattati, sia divenuta notevolmente garantista anche nel settore sociale con l'affermazione – tra l'altro – della diretta applicabilità dell'art. 21 sulla non discriminazione e dell'art. 31 su ferie e riposi, ma alcuni commentatori rilevano che sulle questioni sindacali la Corte e nel complesso l'Unione sembra ancora troppo prudente ed incerta [5].

È evidente che la Commissione, con l'iniziativa del 25 gennaio, mira a voler coinvolgere, indebolendo alcune critiche mosse alla governance dell'Unione, significativamente le parti sociali nel rilancio delle strategie sovranazionali che attengono alla sostenibilità e all'inclusione sociale che è il terzo, fondamentale, pilastro (oltre alle scelte per il green e il digital) su cui si appoggia non solo il Recovery Plan ma l'insieme delle policies dell'Unione degli ultimissimi anni. Non solo per perseguirle è imprescindibile il consenso delle parti sociali ma per affrontare la violenta trasformazione produttiva in atto è necessario che la potestà regolativa delle parti sociali sia davvero esercitata ad ogni livello risultando più duttile, pronta e reattiva della macchina legislativa, molto complessa, dell'Unione.

3. L'iniziativa è articolata su una Comunicazione “Strengthening social dialogue in the European Union: harnessing its full power potenzial for managing fair transitions” [6] rivolta al livello europeo ed in una proposta di Raccomandazione del Consiglio “On strengthening social dialogue in the European Union” [7] che riguarda invece il livello nazionale. L'iniziativa si presenta anche come una delle misure suggerite sulle proposte (precisamente la proposta n. 13 che contempla varie ipotesi) avanzate dalla Conferenza sul futuro dell'Unione (CoFoE) e si muove nel solco degli attuali Trattati: in particolare l'art. 153 lett. f prevede una competenza dell'Unione per “la rappresentanza e difesa collettiva degli interessi e dei datori di lavoro ivi compresa la cogestione”, escluso però il diritto di sciopero e il diritto di associazione, e con le regole dell'unanimità, sentito il PE ed il Comitato delle economico-sociale e delle Regioni.

La parte ricognitiva è in gran parte la stessa nei due Documenti: quel che sembra preoccupare la CE è il ritmo sempre più blando della contrattazione collettiva sovranazionale (sia intercategoriale che settoriale) che induce gli organi centrali a privilegiare l'intervento regolativo legislativo (non sempre agevole) con l'ulteriore profilo che la contrattazione non sembra allo stato in grado di contribuire in modo rilevante neppure nella fase di implementazione interna della normativa UE. A questo indebolimento del tratto propriamente “comunitario” nell'attività sindacale si aggiunge il fenomeno di una minore copertura da parte della contrattazione collettiva nazionale, passata in 18 anni (dal 2000 al 2018) dal 66% dei lavoratori a circa il 56% mentre l'occupazione è rimasta piuttosto stabile. La CE rileva gravi difficoltà per i sindacati nel reclutare nuovi membri sia per l'emergere di nuove forme di occupazione (ad es. il lavoro su piattaforma) sia per l'incremento del numero di “indipendenti” che storicamente soffrono di una mancanza di rappresentanza sindacale, cui da ultimo la CE ha guardato nel considerare ammissibili, in una qualche tensione con la giurisprudenza della Corte di giustizia, i contratti collettivi di settore.

La CE sembra in entrambi i documenti voler ricercare con le parti sociali strumenti adeguati a promuovere un confronto approfondito sia da parte delle istituzioni interne che con quelle sovranazionali, anche nelle scelte cruciali di tipo macroeconomico connesse con il semestre europeo.

4. Consentire al dialogo sociale di prosperare a livello nazionale. La proposta di raccomandazione del Consiglio presentata dalla Commissione raccomanda agli Stati membri di: garantire la consultazione delle parti sociali per l'elaborazione e l'attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali nel rispetto delle prassi nazionali; incoraggiare le parti sociali a studiare le nuove forme di lavoro e di occupazione atipica e a comunicare diffusamente i vantaggi del dialogo sociale e di tutti i contratti collettivi posti in essere; consentire il miglioramento delle capacità delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, ad esempio assicurando loro l'accesso alle informazioni pertinenti e il sostegno dei governi nazionali. La proposta di raccomandazione del Consiglio rispetta pienamente le tradizioni nazionali e l'autonomia delle parti sociali. Essa consente agli Stati membri di decidere come operare per conseguire nel modo migliore tali obiettivi, tenendo conto delle circostanze specifiche. Promuovere la partecipazione delle parti sociali a livello dell'UE.

Per promuovere ulteriormente il ruolo delle parti sociali nell'elaborazione delle politiche dell'UE e rafforzare il dialogo sociale settoriale a livello dell'UE, la Commissione propone una serie di misure volte a: rafforzare il dialogo sociale settoriale europeo modernizzandone il quadro, in stretta collaborazione con le parti sociali dell'UE, attraverso un'eventuale revisione delle norme vigenti; continuare a sostenere gli accordi tra le parti sociali, in particolare attraverso il sostegno amministrativo e la consulenza legale; rafforzare la partecipazione delle parti sociali alla definizione delle politiche dell'UE, ad esempio richiedendo i pareri delle parti sociali europee intersettoriali sulle priorità politiche dell'UE in sede di redazione del programma di lavoro della Commissione; rendere più efficace il sostegno tecnico e finanziario dell'UE alle parti sociali. Ad esempio, la Commissione istituirà, in collaborazione con le parti sociali, una rete di ricerca per monitorare e promuovere il dialogo sociale dell'UE.

Importante sembra anche l'apertura verso un'integrazione maggiore con il diritto internazionale del lavoro (ma non ancora alla Carta sociale europea del Consiglio d'Europa):

La Commissione continuerà inoltre a promuovere il dialogo sociale a livello internazionale attraverso la collaborazione regolare con l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici e altre istituzioni. La Commissione incoraggia gli Stati membri a continuare a ratificare e ad attuare efficacemente le convenzioni dell'OIL.

La Commissione monitorerà, quindi, in stretta collaborazione con le parti sociali, il seguito dato alle azioni proposte a livello dell'UE elencate nella comunicazione. Gli Stati membri discuteranno la proposta di raccomandazione del Consiglio formulata dalla Commissione in vista della sua adozione da parte del Consiglio. Una volta adottata, la proposta invita gli Stati membri a presentare alla Commissione una serie di misure, che sono state discusse con le parti sociali, per attuare la raccomandazione. L'attuazione delle misure sarà monitorata nel quadro del semestre europeo.

5. Qualcosa quindi si muove certamente, da un accenno di intensificazione delle azioni di sostegno all'azione sindacale con un'opera di formazione dei quadri destinati a seguire il dialogo sociale ad una maggiore informazione sugli aspetti rilevanti delle scelte macroeconomiche sia a livello interno che europeo, da un riassetto della struttura dei 43 sectoral social dialogue committees (che includono organizzazioni che rappresentano i 185 milioni di lavoratori e 6 milioni di imprese), all'incremento di risorse nell'ambito del Fondo sociale europeo per il supporto tecnico alle negoziazioni su temi sociali, da nuove iniziative di dibattito su temi emergenti sino ad un controllo e promozione dell'effettiva partecipazione delle parti sociali al semestre europeo, dal termine trimestrale assegnato alla Commissione per le prime valutazioni sugli accordi stipulati dalle OOSS sino alla presenza di un coordinatore del dialogo sociale in ogni Direzione della CE.

Sembra, però, difficile vedere in questi due Documenti quel salto di qualità che la situazione europea richiederebbe ma potrebbe aprirsi un processo virtuoso: molto dipenderà da quanto la Commissione saprà utilizzare i due Documenti nel rivitalizzare quella parte di democrazia europea che passa per il dialogo sociale, attraverso un coinvolgimento attivo e propositivo delle OOSS che guardi anche ad un futuro, complessivo, restatement dei Trattati ad opera di una nuovo Parlamento (con funzione costituente) con il quale proprio le OOSS hanno in questi ultimissimi anni interagito molto efficacemente.

Un primo commento sintetico del sindacato europeo sembra apprezzare l'iniziativa della CE [8]:

The ETUC has been calling on the Commission to put social dialogue at the heart of Europe decision making. Some of the measures proposed reflect the Commission's intention to support a stronger social dialogue at all levels – but this will need to be followed-up with sustained commitment.

The proposal for a Council Recommendation could trigger improvements at national level, in particular where trade unions are seeking to improve social dialogue and collective bargaining. Some positive proposals include Members States' commitment:

  • To respect fundamental rights and freedoms of association and collective bargaining, including on pay;
  • To capacity building initiatives for social partners, including use of the European Social Fund +;
  • To involve social partners fully in policy making, in a timely manner with all relevant information to ensure proper consultation;
  • To promote collective bargaining coverage of the most vulnerable workers.

Regarding the Commission Communication, the ETUC welcomes the proposal for a social dialogue coordinator in each Commission directorate general and an enhanced involvement ahead of the Commission Work Programme.

Il sindacato EPSU, protagonista della controversia giudiziaria con la Commissione che abbiamo prima ricordato, in un breve Comunicato, mentre sembra valutare positivamente la proposta di Raccomandazione rivolta gli stati membri, sottolinea che rimane confuso il quadro istituzionale sovranazionale relativo al recepimento UE degli accordi collettivi sottoscritti dalle parti sociali il che rischia di indebolire e non poco l'azione collettiva [9].

Comunque ci si orienti l'iniziativa del 25 gennaio apre uno spazio importante per la riflessione individuale e collettiva sul tema “costituzionale” del dialogo sociale continentale nel suo rapporto con il modello sociale europeo e la Carta dei diritti, questione a lungo soffocata per le tante emergenze continentali.

La valorizzazione dell'Europa “orizzontale” costituita da reti sindacali, della società civile, di rappresentanza di interessi diffusi e professionali, di Comuni e Regioni, di forme di democrazia partecipativa diretta come quella sperimentata in larga scala per la prima volta dalla CoFoE etc. è comunque la risorsa prioritaria da utilizzare, in convergenza con l'organo parlamentare a mandato universale, per piegare la resistenza che oggi gli stati sembrano, sempre più, energicamente [10] opporre a un Progetto organico di rilancio e completamento del “progetto europeo”.

Giuseppe Bronzini

Note

[1] Cfr. G. Bronzini, Oltre la Dichiarazione di Porto, leggibile nel sito della Labour Law Community a Giuseppe Bronzini – Labour Law Community.

[2] La più discussa del quartetto è la sentenza Corte giust. CE 11 dicembre 2007, Viking line, C-438/2005 con la quale si sostiene l'illegittimità di un'azione di sciopero di solidarietà contro il cambio di bandiera di un traghetto da finlandese ad estone nella parte in cui risultasse mirato ad impedire questa operazione economica.

[3] Corte giust. UE 15 gennaio 2014, Association dé mediation sociale, C-176/2012.

[4] La prima del rifiuto di giustizia sulle politiche di austerità è la sentenza Corte giust. UE 27 novembre 2012, Pringle, C-370.

[5] F. Guarriello, La concertazione: prospettive euro unitarie, in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 2021, n. 4, 172 ss. Di segno certamente diverso appare la più recente sentenza in materia di partecipazione dei lavoratori nelle società europee, Corte giust. UE 18 ottobre 2022, IG Metall, C-677/2020.

[6] “Strengthening social dialogue in the European Union: harnessing its full power potential for managing fair transitions” in www.europeansources.info.

[7] In data.consilium.europa.eu.

[8] EU mainstreams social dialogue, 25 gennaio 2023, in www.etuc.org.

[9] Social Dialogue package – promising at national level, disappointing at EU level, Brussels, 26 gennaio 2023, in www.epsu.org.

[10] Si veda da ultimo l'avvenuta impugnazione della direttiva sul salario minimo da parte della Danimarca.