Le sorti del sequestro preventivo emesso su beni attratti alla massa fallimentare: la parola alle Sezioni Unite

28 Febbraio 2023

La terza Sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la seguente questione: se il fallimento di un debitore erariale, già colpito da sequestro preventivo, operi o meno quale causa ostativa alla operatività del provvedimento ablativo. Con l'occasione, la Corte procede alla ricostruzione dei diversi orientamenti giurisprudenziali registratisi sul punto nella giurisprudenza di legittimità.

Viene rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: «se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell'art. 12-bis, comma 1,D.Lgs. n. 74 del 2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato».

La vicenda oggetto dell'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite in commento trae origine dal rigetto, da parte del Tribunale, dell'istanza di dissequestro avanzata dalla curatela del fallimento di una società in nome collettivo, dichiarata fallita in epoca anteriore all'emissione del decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca ex art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000. In particolare, la curatela chiedeva la restituzione delle quote di capitale sociale e di un immobile oggetto di sequestro nei confronti dell'indagato per reati tributari, sostenendo che si trattasse di beni di cui quest'ultimo aveva ormai perso la disponibilità per effetto dell'intervenuto fallimento.

Avverso il provvedimento di rigetto da parte del Tribunale, è stato proposto quindi ricorso per cassazione, per violazione degli artt. 321 c.p.p., 42 l.fall. e art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000. In particolare, il ricorrente sostiene che l'inciso contenuto nel testo dell'art. 12-bis cit., che fa salvo il caso in cui i beni “appartengano a persona estranea al reato”, impedirebbe di aggredire quelli di cui il fallito sia stato spossessato, in favore della massa fallimentare, specie quando la sentenza dichiarativa di fallimento preceda temporalmente il decreto di sequestro.

La terza Sezione penale della Corte di Cassazione, investita del ricorso, ha rilevato in primo luogo l'esistenza di un “articolato dibattito giurisprudenziale, tuttora non sopito”, in merito al rapporto fra misure ablatorie penali e sottoposizione a procedura fallimentare del soggetto destinatario delle stesse.

La Corte procede quindi alla ricostruzione dei diversi orientamenti registratisi nella giurisprudenza di legittimità, muovendo dalla sentenza delle Sezioni Unite, con sentenza Cass. S.U. 26 settembre 2019 n. 45936, che ha riconosciuto al curatore fallimentare la legittimazione a chiedere la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca e ad impugnare i provvedimenti emessi in sede cautelare reale, così superando l'originaria impostazione secondo cui i provvedimenti cautelari reali su beni confluiti nella massa fallimentare resterebbero impermeabili rispetto alle vicende fallimentari. Nell'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite si dà tuttavia atto del persistente contrasto giurisprudenziale, che vede contrapposto l'orientamento secondo cui le misure ablatore penali sono destinate a prevalere sui diritti di credito vantati sui medesimi beni in seno alla procedura fallimentare (Cass. 9 febbraio 2017, n. 28077; Cass. 1 marzo 2016, n. 23907) e le decisioni che fondano invece sull'intervenuto spossessamento del fallito, con traslazione in capo al curatore della gestione dei beni, l'impossibilità di aggredirli in sede penale (Cass. 16 marzo 2022, n. 19862; Cass. 16 novembre 202, n. 47299).

Nel senso della prevalenza degli interessi pubblicistici, legati alla necessità che il dissesto dell'impresa fallita si propaghi tra i creditori e minacci le esigenze economiche della società, si è espressa ancor più di recente la Corte di Cassazione (Cass. 26 maggio 2022. n. 26275), assumendo altresì posizioni che la Sezione rimettente definisce “eclettiche”, in quanto ammettono la confisca di beni assoggettati alla procedura concorsuale, purché non si arrechi pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie (Cass. 20 settembre 2022, n. 37716).

La giurisprudenza di legittimità, come evidenziato nell'ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite, appare divisa anche in ordine alla rilevanza del carattere obbligatorio della confisca, con particolare riferimento alla materia tributaria, valorizzato in alcune pronunce (tra le altre Cass. 8 gennaio 2020, n. 15779) quale argomento a sostegno della prevalenza delle misure ablatorie rispetto alla procedura fallimentare. Tale soluzione è stata tuttavia disattesa dalla giurisprudenza successiva, che ha opposto la perdita di disponibilità dei beni da parte del falli,to quale ostacolo all'ablazione in sede penale e quindi al sequestro preventivo degli stessi, evidenziando che l'Erario assume nella procedura concorsuale una posizione analoga agli altri creditori, stante il principio della par condicio creditorum (Cass. 28 settembre 2021 n. 11068).

Alla luce, dunque, del descritto contrasto di orientamenti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione «se, in caso di fallimento dichiarato anteriormente alla adozione del provvedimento cautelare di sequestro preventivo, emesso nel corso di un procedimento penale relativo alla commissione di reati tributari, avente ad oggetto beni attratti alla massa fallimentare, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale, indagato o, comunque, soggetto inciso dal provvedimento cautelare, per effetto della apertura della procedura concorsuale operi o meno quale causa ostativa alla operatività del sequestro ai sensi dell'art. 12-bis, comma 1, D.Lgs. n. 74/2000, secondo il quale la confisca e, conseguentemente il sequestro finalizzato ad essa, non opera nel caso di beni, pur costituenti il profitto o il prezzo del reato, se questi appartengono a persona estranea al reato».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it