La sentenza in commento rimarca la distinzione tra i concetti di capacità lavorativa generica e di capacità lavorativa specifica.
Per capacità lavorativa generica si intende l'attitudine astratta della vittima a svolgere un lavoro. Tale capacità è comunemente ritenuta una componente del danno biologico e, pertanto, secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza non è autonomamente liquidabile. Sul punto, M. Rossetti ritiene che il concetto di capacità lavorativa generica sia ormai ampiamente desueto giacché lo stesso era stato elaborato quando la giurisprudenza riteneva irrisarcibile il danno non patrimoniale (cfr. M. Rossetti “Il danno alla salute”, parte I cap. IV, §§ 10 e ss.)
Per capacità lavorativa specifica si intende invece la capacità del soggetto danneggiato di svolgere la specifica attività lavorativa che esercitava prima del sinistro o quella che avrebbe potuto svolgere potenzialmente in base alle sue attitudini. A differenza della capacità lavorativa generica, la capacità lavorativa specifica attiene alla sfera del danno patrimoniale e consiste nel lucro cessante, ovvero nella riduzione del reddito conseguente ai postumi riportati dalla vittima.
Per ottenere il risarcimento, la vittima deve provare, anche in via presuntiva, di non poter più svolgere il lavoro che svolgeva in precedenza oppure quel lavoro che, verosimilmente, avrebbe avuto la concreta possibilità di svolgere(cfr. Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2021, n. 32649; Cass. civ., sez. III, 9 novembre 2020, n. 24987 sulla prova del danno da incapacità lavorativa specifica).
Se il confine tra i due istituiti sembra chiaro a parole, nella prassi non è però sempre così agevole tracciare una distinzione. Invero, nel caso oggetto della sentenza commentata, secondo la Corte di Cassazione, la Corte d'Appello aveva frainteso un passaggio della consulenza tecnica d'ufficio, in cui il perito aveva fatto riferimento alla impossibilità per il minore “una volta diventato adulto” di “lavorare in contatto con le polveri ne avrebbe potuto svolgere attività subacquea o di pilota per la necessità di evitare brusche variazioni barometriche”.
Anche se il consulente tecnico d'ufficio aveva individuato alcuni settori specifici in cui il minore non avrebbe potuto lavorare in futuro, la Suprema Corte ha ritenuto nella sentenza in commento che, trattandosi di un soggetto minorenne non lavoratore, egli non potesse dimostrare ancora “le proprie effettive inclinazioni e potenzialità”e, pertanto, l'indicazione del consulente tecnico doveva essere interpretata come attinente alla capacità lavorativa generica.
La pronuncia della Corte di Cassazione escluderebbe quindi la risarcibilità del danno da perdita della capacità lavorativa in favore dei soggetti minorenni, che non svolgono un'attività lavorativa e che, a causa della precoce età, non possono quindi nemmeno provare quale attività lavorativa avrebbero potuto svolgere un domani.
In altre pronunce, tuttavia, la Corte di Cassazione aveva riconosciuto il danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica anche in favore del soggetto minorenne, che non svolga attività lavorativa, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto come l'età dell'infortunato, il suo ambiente sociale e la sua vita di relazione (Cass. civ., 15 aprile 1996, n. 3539).
Secondo questo indirizzo, il giudice potrebbe valutare le vocazioni manifestate dal minore (tipo di studi, capacità, meritevolezza, interessi) e individuare l'area lavorativa verso cui il minore si sarebbe presumibilmente indirizzato (M. Rossetti, Il danno alla salute, cap. 1, parte II, §§10).
In questo senso si può citare una recente sentenza della Corte d'Appello di Ancona che ha infatti affermato: “Il risarcimento del danno patrimoniale futuro, ove il danneggiato sia un minore, non può consistere nella incapacità lavorativa specifica, ma solo nella lesione della capacità lavorativa generica e richiede necessariamente una valutazione prognostica. Tale pregiudizio, pertanto, potrà essere risarcito se possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe diversamente conseguito ove non fosse rimasta vittima dell'infortunio. La relativa prognosi deve avvenire, in primo luogo, in base agli studi compiuti e alle inclinazioni manifestate dalla vittima: in secondo luogo, sulla base della condizione economico-sociale della famiglia.” (Corte App. Ancona, 29 ottobre 2019, n.1542).
La questione è ancora più controversa quando si abbassa ulteriormente l'età del soggetto danneggiato.
Qualora infatti la vittima frequenti un istituto superiore, è possibile ipotizzare in che ambito lavorativo avrebbe potuto collocarsi. Tuttavia, più l'età si abbassa e, soprattutto, nel caso del neonato che riporti un danno durante il parto, come quello oggetto della sentenza in commento, come si può ipotizzare il lavoro che egli avrebbe svolto?
Sul punto, si può citare una sentenza della Cassazione che, nel 2018, ha riconosciuto il danno alla capacità lavorativa specifica in favore del neonato affermando: “Il danno da riduzione della capacità di guadagno subito da un minore in età scolare, in conseguenza della lesione dell'integrità psico-fisica, può essere valutato attraverso il ricorso alla prova presuntiva allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro il danneggiato percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'evento lesivo, tenendo conto delle condizioni economico-sociali del danneggiato e della sua famiglia e di ogni altra circostanza del caso concreto. Ne consegue che ove l'elevata percentuale di invalidità permanente renda altamente probabile, se non certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno ad essa conseguente, il giudice può accertare in via presuntiva la perdita patrimoniale occorsa alla vittima e procedere alla sua valutazione in via equitativa, pur in assenza di concreti riscontri dai quali desumere i suddetti elementi. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto insussistente la prova del danno alla capacità di produrre reddito di un minore in età scolare che aveva subìto gravissime lesioni alla nascita dalle quali gli era derivata un'invalidità permanente pari al 52%)”.
È evidente che, in questi casi, la capacità lavorativa specifica debba essere apprezzata in via assolutamente astratta col concreto rischio di tradursi, di fatto, nel valutare piuttosto l'astratta attitudine del soggetto al lavoro, ovvero la capacità lavorativa generica.
La sentenza oggetto del presente commento sembra proprio dar voce a tale criticità evidenziando come non sia possibile prevedere quale attività lavorativa avrebbe svolto un neonato.
D'altronde, l'orientamento giurisprudenziale che invece ammette il risarcimento del danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica anche in favore del neonato ricorre a criteri molto generali per la sua liquidazione, come ad esempio il triplo della pensione sociale ex art. 137 cod. ass. se il danno è stato causato da un sinistro stradale (cfr. Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2008, n. 24331), incorrendo nel rischio di sovrapporre i concetti di capacità lavorativa generica e specifica.