Il mantenimento del figlio maggiorenne nel confronto tra contrapposte esigenze
02 Marzo 2023
Massima
Va disposta la revoca dell'obbligo di mantenimento del figlio ultraquarantenne non economicamente autosufficiente allorchè, in virtù della condotta tenuta dallo stesso, il permanere del suddetto obbligo sia privo di giustificazione sia in relazione al perseguimento di un valido progetto educativo e di formazione, che in ragione delle condizioni economiche del genitore. La valutazione di siffatte circostanze andrà compiuta non solo facendo riferimento a fatti del tutto nuovi, mai addotti in precedenza, ma anche in ragione del normale evolversi nel tempo di quelli già esaminati. Il caso
A seguito di apposito ricorso, il Tribunale di Pescara accertava lo status di figlia nata fuori dal matrimonio della ricorrente, condannando il padre della stessa a corrispondere alla madre la complessiva somma di € 80.000,00 a titolo di oneri di mantenimento pregressi e riconoscendo in favore della figlia, trentaseienne, la somma mensile di € 1.000,00 per il suo mantenimento. Tale ultimo importo veniva quantificato nella diversa misura di € 2.000,00 mensili a seguito di gravame proposto innanzi la Corte di Appello di L'Aquila dalla figlia dell'obbligato. Diversi anni dopo la definizione del giudizio innanzi indicato, ritenendo sussistenti i presupposti per addivenire alla modifica delle citate statuizioni, l'onerato proponeva, innanzi al Tribunale di Bologna, ricorso ex art. 337-quinquies c.c., adducendo, a sostegno della formulata richiesta, innanzitutto l'atteggiamento inerte della figlia che, nonostante le ingenti somme percepite a seguito del riconoscimento del suo status, non era riuscita a intraprendere alcuna attività lavorativa, sperperando le risorse ricevute per l'acquisto di un immobile in una località balneare. Al contempo, il ricorrente evidenziava la riduzione delle sue capacità economiche e reddituali conseguenti alla cessazione dell'attività imprenditoriale sino ad allora svolta e al suo collocamento in pensione, alla vendita di immobili di sua proprietà al fine di poter provvedere al suo sostentamento e alla corresponsione di un rilevante importo in favore della ex moglie a titolo di una tantum, come pattuito nelle condizioni per separazione consensuale tra gli stessi intercorsa. Il Tribunale adito rigettava la formulata richiesta poiché, a suo dire, fondata su questioni già esaminate dalla Corte di Appello di L'Aquila in sede di quantificazione del mantenimento dovuto alla figlia e, dunque, prive di quel carattere di novità che può giustificare la modifica delle statuizioni in precedenza assunte, o, comunque, su circostanze non documentate o irrilevanti. Avverso la citata pronuncia l'obbligato proponeva reclamo, ponendo l'accento non solo sull'ulteriore peggioramento delle sue condizioni economiche - intervenuto nelle more del giudizio, come attestato dal fatto che l'unico bene immobile rimasto di sua proprietà era improduttivo di reddito in quanto danneggiato dal terremoto, oltre ad essere stato pignorato dalla resistente - ma anche sull'ulteriore incremento dell'età della figlia, ormai ultraquarantenne, a cui si contrapponeva la sua situazione personale, in quanto ottantaquattrenne e in precarie condizioni di salute. La Corte di Appello di Bologna, condividendo le motivazioni espresse in primo grado circa la mancata deduzione di nuove circostanze su cui fondare la revisione dell'assegno di mantenimento e ravvisando, in ogni caso, la genericità e la carenza di validi supporti probatori nei fatti addotti, rigettava il proposto reclamo. Detta sentenza veniva impugnata innanzi la Suprema Corte Cassazione mediante la formulazione di vari motivi di ricorso, tutti incentrati sulla erronea e/o omessa valutazione da parte della Corte territoriale di un fattore decisivo ai fini della risoluzione della controversia, ossia l'incremento anagrafico delle parti rispetto alla sussistenza dell'obbligazione di mantenimento. Secondo la prospettazione fornita dal ricorrente, detto aspetto, oltre a non essere affatto trascurabile, era al contempo dotato di quel grado di novità tale da poter condurre ad una revisione della precedente statuizione stante il lasso di tempo, ben sette anni, intercorso tra le due pronunce. Tale motivo di censura veniva accolto dai giudici di legittimità che, anche sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale formato sul punto, ritenevano fondato il ricorso disponendone il rinvio alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione, per la modifica della decisione impugnata e per la statuizione sulle spese di giudizio.
La questione
La questione esaminata dalla Corte nella pronuncia in esame attiene alla valutazione delle condizioni che possono giustificare la modifica del contributo al mantenimento per i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, che sempre più spesso viene affrontata dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità. Le soluzioni giuridiche
Con il proposto ricorso, l'istante lamentava l'errata valutazione compiuta, sia in primo che in secondo grado, circa l'insussistenza delle condizioni legittimanti la revoca dell'assegno di mantenimento, a suo tempo, riconosciuto in favore della figlia. Secondo la prospettazione attorea, infatti, i nuovi elementi che possono fondare la richiesta di modifica dell'obbligazione in esame non sono solo quelli mai valutati in precedenza ed introdotti per la prima volta contestualmente alla richiesta stessa, ma anche quelle circostanze che, pur se preesistenti al giudizio, in relazione al dinamismo che caratterizza l'evolversi delle condizioni di vita personali, finiscono per acquisire, con il passare del tempo, una diversa valenza giuridica. Tale principio di diritto è stato addotto dal ricorrente in relazione all'età della figlia, poiché, a suo dire, se la sua condizione di non autosufficienza economica appariva meritevole di tutela al momento del riconoscimento del contributo per il suo mantenimento, pur se all'epoca dei fatti era già trentaseienne, con il passare del tempo detta situazione ha finito per perdere valenza, soprattutto se posta in relazione al mancato impegno da parte della stessa a rinvenire un'occupazione, oltre che al contestuale incremento dell'età dell'obbligato e al suo mutamento delle condizioni reddituali. Siffatta censura è stata considerata meritevole di accoglimento da parte della Corte che, richiamando l'orientamento formatosi sul punto, ha ribadito la necessità che la permanenza dell'assegno di mantenimento a favore dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti sia supportata dalla congrua valutazione delle circostanze esistenti nel caso concreto, da compiersi alla luce di criteri tanto più rigorosi quanto maggiore è l'età del beneficiario, fermo restano, tuttavia, che lo stesso “non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempopoiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità e inclinazioni e (purchè compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni” (Cfr. Cass. civ. 14 agosto 2020, n. 17183). Rispetto a tale impianto del tutto ininfluenti sono state considerato, invece, il tardivo riconoscimento dello status di figlia della beneficiaria, conseguente ad una pronuncia resa dall'Autorità giudiziaria nel 2016 e, quindi solo al trentaseiesimo anno di età della stessa, in quanto da tale momento il padre ha assolto l'obbligo di mantenimento posto a suo carico, versando rilevanti somme alla madre per il mantenimento pregresso della figlia. Osservazioni
L'obbligo del mantenimento dei figli da parte dei genitori trova il suo fondamento nelle disposizioni concernenti la responsabilità genitoriale, il cui esercizio, nella nuova veste assunta dall'istituto a seguito della riforma della filiazione, non è sottoposto ad alcun limite temporale, permanendo, in virtù del tenore letterale dell'art. 337-septies c.c., il dovere di cura, istruzione e assistenza sin quando ne ricorrano le condizioni. Per effetto di tale inciso, la sussistenza dell'obbligo in questione è da intendersi slegato rispetto all'età del figlio, dovendo, invece, essere ancorato a circostanze differenti, individuate, dall'orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, al raggiungimento di un livello reddituale adeguato alla professionalità conseguita. Tuttavia, al fine di attuare il giusto contemperamento tra le opposte esigenze, ossia quelle dei figli a terminare il periodo formativo e di rinvenire un'occupazione adeguata, e dei genitori a non essere obbligati sine die al mantenimento dei ragazzi, la Suprema Corte, nel ribadire l'irrilevanza dell'età del figlioai fini della permanenza dell'obbligo contributivo, ha finito per riconoscere valenza al comportamento specifico tenuto da quest'ultimo, soprattutto in relazione a quelle ipotesi in cui il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito consegua a un atteggiamento di inerzia, ovvero di rifiuto ingiustificato da parte del beneficiario dell'emolumento rispetto a offerte di lavoro adeguate (Cass. civ. 17 luglio 2019, n. 19135). Si tratta di un accertamento da compiere non in astratto ma sulla base del concreto apprezzamento della fattispecie in esame e del comportamento tenuto dal figlio, da valutarsi con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all'età dei beneficiari, nel cui ambito verranno in rilievo vari aspetti, quali l'età, l'effettivo conseguimento di un livello di competenza tecnica e professionale, l'impegno rivolto alla ricerca di una occupazione, nonché la condotta complessiva tenuta dal figlio (Cass. civ. 5 marzo 2018, n. 5088). Inoltre, nel tentativo di individuare un'età presuntiva per la cessazione dell'obbligo al mantenimento del figlio, la giurisprudenza interna, in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed Europee, la individua nel raggiungimento del 34 anno di età, poiché da quel momento in poi il figlio stesso potrà avanzare le pretese riconosciute all'adulto (Cfr Trib. Milano 29 marzo 2016; Trib. Modena 1 febbraio 2018). |