Residenza abituale del minore
06 Marzo 2023
Inquadramento
La nozione di residenza trova espressa menzione codicistica nell'art. 43 c.c. che ne definisce i contorni e precisa che «La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Tale enunciazione si integra e completa con la nozione di domicilio, contenuta nel comma 1 dello stesso art. 43 c.c.. La residenza alla quale si fa usuale riferimento è quella anagrafica, quanto a dire quella conforme alle risultanze dei registri anagrafici di ogni Comune (secondo le dichiarazioni di cui all'art. 13, comma 1, d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) ma a fianco di questa, attestata dai certificati rilasciati dall'autorità amministrativa e oggetto di continuo aggiornamento su iniziativa della parte interessata, assume rilievo la residenza di fatto: si tratta di una nozione fondata non sulla corrispondenza tra la situazione effettiva e quella emergente dai registri della popolazione residente, bensì sulla prevalenza che assume la realtà del contesto abituale di vita rispetto a quanto invece risulta in via documentale e amministrativa. La residenza di una persona fisica assume rilievo in una molteplicità di ipotesi contemplate dall'ordinamento, così che, ad esempio, vi si fa riferimento ai fini delle pubblicazioni matrimoniali (art. 94 c.c.); la residenza della famiglia (art. 144 c.c.) deve essere concordata e fissata dai coniugi anche quale espressione del comune indirizzo della vita familiare; il trasferimento di residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge (art. 44 c.c. e art. 31 disp. att. c.c.); si parla di residenza fiscale ai fini dell'assoggettamento del contribuente al potere impositivo dello Stato (art. 2, comma 2, d.P.R. n. 917/1986, alla luce, tra l'altro, dell'interpretazione espressa da Cass., 7 novembre 2001, n.13803); le notifiche degli atti giudiziari e amministrativi devono di regola essere effettuate presso la residenza dei soggetti destinatari. La nozione di residenza inerisce, quindi, a profili di diritto sia sostanziale sia processuale. Attraverso il richiamo alla nozione di residenza di fatto l'ordinamento si prefigge di garantire che colui che è convenuto in giudizio abbia, attraverso la notifica dell'atto introduttivo, effettiva conoscenza di quest'ultimo ricevendolo nel luogo conosciuto come stabile e principale centro dei propri interessi. Infatti, principio consolidato è quello in forza del quale, ai fini della determinazione del luogo di residenza o dimora del destinatario della notificazione, rileva esclusivamente il luogo ove questi dimora di fatto in modo abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo essere superate, in quanto tali, da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, affidata all'apprezzamento del giudice di merito (Cass. civ,sez. lav., 20 settembre 2019, n. 23521, Cass.,sez. III, 3 agosto 2017, n. 19387). La residenza, sia anagrafica sia di fatto, e il domicilio della persona fisica rappresentano dunque il principale criterio cui attenersi ai fini dell'individuazione della competenza territoriale laddove un soggetto (attore/ricorrente) intenda promuovere un giudizio innanzi a una autorità giudiziaria nei confronti di altro soggetto (convenuto/resistente), con onere di instaurazione di rituale contraddittorio: la residenza, o il domicilio, del convenuto è criterio generale (art. 18 c.p.c.) per l'individuazione del foro competente. A fianco del foro generale delle persone fisiche, il codice di rito prevede in via espressa altri fori in dipendenza della natura e dell'oggetto delle controversie (artt. 19 –30-bis c.p.c.) e, in particolare, un foro facoltativo, altrettanto valido, in tema di obbligazioni pecuniarie (art. 20 c.p.c.) per le quali assumono rilievo il luogo in cui è sorta l'obbligazione e quello in cui l'obbligazione medesima deve essere eseguita, cioè il c.d. foro del creditore. La residenza abituale del minore
Un soggetto minorenne è, fatti salvi i casi di affido a terzi e di nomina di un tutore, sempre inserito nello stato di famiglia dei genitori o, quantomeno, in quello di un genitore, dal momento che anche per i coniugi a far data dalla Novella del 1975 non sussiste più l'obbligo di una comune residenza (art. 45 c.c., nella previgente formulazione colpito dalla dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza Corte cost., 14 luglio 1976, n. 171): la sua residenza si ricava, quindi, dallo stato di famiglia all'interno del quale è inserito e trova riscontro nei certificati anagrafici aggiornati, dal momento che, se i genitori sono separati o divorziati o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive (comma 2 dell'articolo citato). Ciò nondimeno, quando vi siano figli minori ciascuno dei genitori è tenuto (art. 337-sexies, comma 2, c.c.) a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio e la mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno: la libertà dei genitori incontra, dunque, un limite nell'interesse della prole minore e del genitore con lo stesso convivente, sia quale affidatario sia in qualità di mero collocatario, a che l'altra figura genitoriale sia sempre reperibile e possa essere agevolmente raggiunta. Secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, si intende per residenza abituale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale del minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, dove il minore ha il centro dei propri legami affettivi non solo parentali, derivanti dallo svolgimento in tale località della quotidiana vita di relazione (Cass. civ., sez. un., 19 aprile 2021, n. 10243). Occorre avere riguardo non solo alle risultanze anagrafiche, ma al modus vivendi del minore, al suo effettivo radicamento in un ambiente di vita, caratterizzato da relazioni, abitudini, interessi, quotidianità, alla condizione di stabilità complessiva, all'effettivo inserimento nel contesto sociale in cui si sviluppa la sua personalità, essendo il luogo in cui risiede elemento centrale della vita. I giudici di legittimità hanno evidenziato che all'accertamento del luogo in cui il minore ha la residenza abituale al momento della domanda concorrono una pluralità di indicatori da valutarsi anche in chiave prognostica, al fine di individuare, insieme al luogo idoneo a costituire uno stabile centro di vita ed interessi del minore, il giudice che, alle condizioni in essere al momento della domanda, possa dare migliore risposta alle correlate esigenze, ferme quelle di certezza e garanzia di effettività della tutela giurisdizionale che nella regola sulla competenza trovano espressione (Cass. civ., sez. VI, 07 giugno 2021, n. 15835). In relazione al luogo di residenza abituale, non può farsi riferimento ad un dato meramente quantitativo, rappresentato dalla prossimità temporale del trasferimento di residenza e dalla maggiore durata del soggiorno in altra città, essendo, invece, necessaria una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l'effettivo e stabile centro d'interessi del minore (Cass. civ., sez. VI, 26 maggio 2022, n. 17089). L'art. 473-bis.11 c.p.c. prevede, in attuazione del principio di delega di cui all'art. 1, comma 23, lett. d), l. n. 206/2021, che tutti i procedimenti - instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 - in cui debbano essere assunti provvedimenti a tutela del minore spettino alla competenza del tribunale nel cui circondario il minore abbia la residenza abituale (definita nella legge delega come il “luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda”). Anche l'art. 473-bis.47 c.p.c. ribadisce, con riferimento alle domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell'unione civile e regolamentazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché quelle di modifica delle relative condizioni, la competenza del tribunale nel cui circondario il minore abbia la residenza abituale. Tali disposizioni costituiscono espressione dei principi sovranazionali in materia (Reg. UE 1111/2019; Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori conclusa all'Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101) e di quelli ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità. Va evidenziato che, a differenza di quanto previsto dal novellato art. 38 disp. att. c.p.c. in ordine al riparto di competenze tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario, in tema di competenza territoriale non vi è alcuna disciplina specifica e che, dunque, non è espressamente prevista né la possibilità per il giudice di emettere, in ogni caso, e dunque anche contestualmente alla declaratoria di incompetenza, gli opportuni provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse del minore, come previsto dal nuovo art. 473-bis.22 c.p.c., né l'ultrattività dei provvedimenti emessi dal giudice incompetente. Pertanto, dovrebbe farsi riferimento alla ordinaria disciplina della incompetenza con riassunzione del giudizio ad iniziativa di parte, anche qualora siano stati emessi contestualmente provvedimenti provvisori ed urgenti. Secondo altra impostazione l'esigenza di scongiurare vuoti di tutela incompatibili con la protezione dei minori, che si realizzerebbero con il richiamo alla ordinaria disciplina per la dichiarazione di incompetenza, suggerirebbe l'opportunità di una applicazione analogica di quanto previsto dall'art. 38 disp. att. c.c. con la conseguente “trasmigrazione” anche d'ufficio del fascicolo al giudice competente previa adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti nell'interesse del minore i quali conserverebbero la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento del giudice competente. Del resto un meccanismo analogo è stato previsto anche dall'art. 15 del Reg. UE 1111/19 che, oltre a prevedere al primo paragrafo la possibilità per le autorità giurisdizionali dello Stato membro incompetente di emettere provvedimenti provvisori in caso di urgenza, ha anche stabilito che «l'autorità giurisdizionale che ha disposto i provvedimenti di cui al paragrafo 1 del presente articolo, ne informa senza ritardo l'autorità giurisdizionale o l'autorità competente dello Stato membro competente ai sensi dell'articolo 7 oppure, se del caso, un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro che eserciti la competenza ai sensi del presente regolamento a conoscere del merito, direttamente a norma dell'articolo 86 o tramite le autorità centrali designate a norma dell'articolo 76» (paragrafo 2). Tale comunicazione appare evidentemente funzionale a mettere il giudice competente per il merito in condizione di adottare i provvedimenti appropriati che, a quel punto, si sostituiranno a quelli emessi, in via provvisoria dal giudice “cautelare” (paragrafo 3). Trasferimento non autorizzato del minore: individuazione del giudice competente
La residenza abituale del minore, da intendersi dunque come luogo in cui questi ha stabilito il centro prevalente dei suoi interessi e affetti, costituisce uno, e forse il principale, degli affari essenziali (art. 145, comma 2, c.c.) che riguardano il minore, tanto che, per espressa previsione normativa, tale luogo deve essere deciso dai genitori sulla base di un accordo (art. 316, comma 1, c.c.) e, in caso di persistente e insuperabile contrasto, dal giudice. La previsione non muta (art. 337-ter, comma 3, c.c.) neppure nell'ipotesi di affidamento monogenitoriale, atteso che l'ordinamento positivo attribuisce ad entrambi i genitori le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e, appunto, alla scelta della residenza abituale del minore. Unica deroga a detto regime di contitolarità del potere di decisione, come espressione della responsabilità genitoriale ad entrambi spettante, si può rinvenire nel caso di affidamento ad un solo genitore previsto dall'art. 337-quater, comma 3, c.c. che consente al giudice, anche d'ufficio, di statuire quello che è stato definito affidamento superesclusivo, come tale comportante una netta concentrazione di competenze in capo ad un solo genitore e la persistente titolarità nell'altro di un potere di mera vigilanza e di impulso laddove riscontri che siano state adottate (unilateralmente) decisioni pregiudizievoli all'interesse del minore. Da qui discende il principio secondo il quale, fatta eccezione per tale ultima modalità di affidamento, un trasferimento unilaterale della residenza del minore, quanto a dire non previamente concordato e, ancor di più, realizzato con l'opposizione dell'altro genitore, integra un illecito suscettibile di dar corso ad interventi giudiziali per porvi rimedio. Sul piano processuale il trasferimento attuato senza accordo della coppia genitoriale, dunque illecitamente, non vale in linea di principio a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il minore è stato unilateralmente condotto, atteso che una contraria opzione finirebbe con l'avere valenza premiale proprio nei confronti dell'autore della condotta illecita e, inoltre, consentirebbe a quest'ultimo di “scegliere” l'autorità giudiziaria da investire della controversia (quasi integrando una fattispecie riconducibile al deprecabile fenomeno del c.d. forum shopping). La giurisprudenza della S.C. già da tempo ritiene che sul piano processuale il trasferimento del minore attuato senza accordo della coppia genitoriale, dunque illecitamente operato, non vale in linea di principio a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il minore è stato unilateralmente condotto (Cass. civ., sez. VI, 20 ottobre 2015, n. 21285; Cass. civ., sez. un., 28 maggio 2014, n. 11915): la tutela del genitore che subisce il trasferimento unilaterale è, dunque in linea di principio, integra, in quanto il trasferimento così connotato è inidoneo a modificare il criterio di collegamento della competenza territoriale e resta, dunque, dotato di potestas decidendi il Tribunale del luogo in cui il minore viveva abitualmente. Proprio al fine di disincentivare i trasferimenti non autorizzati del minore e le forme di “forum shopping”, il legislatore della riforma ha previsto che, in caso di trasferimento non autorizzato della residenza del minore, lo stesso non sia idoneo a radicare la competenza del giudice civile presso il tribunale nel cui circondario si trova il comune di nuova residenza, ma permanga una sorta di "ultrattività" del giudice naturale del luogo dove il minore aveva in precedenza la propria residenza abituale (art. 473-bis.11, comma 1, c.p.c.). Tale criterio, in quanto non rispondente alla realtà fattuale, non può ovviamente avere una durata sine die, per simmetriche e speculari esigenze di certezza e stabilità: per questo motivo si è stabilito che il genitore che intenda opporsi all'attuato trasferimento deve agire entro un anno, poiché diversamente la mancata attivazione del giudizio costituisce un comportamento inequivocabile di successiva acquiescenza implicita verso l'attuato trasferimento. La residenza abituale e la competenza giurisdizionale
Convenzioni internazionali e Regolamenti CE prevedono il costante e primario riferimento alla residenza abituale (artt. 3 e 7 Regolamento CE 25 giugno 2019, n. 1111/2019 in vigore dal 1° agosto 2022). In particolare, l'art. 7 Reg. n. 111/2019– così come il previgente art. 8 Reg. n. 2201/2003 - attribuisce competenza giurisdizionale generale, per le domande relative alla responsabilità genitoriale su un minore, alle autorità dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente, con l'effetto che può persino verificarsi una marcata parcellizzazione di competenze tra vari Stati nell'ambito di un medesimo giudizio: può, in altre parole, verificarsi che il giudice di uno Stato sia competente per la decisione in materia di separazione o divorzio ma debba declinare la giurisdizione per quanto afferente l'affidamento del minore figlio della coppia (Cass., S.U., 2 ottobre 2019, n. 24608; Cass., S.U., 02 maggio 2019, n.11583; Cass., S.U.,18 marzo 2016,n. 5418 che valorizza, ai fini della concreta individuazione della residenza abituale del minore al momento della domanda, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto; conforme, Cass., S.U., 13 febbraio 2012, n. 1984). Sarà, di conseguenza, possibile accertare che la residenza abituale effettiva è diversa da quella anagrafica e si colloca in uno Stato differente rispetto a quello in cui il minore risulta inserito nei registri della popolazione, atteso che il dato sostanziale prevale su quello meramente formale. E, invero, anche ai fini del procedimento monitorio previsto dalla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980 (resa esecutiva in Italia con la l. n. 64/1994), per il ritorno del minore presso l'affidatario al quale è stato sottratto, la nozione di "residenza abituale" posta dalla Convenzione non coincide con quella di "domicilio" (art. 43, comma 1, c.c.), né con quella, di carattere formale, di residenza scelta d'accordo tra i coniugi (art. 144 c.c.), ma corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa farsi riferimento al luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, abbia il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione (Cass. 14 dicembre 2017, n. 30123), con la necessaria e complementare precisazione che l'eventuale diritto soggettivo del genitore di pretendere una diversa collocazione del figlio non potrà che essere esercitato in un diverso e autonomo procedimento. Sempre in tema di giurisdizione, nè il Regolamento CE 25 giugno 2019, n. 1111/2019 nè il Reg. CE 27 novembre 2003, n. 2201 derogano alla citata Convenzione internazionale - in base alla quale la decisione sull'istanza di rientro nel luogo di residenza del minore illecitamente trasferito spetta all'autorità competente del Paese in cui si trova - ma prevedono la conservazione, per un periodo di tempo limitato, della competenza giurisdizionale dello Stato membro in cui il minore aveva la residenza abituale prima del trasferimento, a condizione che sia tempestivamente presentata e successivamente accolta un'istanza di rientro. Ne consegue una fase di sdoppiamento della competenza giurisdizionale sul rientro e sull'affidamento, tesa a garantire, da un lato, che la decisione sul rientro sia assunta dal giudice del luogo in cui il minore si trova, in base al criterio di prossimità e di possibilità di ascolto, e, dall'altro, a impedire che la sottrazione illecita del minore favorisca, con lo spostamento della giurisdizione, il suo autore. È, così, agevole rilevare come numerosi siano gli arresti giurisprudenziali afferenti il tema della giurisdizione, in particolare con riferimento all'applicazione della Convenzione de L'Aja e del Regolamento CE, dal momento che «in caso di trasferimento illecito o mancato rientro del minore, l'autorità giurisdizionale dello Stato membro, nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro, conserva la competenza giurisdizionale fino a che il minore non abbia acquisito la residenza abituale in un altro Stato membro» (art. 9, par. 1 Reg. n. 1111/2019, art. 10, par. 1, Reg. n. 2201/2003, art. 8 Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980). La S.C. ha all'uopo chiarito che, in tema di giurisdizione sulle domande relative alla responsabilità genitoriale in ambito UE, ove il minore, condotto all'estero con il consenso di entrambi i genitori, non rientri nello Stato di residenza abituale per decisione di uno solo di essi, è prorogata la giurisdizione dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del mancato rientro, sempre che non sussistano le condizioni indicate nell'art. 10 del Regolamento (CE) n. 2201 del 2003 – trasfuso nell' art. 9, par. 1 Reg. n. 1111/2019 - fermo restando che, ai fini dell'applicazione della lett. b) di tale articolo - il quale, a determinate condizioni, attribuisce rilievo al soggiorno del minore per almeno un anno nello Stato in cui è trattenuto - non si può tenere conto della permanenza successiva alla data della proposizione della domanda, dovendosi dare applicazione al principio della "perpetuatio jurisditionis", contemplato (oltre che dal nostro ordinamento, anche) dal menzionato Regolamento, come si evince dalla disciplina generale, contenuta all'art. 8, comma 1, dello stesso (Cass., S.U., 5 novembre 2019, n. 28329).Infatti (Cass.S.U. 02 agosto 2011, n. 16864), in tema di giurisdizione sui provvedimenti de potestate, l'art. 1 Convenzione de L'Aja attribuisce rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all'atto dell'introduzione del giudizio, non consentendo il mutamento della competenza in ossequio al diverso principio di prossimità, poiché questo è evocabile solo in tema di competenza interna: pertanto, in caso di trasferimento di un minore (si trattava, nella specie, di un minore trasferito dalla Svizzera all'Italia) permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorché l'autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d'urgenza. La S.C. ha poi chiarito che, in tema di sottrazione internazionale da parte di uno dei genitori del figlio minore, la sua "residenza abituale" deve essere determinata tenendo conto di tutti i dati che presenta la fattispecie concreta, avuto riguardo, tra l'altro, sia alla durata della permanenza presso uno dei genitori che ai motivi che hanno determinato lo spostamento dalla precedente residenza, avendo tali motivi importanza tanto minore quanto più lunga è la durata della permanenza (Cass., sez. I, 02 novembre 2022, n. 32194). Di talchè ove la valutazione in ordine alla residenza abituale sia stata compiuta senza tenere in considerazione i due elementi predetti, l'esame di tutte le altre circostanze non è nel suo complesso idoneo a formare una prova presuntiva in ordine all'abitualità della residenza del minore, per difetto dei requisiti di gravità, precisione e concordanza fissati dall'art. 2729 c.c. (Cass., sez. I, 22 novembre 2021, n. 35841). E, sempre in tema di sottrazione internazionale illecita di minori (Cass.,sez. I, 17 febbraio 2021, n. 4222; Cass., sez. I, 08 febbraio 2016, n.2417), il giudice italiano può considerare gli inconvenienti per la condizione del minore, connessi al suo prospettato rientro nello Stato di residenza abituale, solo se raggiungano il grado del pericolo fisico o psichico o dell'effettiva intollerabilità, trattandosi delle uniche condizioni ostative al rientro ai sensi dell'art. 13, lett. b), della Convenzione. Il relativo accertamento costituisce indagine di fatto sottratta al controllo di legittimità se la ponderazione del giudice di merito è sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici. Punto centrale rimane, dunque, ancora una volta quello dell'accertamento dell'effettivo interesse del minore, unico criterio la cui applicazione può prevalere su quello, altrettanto codificato, della tutela a che il medesimo non sia allontanato dalla sua residenza abituale per unilaterale volontà di un genitore, fattispecie da stimarsi illecita sulla base della presunzione (Cass., 23 gennaio 2013, n. 1527) secondo la quale l'interesse del minore coincide con quello di non essere allontanato o di essere immediatamente ricondotto nel luogo in cui si svolge la sua abituale vita quotidiana. Proprio nell'ottica di garantire the best interest of child, la S.C. ha rimarcato che, in tema di illecita sottrazione internazionale di minori, costituisce situazione ostativa all'ordine di rientro la volontà contraria al rientro manifestata dal minore, non essendo consentito al tribunale per i minorenni di ignorarla o di opporvi immotivatamente una valutazione alternativa operata in astratto sulla base della relazione con il genitore con il quale egli dovrebbe vivere in esito al rientro, quando abbia raggiunto un'età e un grado di maturità tali da giustificare il rispetto della sua opinione (Cass., sez. I, 01 luglio 2022, n. 21055; Cass., sez. I, 8 aprile 2019, n. 9767).
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