“Frodi carosello” IVA: le linee guida della CGUE sull'onere probatorio a carico del fisco e sulla diligenza richiesta al cessionario

Riccardo Guida
06 Marzo 2023

In materia di “frodi carosello” IVA, spetta all'amministrazione tributaria individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode, fornire la prova della condotta fraudolenta, e dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente alla frode o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione per la quale invoca il diritto alla detrazione si iscriveva in un'evasione dell'imposta.
I principi affermati

Per la direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune dell'IVA, l'autorità tributaria che intende negare il diritto alla detrazione dell'IVA assolta a monte al soggetto passivo che ha partecipato a una frode carosello non può limitarsi a stabilire che tale operazione si iscrive in una catena di fatturazione circolare, ma, da un lato, deve individuare, con precisione, gli elementi costitutivi della frode e le condotte fraudolente e, dall'altro, deve dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione per la quale è invocata la detrazione dell'IVA si inserisce in detta frode. La direttiva 2006/112, in combinato disposto con il principio di proporzionalità, in presenza di indizi dell'esistenza di irregolarità o di una frode, non osta a che sia richiesto al soggetto passivo di dar prova di una maggiore diligenza, ma non si può pretendere che egli proceda alle verifiche complesse e approfondite che competono all'amministrazione finanziaria. Spetta al giudice nazionale valutare se, alla luce delle circostanze del caso di specie, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e di avere adottato le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere in tali circostanze.

Il fatto e le questioni pregiudiziali

La società Aquila Part Prod Com SA (in seguito: “Aquila Part” o “la società”), con partita IVA in Ungheria, che svolge attività di intermediario per il commercio all'ingrosso di prodotti alimentari, ha impugnato dinanzi alla Corte di Budapest quattro decisioni dell'autorità tributaria che negavano la sua richiesta di rimborso IVA, per il periodo agosto/novembre 2012, sul rilievo che essa, quale soggetto passivo IVA, avesse partecipato ad una “frode carosello”. La contestazione dell'amministrazione finanziaria è fondata sulla violazione delle disposizioni nazionali sulla sicurezza della catena alimentare, che dimostrerebbe che l'obiettivo perseguito era «il dirottamento dei prodotti […] dalla Slovacchia verso l'Ungheria» (cfr. punto 18 della sentenza della CGUE), nonché sulle operazioni finanziarie delle varie società che hanno partecipato alla catena di cessioni, sull'esiguo margine commerciale applicato da ciascuna delle dette società e sul comportamento irragionevole in materia commerciale di taluna di esse, che dimostrerebbero che si è trattato di una catena di fatturazione diretta ad acquisire un vantaggio fiscale illecito e a eludere l'imposizione.

Questi, in breve, gli elementi che, per l'amministrazione tributaria, dimostrerebbero la partecipazione attiva a una frode da parte di Aquila Part: il fatto che i contratti erano conclusi con la partecipazione di quest'ultima, l'esistenza di una clausola inusuale nei contratti di trasporto, il fatto che il cliente slovacco abbia rivenduto verso l'Ungheria i beni che si era procurato lo stesso giorno in Ungheria, e l'esistenza di legami tra le persone coinvolte nella catena di fatturazione. Per converso, il soggetto passivo IVA non avrebbe dato prova di sufficiente diligenza, come attestato dalla circostanza che il gestore della società mandataria (alla quale Aquila Part aveva affidato l'attività di acquisto e di vendita dei beni) aveva già partecipato in precedenza ad una frode in materia di IVA. La linea difensiva della ricorrente, invece, è che il procedimento tributario trae origina da un'idea preconcetta e che non vi sono elementi di prova che dimostrino che essa potesse essere a conoscenza della frode commessa a monte.

La società afferma, altresì, di avere dato prova della diligenza dovuta al fine di evitare di partecipare a una frode, fissando norme interne in materia di acquisti che impongono che i fornitori siano sottoposti a verifiche prima della conclusione di un contratto e che vietano il pagamento in contanti. Inoltre, la ricorrente addebita all'amministrazione tributaria di avere ignorato il contratto di mandato che essa aveva concluso con un'altra società e di avere assimilato la conoscenza che il proprio legale rappresentante aveva avuto dalla società mandataria dei fatti costitutivi della frode alla conoscenza diretta di tali fatti. Il giudice del rinvio ha sottoposto alla CGUE sei questioni pregiudiziali al fine di stabilire se le circostanze dedotte dalla direzione dei ricorsi possano essere considerate come elementi oggettivi (ai sensi della sentenza della CGUE del 21 giugno 2012, Mahagében e Dávid, in causa C-80/11 e C-142/11) da cui possa desumersi che il soggetto passivo abbia commesso una frode e se, data la natura della catena di fornitura riscontrata nel procedimento tributario, l'entità dell'obbligo di diligenza richiesto dall'amministrazione tributaria sia conforme alle regole probatorie, come interpretate dalla Corte, alla direttiva 2006/112 e ai princìpi che disciplinano l'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA. Sul piano normativo (punto 1) «[l]a domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'articolo 9, paragrafo 1, degli articoli 10 e 167, dell'articolo 168, lettera a), e dell'articolo 178, lettera a), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1), in combinato disposto con i princìpi di neutralità fiscale, di proporzionalità e di certezza del diritto, nonché con l'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea».

La decisione della Corte di giustizia

Esaminando secondo un ordine logico i quesiti formulati dal giudice ungherese, in risposta alla seconda questione (punti da 25 a 37), la CGUE afferma che, in aderenza alla direttiva 2006/112, l'amministrazione tributaria non può negare il diritto alla detrazione dell'IVA assolta a monte per il solo fatto che il soggetto passivo ha partecipato a una frode carosello, limitandosi a stabilire che l'operazione per la quale è chiesto il rimborso IVA fa parte di una catena di fatturazione circolare, ma deve individuare gli elementi costitutivi della frode e dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente alla frode o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che tale operazione si iscriveva nella frode, senza che però sia necessaria l'identificazione di tutti i soggetti coinvolti nella frode nonché dei rispettivi comportamenti.

E questo perché, a giudizio della CGUE: la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva 2006/112; spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo; per quanto riguarda l'evasione, il beneficio del diritto alla detrazione deve essere negato sia quando un'evasione dell'IVA sia commessa dal soggetto passivo, sia qualora si dimostri che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che partecipava a una frode carosello; non è infatti compatibile con la direttiva 2006/112 sanzionare con il diniego della detrazione un soggetto passivo che non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l'operazione si iscriveva in una frode carosello, posto che l'istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva travalicherebbe quanto necessario a garantire i diritti dell'erario; poiché il diniego è un'eccezione al principio fondamentale del diritto alla detrazione, incombe sulle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un'evasione dell'IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione per la quale è chiesta la detrazione si iscriveva in un'evasione.

Spetta ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l'esistenza di detti elementi oggettivi, secondo le norme in materia di prova previste dal diritto dello Stato membro, le quali non devono pregiudicare l'efficacia del diritto dell'Unione; a tal fine, è vietato, in linea generale, il ricorso a supposizioni o a presunzioni e, di conseguenza, benché tale elemento costituisca un serio indizio dell'esistenza dell'evasione, l'autorità tributaria, al fine di dimostrare una frode carosello, non può limitarsi a stabilire che l'operazione di cui si tratta fa parte di una catena di fatturazione circolare [1].

In risposta alla quarta questione (punti da 38 a 45), la CGUE afferma che, nel rispetto della direttiva 2006/112, l'autorità tributaria, qualora attesti la partecipazione attiva a una frode dell'IVA del soggetto che ne chiede il rimborso, può fondare il diniego, in via complementare o subordinata, su elementi di prova che dimostrino che il soggetto passivo, dando prova di tutta la diligenza richiesta, avrebbe potuto sapere che l'operazione si iscriveva in una frode; inoltre, la mera circostanza che i soggetti della catena di cessioni si conoscessero non è un elemento sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo alla frode. A tale proposito il giudice di Lussemburgo spiega che, per la giurisprudenza della Corte, in tema di evasione dell'IVA, il diritto alla detrazione deve essere negato in tre casi: (i) nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo ha commesso esso stesso un'evasione dell'IVA; (ii) nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo sapeva che, con il suo acquisto, partecipava a una operazione che si iscriveva in un'evasione dell'IVA; (iii) nel caso in cui sia dimostrato che il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere che, con il suo acquisto, partecipava a una simile operazione. Nel secondo e nel terzo caso si ha una partecipazione passiva all'evasione e il soggetto passivo collabora con gli autori dell'evasione dei quali diviene complice. In tale ipotesi il diniego del diritto alla detrazione si fonda sulla mancanza di una certa diligenza [2].

In risposta alla terza questione (punti da 46 a 54), la CGUE afferma che, per la direttiva 2006/112, in combinato disposto con il principio di proporzionalità, in presenza di indizi di una frode, può essere richiesto al soggetto passivo di dar prova di una maggiore diligenza per sincerarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode; tuttavia, non si può pretendere che esso proceda a verifiche complesse e approfondite come quelle che effettua l'amministrazione finanziaria. Inoltre, spetta al giudice nazionale valutare se, alla luce delle circostanze del caso concreto, il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza e abbia adottato le misure che gli possono essere ragionevolmente richieste in tali circostanze [3]. In particolare (punto 49), un operatore accorto, il quale intende detrarre l'IVA assolta a monte, potrebbe vedersi obbligato a assumere informazioni sull'operatore dal quale intende acquistare bene o servizi, per sincerarsi della sua affidabilità, ma l'autorità tributaria non potrebbe esigere che esso verifichi che l'emittente la fattura (punto 51) «abbia la qualità di soggetto passivo, […] disponga dei beni di cui trattasi e sia in grado di fornirli e abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell'IVA o […] che disponga dei documenti a tale riguardo» [4].

In risposta alla prima questione (punti da 64 a 68), la CGUE afferma che è conforme alla direttiva 2006/112 e al principio di neutralità fiscale una prassi tributaria che, per negare il diritto alla detrazione dell'IVA del soggetto passivo che ha partecipato a una frode, prenda in considerazione il fatto che il legale rappresentante del mandatario del soggetto passivo sia venuto a conoscenza dei fatti costitutivi della frode, indipendentemente dalle disposizioni nazionali in materia di mandato e dalle clausole del contratto di mandato concluso nel caso di specie. E ciò in quanto, a parere della Corte, esclusa l'istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva, la quale andrebbe al di là del necessario per garantire i diritti dell'erario, non si può sottacere che il soggetto passivo che sapeva o avrebbe dovuto sapere che la sua operazione si iscriveva in una frode carosello diviene complice degli autori dell'evasione ed è chiamato a rispondere della propria condotta colposa [5]. Per questa ragione il soggetto passivo non può sottrarsi a tale responsabilità nei confronti dell'erario opponendo l'esistenza di un contratto di mandato, delle sue clausole, delle norme nazionali che lo disciplinano e sostenendo di ignorare i fatti costitutivi dell'evasione noti al suo mandatario, dato che ammettere che il soggetto passivo possa agire così agevolerebbe la frode e si porrebbe in contrasto con la lotta all'evasione dell'IVA [6].

La posizione della dottrina

La sentenza della CGUE del 1° dicembre 2022, in causa C-512/21, è stata letta con favore dai primi commentatori che, innanzitutto, osservano che il giudice comunitario ha fornito le linee guida sui presupposti e le condizioni affinché il fisco possa negare il diritto alla detrazione dell'IVA al cessionario che, in maniera non intenzionale, sia rimasto coinvolto in una frode. Si pone l'accento sul fatto che la sentenza “Aquila Part” sancisce, in termini inequivocabili, che il diniego dell'esercizio del diritto alla detrazione IVA del cessionario deve fondarsi su solide basi istruttorie che - nel rispetto del principio comunitario di proporzionalità e al fine di scongiurare una sorta di responsabilità oggettiva del soggetto passivo - non possono essere circoscritte all'omessa presentazione della dichiarazione, al mancato pagamento delle imposte da parte del fornitore, all'accertata natura di “cartiera” del fornitore, ma impongono al fisco di effettuare indagini ben più articolate, focalizzate sulla condizione soggettiva dell'acquirente da esaminare in relazione alle circostanze del caso concreto, «tenendo conto unicamente degli elementi da questo immediatamente percepibili all'atto dell'acquisto».

Nel caso in cui la verifica di tali elementi non faccia emergere nulla che consenta di sostenere che il cessionario non poteva non sapere (o che comunque avrebbe potuto agevolmente rendersi conto) di essere “incappato” in una frode dell'IVA, la detrazione dell'imposta assolta a monte non può essere negata, a prescindere dagli elementi “oggettivamente” (ma “unicamente”) riferibili al fornitore [7]. Sulla stessa lunghezza d'onda si pone altra dottrina per la quale la sentenza “Aquila Part” delinea un vademecum di princìpi europei in materia di frode, assai utile per i tre protagonisti del processo tributario: il giudice, l'ente impositore e il difensore. Secondo questa tesi, per la giurisprudenza europea l'indetraibilità dell'IVA è una sanzione, il cui indefettibile elemento soggettivo è declinato sotto forma di partecipazione attiva o passiva alla frode, ferma la considerazione che l'istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva supererebbe quanto necessario a garantire i diritti dell'erario.

Nel primo caso (partecipazione attiva), l'operatore commette l'evasione; nel secondo caso (partecipazione passiva), egli diventa un collaboratore o un complice dei frodatori in quanto sapeva dell'evasione o, non essendone a conoscenza, l'ha agevolata mediante una condotta negligente che gli ha impedito di rendersi conto della partecipazione alla frode. Il corollario processuale di tale ricostruzione del fenomeno dell'indetraibilità dell'imposta sul valore aggiunto in tema di frodi carosello sta in ciò, che l'onere della prova incombe sul fisco e che ai giudici nazionali è affidato il compito di accertare se le autorità tributarie abbiano assolto a tale onere, regolato dalle disposizioni interne in materia di prova. Con la precisazione che, per la CGUE (punto 34 della sentenza Aquila Part), è vietato il ricorso a supposizioni o a presunzioni che abbiano l'effetto, confutando l'onere della prova, di violare il principio fondamentale del sistema comune dell'IVA costituito dal diritto alla detrazione [8].

Quanto ai parametri di valutazione al fine di stabilire se chi invoca la detrazione sia un operatore onesto, il quale ha tenuto una condotta diligente che consente di considerarlo estraneo all'evasione commessa da altri, si sottolinea che la decisione della Corte di giustizia ha disegnato (punti 50 e 52) un quadro chiarissimo che fissa il principio secondo cui, in assenza di indizi di una frode risultante dal normale scambio di documentazione tra gli operatori, non si può esigere dal soggetto passivo che proceda a verifiche complesse e approfondite, come quelle che l'amministrazione finanziaria ha i mezzi per effettuare.

I riflessi della sentenza Aquila Part sul nuovo comma 5-bis, dell'art. 7, d.lgs. n. 546/1992

La dottrina [9] ha intravisto un punto di saldatura tra i dicta della sentenza Aquila Part - secondo cui è onere dell'amministrazione finanziaria individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode, fornire la prova delle condotte fraudolente e della partecipazione (nelle diverse modalità) del soggetto passivo – e il nuovo comma 5-bis, dell'art. 7, d.lgs. n. 546/1992, in tema di onere della prova e di “consistenza” della prova medesima [10]. Al fine di ripartire in modo chiaro l'onere della prova nel processo tributario, la norma dispone che il giudice annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza (manca o è contraddittoria o se comunque) è insufficiente a dimostrare la pretesa impositiva, in modo circostanziato e puntuale.

Da questa proposizione si evincono alcune conseguenze importanti, a cominciare dal fatto che il consolidato principio di diritto per il quale l'ufficio deve fornire “sufficienti indizi” circa l'esistenza dell'obbligazione tributaria deve essere rivisto alla luce del neo-introdotto comma 5-bis, in quanto tali elementi presuntivi debbono ora assurgere al rango di una vera e propria prova “circostanziata e puntuale”. Il che è fondamentale in rapporto ai numerosi ambiti di applicazione di questo nuovo livello di affidabilità “alto”, compreso quello delle operazioni soggettivamente inesistenti, dove la giurisprudenza della CGUE (CGUE 1° dicembre 2022, C-512/2021, punto 36) afferma che è onere dell'amministrazione finanziaria “individuare con precisione” gli elementi costitutivi della frode e fornire la prova delle condotte fraudolente, nonché della partecipazione attiva o passiva del cessionario. A corollario della vicinanza tra il novum normativo e la giurisprudenza europea, la stessa dottrina pone in evidenza che «[n]on pare esservi in effetti grande differenza tra produrre in giudizio prove “circostanziate e puntuali” e “individuare con precisione” gli elementi costitutivi sopra indicati: né, peraltro, un'eventuale prova “rafforzata” prevista dal diritto nazionale confliggerebbe con il diritto UE, dal momento che, in tema di disciplina delle prove, la Corte di giustizia UE rinvia alle norme nazionali (GCUE 1° dicembre 2022, C-512/2021, par. 31). Non è sufficiente, dunque, che l'Amministrazione finanziaria offra un mero e generico “quadro indiziario”» [11].

In conclusione [12], l'Autore non manca di rilevare che la primissima affermazione fatta dalla Corte di cassazione sulla portata della nuova formulazione normativa - secondo cui essa «[non] stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai princìpi già vigenti in materia» - non dà conto del «sensibile innalzamento dell'asticella sulla valutazione della “consistenza” della prova offerta dall'Ufficio» necessaria alla conferma in giudizio della pretesa fiscale [13].

L'approdo della Cassazione in tema di frodi carosello nelle operazioni soggettivamente inesistenti

Sulla ripartizione dell'onere della prova, tra fisco e contribuente, in tema di esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA, in fattispecie relativa a operazioni soggettivamente inesistenti, si va consolidando un orientamento di legittimità che, nei suoi più recenti arresti, reca un esplicito riferimento ai princìpi enunciati dalla sentenza “Aquila Part” [14]. La Sezione tributaria della Corte valorizza, soprattutto, il passaggio argomentativo della decisione sovranazionale (punto 49) che chiarisce che, qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l'esistenza di irregolarità o di un'evasione, un operatore accorto sarebbe obbligato, secondo le circostanze del caso di specie, ad assumere informazioni su un altro operatore, presso il quale prevede di acquistare beni o servizi, al fine di sincerarsi della sua affidabilità.

E così, per il giudice di legittimità, se l'amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione riguarda operazioni soggettivamente inesistenti, incombe su di essa l'onere di provare la consapevolezza del destinatario che l'operazione si iscriveva in un'evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base a elementi oggettivi specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza dell'altro contraente. Nel caso in cui l'amministrazione assolva al proprio onere della prova, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in una frode, la diligenza massima che sarebbe esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.

Tracciate le coordinate del ragionamento, le conclusioni della S.C. si diramano lungo due direttrici: (a) la prova contraria del contribuente non può attenere a circostanze meramente soggettive, ma deve investire l'adozione di tutte le cautele necessarie a evitare di essere coinvolto in una frode dell'IVA. Si tratta, pertanto, di un giudizio di buona fede oggettiva, che va commisurato allo standard di diligenza di un operatore professionale che si trovi ad operare in analoghe condizioni di mercato; (b) lo standard di diligenza deve essere aderente alle circostanze del caso concreto, il che significa che il giudizio di consapevolezza del contribuente circa la frode dell'IVA commessa a monte deve essere fondato su circostanze oggettive che consentano di dedurre che un analogo operatore commerciale si sarebbe potuto accorgere della frode commessa nella catena distributiva a monte. A tal fine, per la giurisprudenza di legittimità, rileva non soltanto la qualità soggettiva dell'emittente, ma soprattutto la condizione operativa in cui si siano trovati ad agire il committente (soggetto passivo o cessionario) e l'emittente (fornitore o cedente). Sicché, in teoria, anche operazioni effettuate con lo stesso fornitore possono sortire effetti diversi ai fini dell'assolvimento dell'onere della prova, ove le condizioni in cui le transazioni commerciali sono in concreto avvenute si rivelino differenti.

Considerazioni conclusive

La sentenza della CGUE è importante perché approfondisce con dovizia di argomenti la questione dell'onere della prova a carico del fisco e del contribuente nel contenzioso relativo alle frodi carosello in materia di IVA. Sul versante del diritto nazionale, è probabile che il chiaro pronunciamento del giudice europeo non stemperi il vivace dibattito dottrinale e che, anzi, la stessa pronuncia venga utilizzata al fine di rinvigorire la teoria “minimalista” circa la diligenza che è lecito richiedere al soggetto passivo.

Per i sostenitori di questa tesi – che ruota intorno all'asse concettuale della ratio dell'IVA, quale imposta indiretta sui consumi, introdotta per agevolare gli scambi tra operatori comunitari - gli oneri di controllo e di indagine dei cessionari sono particolarmente attenuati e meno invasivi e stringenti di quelli richiesti dal fisco in sede di accertamento. Sulla scia della giurisprudenza comunitaria [15], si mette in risalto che il soggetto passivo agisce, in nome e per conto dell'ente impositore, nella veste di “collettore d'imposta”, con la conseguenza che spetta innanzitutto all'erario, anche a tutela di quanti operano sul mercato comune, assicurarsi che ciascun “collettore” agisca correttamente, nel rispetto del proprio incarico. Se così non fosse, infatti, in violazione della ratio agevolatrice della circolazione di beni e servizi propria dell'IVA, il cessionario finirebbe con l'essere oggettivamente responsabile delle mancanze dei propri fornitori [16].

A giudizio di chi scrive, al contrario, l'ineccepibile impianto argomentativo della sentenza “Aquila Part” rafforza il rigoroso indirizzo nomofilattico (cfr. punto 4) per il quale, in sintesi, se sussistono indizi che consentano di sospettare l'esistenza di una frode, è onere del soggetto passivo che intende detrarre l'IVA assolta a monte dar prova di essersi comportato come un operatore accorto e di avere adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere, non esclusa quella di avere assunto informazioni sul proprio fornitore per misurarne l'affidabilità.

In ultima analisi, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia e di legittimità, la giustificazione del diniego dell'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA risiede nella violazione degli obblighi di diligenza e buona fede da parte del soggetto passivo, e non nell'opaca filosofia del «non poteva non sapere», utilizzata in dottrina per stigmatizzare il modus operandi del fisco [17].

Riccardo Guida

Note

[1] In tal senso, CGUE 6 luglio 2006, C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling, punti 54, 55, 59, del 21 giugno 2012, C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, punto 45, dell'11 novembre 2021, Ferimet, C 281/20, punti 46 -52, e giurisprudenza ivi citata. Per un approfondito esame della sentenza “Ferimet”, cfr. Cass., Sez. Un., n. 22727/2022 (punti 7.8, 7.9, 13) sulla sanzione applicabile, in tema di IVA, alle operazioni imponibili, oggettivamente e soggettivamente inesistenti, sottoposte al regime contabile del “reverse charge”.

[2] In tal senso, CGUE, ord. 14 aprile 2021, C-108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punto 27.

[3] Per la CGUE (punto 53), la quale menziona la sentenza del 16 giugno 2002, Duodecad, C-596/20, punto 37, rientra nella competenza esclusiva dei giudici nazionali risolvere la questione se il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza laddove dimostri di avere stabilito norme interne in materia di acquisti dirette a verificare la situazione dei suoi partner e di rifiutare qualsiasi pagamento in contanti.

[4] Su questi aspetti, CGUE 21 giugno 2012, C80/11 e C142/11‑‑, Mahagében e Dávid, punto 60, ord. 3 settembre 2020, C‑610/19, Vikingo Fővállalkozó, punto 55, nonché del 14 aprile 2021, C‑108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punto 29; sentenza del 19 ottobre 2017, C‑101/16, Paper Consult, punto 51; sentenze del 21 giugno 2012, C‑80/11 e C‑142/11, Mahagében e Dávid, punto 61, nonché del 4 giugno 2020, C‑430/19, C.F. (Verifica fiscale), punto 47.

[5] In tal senso, CGUE, ord. 14 aprile 2021, C‑108/20, Finanzamt Wilmersdorf, (punto 36).

[6] In risposta alla quinta e alla sesta questione (punti da 55 a 63), in primo luogo, la CGUE afferma che, in base alla direttiva 2006/112, l'autorità tributaria non può negare al soggetto passivo l'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA per il solo motivo di non avere rispettato gli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell'Unione relative alla sicurezza della catena alimentare. Tuttavia, l'inosservanza di tali obblighi può costituire uno degli elementi rilevanti per accertare tanto l'esistenza di una frode dell'IVA quanto la partecipazione del soggetto passivo alla frode, anche in assenza di una previa decisione dell'organo amministrativo competente a constatare una tale violazione. In secondo luogo, la CGUE afferma che il diritto a un equo processo, sancito dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell'autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell'esistenza di una frode dell'IVA o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode, una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi allo stesso organo giudicante.

[7] In tal senso, F. FALCONE, Frodi IVA: La CGUE chiarisce (definitivamente) che il cessionario non ha oneri investigativi, in L'IVA, n. 2/2023, pag. 7, il quale sostiene che è necessario esaminare le singole fattispecie, senza trascurare le particolarità del caso, quali il tipo di settore in cui i soggetti operano, le modalità di approvvigionamento del materiale compravenduto, nonché i sistemi di trasporto, la puntualità della fornitura, oltre alla conformità della merce consegnata rispetto a quella ordinata. Il ragionamento si conclude con l'affermazione che «[d]i fronte alla regolarità delle forniture, ed alla apparente regolarità del relativo cedente, risulterà di fatto preclusa ogni contestazione riguardo alla detraibilità dell'IVA, salvo non ricorrano altre e differenti circostanze (documenti, scambi di corrispondenza, o simili) che possano provare in maniera certa che in realtà il cessionario era (o avrebbe dovuto esserlo) ben consapevole della frode realizzata dal fornitore».

[8] C. DE IESO, L'evoluzione della giurisprudenza UE sui rimedi sanzionatori contro le frodi IVA, in Corr. trib., n. 1/2023, pag. 74.

[9] in tal senso, G. MELIS, La legge 130 del 2022: lineamenti generali, in Giustizia Insieme, 2022, il quale, riferendosi a S. MULEO, Le “nuove” regole sulla prova nel processo tributario, in Giustizia Insieme, 2022, chiosa che è stato perspicuamente rilevato, in relazione all'art. 116 c.p.c., che «la novella sostituisce una valutazione rigorosa (…) alla prudente ponderazione sancita dalla regola processualcivilistica».

[10] Il comma 5-bis, dell'art. 7, del d.lgs. n. 546/1992, è stato introdotto dall'art. 6, della l. 31 agosto 2022, n. 130 (Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari), che così dispone: «L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni […]».

[11] Così, A. CARINCI, Nuovo onere della prova con poche variazioni per la giurisprudenza, in Eutekne, 4 novembre 2022.

[12] F. RASI, Il Giudizio Tributario, Milano, 2022, pag. 181, ha l'impressione che la novella normativa si muova nella scia del vigente assetto del processo tributario, non “stravolgendolo”, ma solo “precisando” alcuni profili dubbi, e che la riforma attuata con la l. n. 130 del 2022 non dovrebbe condurre a un deciso ripensamento da parte della Cassazione delle sue posizioni, fermo il richiamo ai giudici nel valutare con maggior rigore non solo quanto prospettato dagli uffici, ma, ora, anche quanto “non” prospettato. Sui medesimi argomenti: F. PISTOLESI, Onere della prova al Fisco in nome di efficienza e trasparenza, in Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2022, pag. 15. A. SAVORANA, F. VISMARA, Onere della prova in materia tributaria alla luce dei principi unionali, in il Fisco, n. 7/2023, pag. 1-641, affermano che, tenuto conto del primato del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, il comma 5-bis non rileva ove trovi diretta e prevalente applicazione il precetto unionale, come nella controversia in tema di frodi carosello, oggetto della recente pronuncia della CGUE, in causa C-512/21, che risolve la questione della consistenza dell'onere probatorio a carico dell'autorità tributaria e della distribuzione dell'onere della prova tra erario e contribuente. È opinione di A. VIGNOLI, Riforma della giustizia tributaria tra giudici professionali e giudici supplenti, in Giustizia Insieme, 2023, che l'introduzione del comma 5-bis, sull'onere della prova, abbia portato «più danni che vantaggi». Sul tema l'Autrice richiama G. MOSCHETTI, Il comma 5 bis dell'art.7 D.lgs. n.546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. dir. trib. – supplemento telematico 28 gennaio 2023; S. MULEO, Riflessioni sull'onere della prova nel processo tributario, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 603.

[13] Per Cass. n. 31878/2022, il comma 5-bis dell'articolo 7 «non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».

[14] In tal senso, Cass. n. 37889/2022, (punti 6, 7, 8) che, in motivazione (punto 6), richiama «Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. Un., 12 settembre 2017, n. 21105». La sentenza “Aquila Part” è menzionata anche da Cass. n. 1346/2023 e n. 1357/2023.

[15] CGUE 21 settembre 2008, C-271/06, «Netto Supermarkt», la quale afferma che «21 […] nel settore dell'IVA […] i fornitori agiscono come collettori d'imposta per conto dello Stato e nell'interesse dell'erario (v. sentenza 20 ottobre 1993, C‑10/92, Balocchi, Racc. pag. I‑5105, punto 25). Detti fornitori sono debitori del versamento dell'IVA anche quando questa, in quanto imposta sul consumo, è in definitiva a carico del consumatore finale (v. sentenza 3 ottobre 2006, causa C‑475/03, Banca popolare di Cremona, Racc. pag. I‑9373, punti 22 e 28). 22 Per tale motivo, l'obiettivo di prevenire la frode fiscale di cui all'art. 15 della sesta direttiva giustifica talvolta prescrizioni severe quanto agli obblighi dei fornitori. Tuttavia, qualsiasi suddivisione del rischio tra questi ultimi e il fisco, in seguito ad una frode commessa da un terzo, dev'essere compatibile col principio di proporzionalità (sentenza Teleos e a., cit., punto 58). 23 Ciò non si verifica quando un regime fiscale faccia ricadere l'intera responsabilità del pagamento dell'IVA sul fornitore, indipendentemente dal coinvolgimento o meno di quest'ultimo nella frode commessa dall'acquirente (v., in tal senso, sentenza Teleos e a., cit., punto 58)». In un precedente passo della medesima pronuncia [punto 19], il giudice europeo chiarisce che «[…] quanto al principio di proporzionalità, la Corte ha già affermato che, conformemente a tale principio, gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l'obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai princìpi stabiliti dalla normativa comunitaria controversa (v. sentenze Molenheide e a., cit., punto 46, nonché 27 settembre 2007, C‑409/04, Teleos e a., Racc. pag. I‑7797, punto 52)».

[16] In tal senso, F. FALCONE, Frodi IVA: la Cassazione esclude la responsabilità oggettiva del cessionario, in L'IVA, n. 2/2022, pag. 34, il quale, commentando Cass. n. 27745/21, rimarca che il giudice di vertice ha opportunamente precisato e ribadito che il cessionario che venga, suo malgrado, coinvolto in una frode dell'IVA (che abbia, cioè, effettuato acquisti da un soggetto poi rivelatosi un evasore, in quanto mosso dal preordinato intento di non versare l'IVA dopo averla incassata), non perde il diritto alla detrazione dell'imposta assolta a monte, a meno che l'amministrazione finanziaria non dimostri, mediante elementi oggettivi specifici, che lo stesso operatore, all'atto dell'acquisto, era a conoscenza o, comunque, avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza richiesta in ragione della sua qualità professionale, delle intenzioni fraudolente del proprio fornitore. La nota richiama espressamente il passo dell'ordinanza della S.C. secondo cui «se si ritenesse che siano sufficienti pochi indizi, non gravi, non precisi e non concordanti perché possa integrarsi la presunzione semplice di conoscenza o conoscibilità della frode, gli imprenditori sarebbero eccessivamente timorosi e potrebbero essere indotti a non rischiare, decidendo di non concludere molti affari, con grave nocumento per i traffici commerciali e quindi per l'economia in generale».

[17] In tal senso, F. FALCONE, La Cassazione sempre più garantista sulla responsabilità del cessionario, in L'IVA, n. 5/2022, pag. 25, il quale, chiosando Cass. n. 5059/2022, sostiene che, stando al consolidarsi di una posizione maggiormente garantista assunta dalla Cassazione in relazione alla responsabilità del cessionario nel caso in cui emerga che il fornitore, che ha provveduto all'addebito dell'IVA (poi detratta) in fattura, abbia partecipato a una frode dell'IVA, non è condivisibile la tesi spesso sostenuta dal fisco secondo cui detto cessionario «non poteva non sapere», ma «risulta ben più congrua e valida l'affermazione secondo cui il cessionario “non doveva sapere, non essendo tenuto a verificare o indagare in merito”».