[1] In tal senso, CGUE 6 luglio 2006, C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling, punti 54, 55, 59, del 21 giugno 2012, C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, punto 45, dell'11 novembre 2021, Ferimet, C 281/20, punti 46 -52, e giurisprudenza ivi citata. Per un approfondito esame della sentenza “Ferimet”, cfr. Cass., Sez. Un., n. 22727/2022 (punti 7.8, 7.9, 13) sulla sanzione applicabile, in tema di IVA, alle operazioni imponibili, oggettivamente e soggettivamente inesistenti, sottoposte al regime contabile del “reverse charge”.
[2] In tal senso, CGUE, ord. 14 aprile 2021, C-108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punto 27.
[3] Per la CGUE (punto 53), la quale menziona la sentenza del 16 giugno 2002, Duodecad, C-596/20, punto 37, rientra nella competenza esclusiva dei giudici nazionali risolvere la questione se il soggetto passivo abbia dato prova di sufficiente diligenza laddove dimostri di avere stabilito norme interne in materia di acquisti dirette a verificare la situazione dei suoi partner e di rifiutare qualsiasi pagamento in contanti.
[4] Su questi aspetti, CGUE 21 giugno 2012, C80/11 e C142/11‑‑, Mahagében e Dávid, punto 60, ord. 3 settembre 2020, C‑610/19, Vikingo Fővállalkozó, punto 55, nonché del 14 aprile 2021, C‑108/20, Finanzamt Wilmersdorf, punto 29; sentenza del 19 ottobre 2017, C‑101/16, Paper Consult, punto 51; sentenze del 21 giugno 2012, C‑80/11 e C‑142/11, Mahagében e Dávid, punto 61, nonché del 4 giugno 2020, C‑430/19, C.F. (Verifica fiscale), punto 47.
[5] In tal senso, CGUE, ord. 14 aprile 2021, C‑108/20, Finanzamt Wilmersdorf, (punto 36).
[6] In risposta alla quinta e alla sesta questione (punti da 55 a 63), in primo luogo, la CGUE afferma che, in base alla direttiva 2006/112, l'autorità tributaria non può negare al soggetto passivo l'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA per il solo motivo di non avere rispettato gli obblighi derivanti dalle disposizioni nazionali o dal diritto dell'Unione relative alla sicurezza della catena alimentare. Tuttavia, l'inosservanza di tali obblighi può costituire uno degli elementi rilevanti per accertare tanto l'esistenza di una frode dell'IVA quanto la partecipazione del soggetto passivo alla frode, anche in assenza di una previa decisione dell'organo amministrativo competente a constatare una tale violazione. In secondo luogo, la CGUE afferma che il diritto a un equo processo, sancito dall'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, non osta a che il giudice investito del ricorso avverso la decisione dell'autorità tributaria prenda in considerazione, quale elemento di prova dell'esistenza di una frode dell'IVA o della partecipazione del soggetto passivo a tale frode, una violazione di detti obblighi, qualora tale elemento di prova possa essere contestato e discusso in contraddittorio dinanzi allo stesso organo giudicante.
[7] In tal senso, F. FALCONE, Frodi IVA: La CGUE chiarisce (definitivamente) che il cessionario non ha oneri investigativi, in L'IVA, n. 2/2023, pag. 7, il quale sostiene che è necessario esaminare le singole fattispecie, senza trascurare le particolarità del caso, quali il tipo di settore in cui i soggetti operano, le modalità di approvvigionamento del materiale compravenduto, nonché i sistemi di trasporto, la puntualità della fornitura, oltre alla conformità della merce consegnata rispetto a quella ordinata. Il ragionamento si conclude con l'affermazione che «[d]i fronte alla regolarità delle forniture, ed alla apparente regolarità del relativo cedente, risulterà di fatto preclusa ogni contestazione riguardo alla detraibilità dell'IVA, salvo non ricorrano altre e differenti circostanze (documenti, scambi di corrispondenza, o simili) che possano provare in maniera certa che in realtà il cessionario era (o avrebbe dovuto esserlo) ben consapevole della frode realizzata dal fornitore».
[8] C. DE IESO, L'evoluzione della giurisprudenza UE sui rimedi sanzionatori contro le frodi IVA, in Corr. trib., n. 1/2023, pag. 74.
[9] in tal senso, G. MELIS, La legge 130 del 2022: lineamenti generali, in Giustizia Insieme, 2022, il quale, riferendosi a S. MULEO, Le “nuove” regole sulla prova nel processo tributario, in Giustizia Insieme, 2022, chiosa che è stato perspicuamente rilevato, in relazione all'art. 116 c.p.c., che «la novella sostituisce una valutazione rigorosa (…) alla prudente ponderazione sancita dalla regola processualcivilistica».
[10] Il comma 5-bis, dell'art. 7, del d.lgs. n. 546/1992, è stato introdotto dall'art. 6, della l. 31 agosto 2022, n. 130 (Disposizioni in materia di giustizia e di processo tributari), che così dispone: «L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni […]».
[11] Così, A. CARINCI, Nuovo onere della prova con poche variazioni per la giurisprudenza, in Eutekne, 4 novembre 2022.
[12] F. RASI, Il Giudizio Tributario, Milano, 2022, pag. 181, ha l'impressione che la novella normativa si muova nella scia del vigente assetto del processo tributario, non “stravolgendolo”, ma solo “precisando” alcuni profili dubbi, e che la riforma attuata con la l. n. 130 del 2022 non dovrebbe condurre a un deciso ripensamento da parte della Cassazione delle sue posizioni, fermo il richiamo ai giudici nel valutare con maggior rigore non solo quanto prospettato dagli uffici, ma, ora, anche quanto “non” prospettato. Sui medesimi argomenti: F. PISTOLESI, Onere della prova al Fisco in nome di efficienza e trasparenza, in Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2022, pag. 15. A. SAVORANA, F. VISMARA, Onere della prova in materia tributaria alla luce dei principi unionali, in il Fisco, n. 7/2023, pag. 1-641, affermano che, tenuto conto del primato del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale, il comma 5-bis non rileva ove trovi diretta e prevalente applicazione il precetto unionale, come nella controversia in tema di frodi carosello, oggetto della recente pronuncia della CGUE, in causa C-512/21, che risolve la questione della consistenza dell'onere probatorio a carico dell'autorità tributaria e della distribuzione dell'onere della prova tra erario e contribuente. È opinione di A. VIGNOLI, Riforma della giustizia tributaria tra giudici professionali e giudici supplenti, in Giustizia Insieme, 2023, che l'introduzione del comma 5-bis, sull'onere della prova, abbia portato «più danni che vantaggi». Sul tema l'Autrice richiama G. MOSCHETTI, Il comma 5 bis dell'art.7 D.lgs. n.546/1992: un quadro istruttorio per ora solo abbozzato, tra riaffermato principio dispositivo e diritto pretorio acquisitivo, in Riv. dir. trib. – supplemento telematico 28 gennaio 2023; S. MULEO, Riflessioni sull'onere della prova nel processo tributario, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 603.
[13] Per Cass. n. 31878/2022, il comma 5-bis dell'articolo 7 «non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale».
[14] In tal senso, Cass. n. 37889/2022, (punti 6, 7, 8) che, in motivazione (punto 6), richiama «Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. Un., 12 settembre 2017, n. 21105». La sentenza “Aquila Part” è menzionata anche da Cass. n. 1346/2023 e n. 1357/2023.
[15] CGUE 21 settembre 2008, C-271/06, «Netto Supermarkt», la quale afferma che «21 […] nel settore dell'IVA […] i fornitori agiscono come collettori d'imposta per conto dello Stato e nell'interesse dell'erario (v. sentenza 20 ottobre 1993, C‑10/92, Balocchi, Racc. pag. I‑5105, punto 25). Detti fornitori sono debitori del versamento dell'IVA anche quando questa, in quanto imposta sul consumo, è in definitiva a carico del consumatore finale (v. sentenza 3 ottobre 2006, causa C‑475/03, Banca popolare di Cremona, Racc. pag. I‑9373, punti 22 e 28). 22 Per tale motivo, l'obiettivo di prevenire la frode fiscale di cui all'art. 15 della sesta direttiva giustifica talvolta prescrizioni severe quanto agli obblighi dei fornitori. Tuttavia, qualsiasi suddivisione del rischio tra questi ultimi e il fisco, in seguito ad una frode commessa da un terzo, dev'essere compatibile col principio di proporzionalità (sentenza Teleos e a., cit., punto 58). 23 Ciò non si verifica quando un regime fiscale faccia ricadere l'intera responsabilità del pagamento dell'IVA sul fornitore, indipendentemente dal coinvolgimento o meno di quest'ultimo nella frode commessa dall'acquirente (v., in tal senso, sentenza Teleos e a., cit., punto 58)». In un precedente passo della medesima pronuncia [punto 19], il giudice europeo chiarisce che «[…] quanto al principio di proporzionalità, la Corte ha già affermato che, conformemente a tale principio, gli Stati membri devono far ricorso a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l'obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli obiettivi e ai princìpi stabiliti dalla normativa comunitaria controversa (v. sentenze Molenheide e a., cit., punto 46, nonché 27 settembre 2007, C‑409/04, Teleos e a., Racc. pag. I‑7797, punto 52)».
[16] In tal senso, F. FALCONE, Frodi IVA: la Cassazione esclude la responsabilità oggettiva del cessionario, in L'IVA, n. 2/2022, pag. 34, il quale, commentando Cass. n. 27745/21, rimarca che il giudice di vertice ha opportunamente precisato e ribadito che il cessionario che venga, suo malgrado, coinvolto in una frode dell'IVA (che abbia, cioè, effettuato acquisti da un soggetto poi rivelatosi un evasore, in quanto mosso dal preordinato intento di non versare l'IVA dopo averla incassata), non perde il diritto alla detrazione dell'imposta assolta a monte, a meno che l'amministrazione finanziaria non dimostri, mediante elementi oggettivi specifici, che lo stesso operatore, all'atto dell'acquisto, era a conoscenza o, comunque, avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza richiesta in ragione della sua qualità professionale, delle intenzioni fraudolente del proprio fornitore. La nota richiama espressamente il passo dell'ordinanza della S.C. secondo cui «se si ritenesse che siano sufficienti pochi indizi, non gravi, non precisi e non concordanti perché possa integrarsi la presunzione semplice di conoscenza o conoscibilità della frode, gli imprenditori sarebbero eccessivamente timorosi e potrebbero essere indotti a non rischiare, decidendo di non concludere molti affari, con grave nocumento per i traffici commerciali e quindi per l'economia in generale».
[17] In tal senso, F. FALCONE, La Cassazione sempre più garantista sulla responsabilità del cessionario, in L'IVA, n. 5/2022, pag. 25, il quale, chiosando Cass. n. 5059/2022, sostiene che, stando al consolidarsi di una posizione maggiormente garantista assunta dalla Cassazione in relazione alla responsabilità del cessionario nel caso in cui emerga che il fornitore, che ha provveduto all'addebito dell'IVA (poi detratta) in fattura, abbia partecipato a una frode dell'IVA, non è condivisibile la tesi spesso sostenuta dal fisco secondo cui detto cessionario «non poteva non sapere», ma «risulta ben più congrua e valida l'affermazione secondo cui il cessionario “non doveva sapere, non essendo tenuto a verificare o indagare in merito”».