La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone una lettura delle norme coinvolte, vale a dire delle disposizioni di cui all'art. 8 CEDU e dell'art. 317-bis c.c.
In primo luogo, avuto particolar riguardo alla posizione dei nonni, l'art. 8 CEDU, pur avendo lo scopo di premunire l'individuo contro le ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, non si limita a imporre allo Stato di astenersi da ingerenze: infatti, a questo impegno negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti ad una salvaguardia effettiva della vita privata o familiare, i quali possono implicare l'adozione di misure volte al rispetto della vita familiare nelle relazioni degli individui tra loro. Tra questi, possiamo trovare la predisposizione di un “arsenale giuridico” adeguato e sufficiente per garantire i diritti legittimi degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie o delle misure specifiche appropriate, capace di permettere allo Stato di adottare misure idonee a riunire il genitore e il figlio, non solo in caso di conflitto tra i due genitori, ma anche quando la questione investa le relazioni tra il minore e i nonni. In tali situazioni, infatti, lo Stato dovrà attivarsi al fine di favorire la comprensione e la cooperazione di tutte le persone interessate, ma tenendo pur sempre in considerazione gli interessi superiori del minore e i suoi diritti come scaturenti dall'art. 8 della Convenzione (cfr. CEDU, 9 febbraio 2017, Solarino c. Italia e Corte EDU, 7/12/2017, Beccarini e Ridolfi c. Italia).
Fondamentale, però, al fine di risolvere le questioni riguardanti le modalità con cui riconoscere il diritto degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, è l'interesse del minore: principio di carattere generale che trova la sua ragion d'essere nelle disposizioni di cui agli artt. 2, 30 e 31 Cost. (cfr. da ultimo Corte cost., sent. 23 febbraio 2022, n. 79), ma soprattutto in diverse fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento, quali la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989; la Dichiarazione sui principi sociali e legali riguardo alla protezione e sicurezza sociale dei bambini del 3 dicembre 1986; il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, del 16 dicembre 1966; la Convenzione di Strasburgo in materia di adozione, elaborata dal Consiglio d'Europa ed entrata in vigore il 26 aprile 1968, nonché l'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, CDFUE, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e gli artt. 8 e 14 CEDU.
In secondo luogo, poi, sebbene ciascun minore vanti un rilevante interesse a fruire di un legame, relazionale ed affettivo, con la linea articolata delle generazioni, che, per il tramite dei propri genitori, costituiscono la sua scaturigine, il carattere “significativo” del rapporto a cui fa riferimento la norma di cui all'art. 317-bis c.c., deve derivare da una relazione positiva, gratificante e soddisfacente del bambino con l'ascendente tale da implicare una spontaneità di relazione e non una coercizione. Di conseguenza, il mantenimento di rapporti significativi non solo non può essere assicurato tramite la costrizione del bambino, attraverso un'imposizione manu militari di una relazione sgradita e non voluta, ma nessuna frequentazione può essere disposta a dispetto della volontà manifestata da un minore che abbia compiuto i dodici anni o che comunque risulti capace di discernimento, ex art. 336-bis c.c.
Pertanto, laddove queste relazioni non funzionino secondo linee armoniche e spontanee, tali da non risultare fruttuose per tutti gli attori in campo, occorrerà l'intervento giudiziale al fine di stabilire, rivolgendo l'attenzione al superiore interesse del minore, se i rapporti non armonici (o addirittura conflittuali) fra genitori e ascendenti si possano comporre e come ciò debba avvenire.
Ciò posto, nel caso di specie, la Corte di appello, limitandosi a rilevare l'assenza di un pregiudizio per i minori derivante dal “passare del tempo con i nonni e lo zio paterni”, ha, da un lato, trascurato totalmente di indagare, nel senso di cui sopra, quale fosse il superiore interesse, specifico e concreto, di ciascuno dei bambini nella situazione di conflittualità venutasi a creare fra genitori e la famiglia paterna, al fine poi di stabilire se le divergenti posizioni potessero essere oggetto di un proficuo bilanciamento in funzione di tale interesse e quali fossero i provvedimenti all'uopo più idonei, dall'altro, di spiegare quale fosse, nella realtà della situazione familiare posta alla sua attenzione, il preciso tornaconto dei minori a veder partecipare ciascuno degli ascendenti nel progetto educativo e formativo che li riguardava. Secondo la Cassazione, in conclusione, occorreva verificare la capacità di discernimento dei bambini coinvolti, al fine di disporne l'ascolto in presenza delle condizioni di cui all'art. 336-bis c.c., e, comunque, tenere conto della riottosità di uno degli stessi a questo coinvolgimento così da evitare l'imposizione di rapporti non voluti.