Attraverso la sentenza in commento, che si inserisce in una serie di recenti pronunce sul tema (tra le ultimissime: Cass. sez. lav., 2 dicembre 2022, n. 35496; Cass. sez. lav. ord. 11 novembre 2022, n. 33341; Cass. sez. Lav. 18 novembre 2022, n. 34049) la Corte di Cassazione torna a esprimersi in merito alle tutele applicabili in caso di violazione dell'obbligo di repêchage all'esito dei recenti interventi della Corte Costituzionale sull'art. 18 dello Statuto deiLavoratori.
La sentenza commentata, così come le altre pronunce che si inseriscono nel medesimo filone, afferma, infatti, che, con riferimento ai dipendenti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 18 della Legge n. 300/1970, in caso di insussistenza delle ragioni aziendali poste a fondamento del licenziamento per motivo oggettivo, il giudice non ha (più) margini di scelta, dovendo riconoscere il rimedio della reintegrazione nel posto di lavoro, sia nel caso di insussistenza delle ragioni organizzative o produttive, sia nel caso in cui non sia provata l'impossibilità di riassegnazione del lavoratore su altre mansioni (c.d. obbligo di repêchage).
Sul punto è bene evidenziare che un primo orientamento giurisprudenziale, che escludeva l'applicazione della tutela ripristinatoria in favore di quella meramente indennitaria in caso di violazione dell'obbligo di repêchage (Trib. Milano 20 novembre 2012; Trib. Torino 5 aprile 2016; Trib.Genova 14 dicembre 2013; Trib. Varese 4 settembre 2013; Trib. Roma 8 agosto 2013), è stato negli anni più recenti superato da un secondo orientamento, a cui aderisce la Corte di Cassazione con la sentenza qui commentata, che prevede invece l'applicazione della tutela reintegratoria (Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; Cass. 17 ottobre 2019, n. 26460).
Quest'ultimo orientamento ha trovato ulteriore radicamento a seguito delle pronunce n. 59/2021
e n. 125/2022 della Consulta.
La prima delle predette pronunce, prevedendo che, se è riscontrata l'insussistenza del fatto costitutivo del licenziamento, il giudice non «può» ma «deve» applicare il rimedio della tutela reale, ha ricondotto nella nozione di insussistenza del fatto non solo le ragioni tecniche, organizzative e produttive e il nesso causale tra il recesso e le scelte organizzative del datore di lavoro, ma anche il repêchage.
I giudici costituzionali, infatti, hanno affermato chiaramente che “Il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino a un massimo di dodici mensilità, è circoscritto all'ipotesi della manifesta insussistenza del fatto, che postula una evidente assenza dei presupposti di legittimità del recesso e dunque la sua natura pretestuosa. Tale requisito, che il rimettente non censura, si correla strettamente ai presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che è onere del datore di lavoro dimostrare. Tali sono da intendersi le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento, il nesso causale che lega il recesso alle scelte organizzative del datore di lavoro e, infine, l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore (…). Perché possa operare il rimedio della reintegrazione, è sufficiente che la manifesta insussistenza riguardi uno dei presupposti appena indicati (…).”
A sua volta, la sentenza n. 125/2022, avendo fatto venir meno il requisito della “manifesta” evidenza dell'insussistenza del fatto (che è sufficiente, quindi, sia solo esistente) ha esteso la tutela reintegratoria a tutti i casi in cui vengono meno i presupposti del giustificato motivo oggettivo, ivi inclusa la violazione dell'obbligo di repêchage, mentre la tutela indennitaria rimane un'ipotesi residuale che riguarda oramai unicamente la violazione dei criteri di scelta.
Alla luce della disamina della recente giurisprudenza di legittimità e – soprattutto - costituzionale,
appare quindi evidente l'ampliamento e l'espansione dell'area di applicazione della tutela reintegratoria, che rappresenta oramai la tutela ordinaria in caso di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo dei lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.
Il regime sanzionatorio risultante da questo ampliamento presenta, però, diversi aspetti che certamente dovranno essere affrontanti nel prossimo futuro non solo dagli organi giudicanti ma anche – e soprattutto – dal legislatore.
In primis, infatti, non si può non evidenziare che il risultato delle pronunce analizzate è quello di aver creato un regime sanzionatorio che, ampliando la tutela reintegratoria a danno di quella indennitaria, si allontana dalla ratio che aveva animato la promulgazione della Legge Fornero. Non solo, l'applicazione in via prevalente della tutela reintegratoria ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo illegittimi per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, allarga le differenze di tutela che l'ordinamento riconosce ai dipendenti assunti – invece – dopo tale data.
Ciò considerato, se da un lato è lecito auspicare un intervento normativo che razionalizzi il sistema sanzionatorio nel suo complesso, è altrettanto lecito supporre che l'estensione del riconoscimento del rimedio della reintegra, già registrato per i recessi sottostanti al regime sanzionatorio della L. n. 92/2012, possa interessare anche i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo che ricadono nell'ambito di applicazione del Jobs Act.