La Cassazione promuove le tabelle milanesi del danno parentale

Maurizio Hazan
Filippo Martini
Marco Rodolfi
08 Marzo 2023

Nel caso di risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale, le tabelle milanesi si conformano tout court ai suddetti requisiti essendo fondate sulla: adozione del criterio "a punto variabile", estrazione del valore medio del punto dai precedenti; modularità; elencazione delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della quantificazione del danno (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, quella del superstite, il grado di parentela, la eventuale convivenza) e dei relativi punteggi.
Introduzione

Con l'ordinanza del 16 dicembre 2022 n. 37009 la Cassazione promuove a pieni voti le tabelle milanesi per la liquidazione del danno parentale.

Solo sei mesi prima, con l'ordinanza n. 20292 del 23 giugno 2022, la stessa Suprema Corte aveva dato continuità all'orientamento (ben scolpito nell'ordinanza n. 26300/2021) che individuava nella Tabella di Roma l'unico riferimento rispettoso del principio che avrebbe dovuto esser seguito, secondo il quale “il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda “l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché' l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione”.

Alla luce di quanto sopra l'Osservatorio della Giustizia Civile del Tribunale di Milano sentiva l'esigenza di prontamente intervenire per conformare le proprie tabelle all'indicazione metodologica predicata dalla Cassazione. Non tanto – o non solo - per mantenere il “primato” che la stessa Suprema Corte le aveva riconosciuto in passato (a far tempo dalla nota sentenza Amatucci n. 12408/2011) quanto per dar continuità alla prassi liquidativa piuttosto uniforme che la giurisprudenza di merito aveva sviluppato - in modo prevalente sull'intero territorio nazionale – facendo riferimento proprio alle forbici valoriali previste dalla tabella milanese del danno parentale.

Si trattava dunque di provare a coniugare l'impostazione criteriologica prescritta dalla Cassazione con l'esigenza di non deviare troppo dai concreti riferimenti economici dei risarcimenti medi erogati negli ultimi anni in applicazione delle “vecchie” tabelle meneghine (salvaguardando così quello stesso, fondamentale, principio di uniformità valutativa che sta alla base del metodo tabellare).

Ha così visto la luce (il 29 giugno 2022) l'edizione aggiornata delle “tabelle”, che lo stesso Osservatorio – proprio per preservare la continuità del proprio ruolo centrale di orientamento, si è affrettato a chiarire non essere affatto “nuove” (ma una semplice versione rimodellata delle tabelle precedenti “integrate con un sistema a punti”.

Tale alacre lavoro di adeguamento (che ha incontrato la pressoché totale adesione dei numerosi professionisti che compongono le diverse anime dell'Osservatorio) non è stato dunque vano, ottenendo il pieno avallo della Suprema Corte, che con la sua ultima ordinanza del 16 dicembre ha affermato, in modo rotondo, che “le ultime tabelle milanesi, rielaborate e rese pubbliche nel mese di giugno, si conformano tout court” alla regola “a punti” imposta quale modello dalla Cassazione.

Ciò, tuttavia, non significa che la tabella milanese sia (tornata ad essere) l'unico parametro al quale riferirsi per la liquidazione del danno parentale, dal momento che lo stesso convive con la tabella di Roma, dando vita ad un possibile “doppio binario” valutativo che potrebbe dar luogo a qualche problema applicativo, stante la non esatta sovrapponibilità (anche sul piano risultati) del metodo meneghino e di quello capitolino.

Il presente lavoro mira a dar conto dello stato dell'arte, affrontando alcune criticità collegate alla coesistenza delle due tabelle (con particolare riferimento alla “lesione” del rapporto parentale) e analizzando il tema anche sotto il profilo della sostanziale automaticità della liquidazione del danno al semplice ricorrere degli elementi “anagrafici” su cui si fondano le “nuove” presunzioni tabellari, assai prossime – in concreto – al riconoscimento di un vero e proprio danno in re ipsa.

Infatti, dei cinque parametri considerati dalla tabella milanese ai fini della distribuzione a punti, quattro hanno natura oggettiva (integrando presunzioni semplici superabili con prova contraria a carico dei convenuti) mentre il quinto ha natura soggettiva e riguarda sia gli aspetti dinamico relazionali (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita) sia quelli da sofferenza interiore, entrambi da allegare e provare, anche con presunzioni, non essendo predicabile, nel sistema della responsabilità civile, l'esistenza di una fattispecie di danno in re ipsa ( in senso conforme, di recente, Cass. sez. un. n. 33645/2022).

Casistica da cui trae origine la decisione

La vertenza trae origine dalla richiesta di risarcimento dei danni, sia patrimoniali che non patrimoniali, che i congiunti di una donna deceduta a seguito di trasfusione con sangue infetto affermavano di aver subito.

Il Tribunale di Palermo, rigettata l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Salute, accoglieva parzialmente la domanda.

I congiunti della de cuius interponevano gravame avverso la decisione in questione e la Corte d'Appello di Palermo, con sentenza 11 Marzo 2019, n°488, riformava la sentenza di primo grado, liquidando il danno da perdita del rapporto parentale in misura di € 50.000,00 per ciascun figlio e di € 10.000,00 per ciascun nipote.

Ricorrendo in Cassazione, tali congiunti hanno lamentato la mancata applicazione della tabella milanese, affidando le proprie doglianze ad un unico motivo, sub specie "violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c., art. 2 e 3 Cost. e art. 1226 c.c. e delle Tabelle di Milano sulla liquidazione del danno non patrimoniale - omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.".

Il motivo è ritenuto fondato dalla Suprema Corte.

La questione e il contenuto dell'ordinanza n. 37009/2022

La questione posta all'attenzione del Supremo Collegio è stata quella relativa all'individuazione dei “criteri di liquidazione del danno parentale e la conseguente scelta della tabella di riferimento”, con particolare riguardo alla Tabella di Milano, quest'ultima come aggiornata e modificata nel giugno del 2022.

Secondo i ricorrenti, infatti, la Corte di merito avrebbe errato nel liquidare il risarcimento spettante agli eredi della signora G.G., non avendo applicato i parametri indicati nelle tabelle del tribunale di Milano, ed in particolare, riconoscendo, senza motivazione, una somma inferiore ad un terzo rispetto al minimo stabilito per tale tipo di danno dalla Tabelle Milanesi.

Con l'ordinanza in commento il collegio ha inteso accogliere il ricorso, rispondendo al quesito postole dando continuità, come già ricordato, “ai principi recentemente affermati da questo giudice di legittimità con le sentenze n. 10579/2021 e n. 26300/2021”, fornendo tuttavia delle importanti “precisazioni” alla luce dell'adozione da parte dell'Osservatorio per la Giustizia Civile di Milano di una Tabella che prevede il sistema del c.d. punto variabile.

Nella parte introduttiva della propria motivazione la Suprema Corte ha dapprima ricordato come la validità della modalità di liquidazione del danno biologico secondo il sistema “tabellare” sia stata affermata in ragione del fatto che tale metodo è stato attuato in “modo flessibile, definendo una regola ponderale su misura per il caso specifico e motivando congruamente in ordine all'adeguamento del valore medio del punto alle peculiarità del caso anche quando adotti una "tabella" (Cass. n. 4852/1999), con la conseguenza che, costituendo l'uso della tabella espressione del potere equitativo del giudice, “questi non è vincolato all'adozione della tabella adottata presso il proprio ufficio giudiziario e ben può adottare "tabelle" in uso presso altri uffici”. In tali casi, però, “poiché il fondamento della "tabella" è la media dei precedenti giudiziari in un dato ambito territoriale e la finalità è quella di uniformare i criteri di liquidazione del danno” il giudice dovrà “congruamente motivare le ragioni della sua scelta", se diversa.

L'ordinanza prosegue richiamando quanto la stessa Suprema Corte - nel giugno del 2011, con l'ormai celebre sentenza “Amatucci” (n. 12408) – aveva affermato con specifico riferimento all'applicabilità del metodo tabellare al danno da perdita del rapporto parentale, anche in relazione alla cui liquidazione doveva valere il principio secondo il quale le Tabelle di Milano costituivano “il parametro di riferimento, per il giudice di merito sicché "la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza adottate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integra violazione di norma di diritto, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3". Questo perché venne osservato come “sul piano dei valori tabellari, si registrassero "divergenze assai accentuate, che di fatto danno luogo ad una giurisprudenza per zone, difficilmente compatibile con l'idea stessa dell'equità”.

Il Supremo Collegio ha altresì ricordato che “Il Giudice, è tenuto ad applicare la tabella vigente al momento della decisione, risultando, di converso, irrilevante che, dopo la delibazione, ma prima del deposito della sentenza, sia stata diffusa una versione aggiornata della tabella” (Cass. n. 20381/2016) e che “ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare” (Cass. n. 9231 del 2013).

Ciò posto, la Cassazione conclude censurando la sentenza oggetto di gravame, nella quale la Corte d'Appello, pur accogliendo la doglianza relativa all'erronea quantificazione dei danni operata dal Tribunale, aveva poi “immotivatamente riconosciuto agli appellanti una somma considerevolmente inferiore rispetto al minimo tabellare previsto dall'osservatorio milanese per tale tipo di danno”.

Senonché, per poter affermare la perdurante validità della tabella milanese occorreva fare i conti con quanto il Supremo Collegio aveva sostenuto nel corso dell'ultimo biennio, predicando l'adozione di una tabella “a punti” anche per la liquidazione del danno parentale e criticando, di converso, il diverso criterio “a forbici” adottato dall'Osservatorio del Tribunale di Milano.

Del resto, come sopra ricordato, l'orientamento di legittimità avviato con la sentenza n. 10579/2021 aveva portato la Cassazione ad evidenziare (in modo esplicito nelle pronunce n. 26300/2021)“come le tabelle elaborate dal Tribunale di Roma a differenza di quelle di Milano, fossero le sole, sul territorio nazionale, in grado di garantire l'applicazione di quei criteri equitativi predicati dalla sentenza 12408/2011, liquidando il danno da perdita del rapporto parentale attraverso una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda “ l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella".

Al riguardo – e lo abbiamo già visto – la Cassazione, con l'ordinanza n. 37009/2022, prende atto dell'intervento riformatore dell'Osservatorio di Milano e della sua nuova versione delle tabelle per il danno parentale, oggi rielaborate secondo il metodo a punti e perciò coerenti con i principi di diritto enunciati dalla Corte.
Il che le rende legittimamente applicabili, anche da parte del Tribunale di Palermo, al quale la decisione viene rinviata in accoglimento del ricorso.

Le questioni giuridiche sottese alla decisione

L'ordinanza n. 37009 del 16 dicembre scorso, qui in commento, pone dunque un ulteriore ed essenziale tassello al sistema del risarcimento del danno non patrimoniale, con particolare riferimento al danno da lesione o perdita del rapporto parentale, risolvendo quasi due anni di incertezze giudiziarie dettate dalla sopravvenuta affermata inadeguatezza della tabella milanese (edizione 2021), che sino ad allora era stata l'incontestato criterio di riferimento equitativo condiviso dalla quasi totalità dei tribunali.

Occorre peraltro osservare come la decisione non restituisca alle Tabelle Milanesi quella supremazia assoluta che in precedenza le era stata riconosciuta, ponendo le tabelle milanesi e quelle romane sullo stesso piano, in quanto entrambe rispettose dei criteri indicati dalla Corte.

Senonché non si tratta di tabelle tra loro identiche e l'applicazione dell'una o dell'altra può condurre, come vedremo, a risultati diversi, anche per quel che attiene all'individuazione della platea dei legittimati attivi.

A questo punto la scelta della tabella da applicare – milanese o romana - sarà rimessa alla valutazione dei Giudici del merito, che potranno tener conto delle richieste presentate dagli istanti (che a loro volta potrebbero esser guidati da ragioni opportunistiche e tese a valorizzare al meglio le loro pretese risarcitorie).

La questione non è di poco conto se si pensa che – come detto - le due tabelle, seppur improntate ai medesimi principi, prevedono dei meccanismi applicativi differenti che portano a risultati monetari differenti.

Si pensi così anche al CAP ossia il tetto massimo di liquidazione previsto soltanto dalle tabelle milanesi.

NB. Si vedano gli esempi comparativi nella sezione “Casistica”.

A corollario di quanto deciso in merito alla piena coerenza delle nuove tabelle milanesi al dettato della suprema corte discendente dall'arresto n. 10579/2021 e successivi, vanno segnalati alcuni passaggi di rilievo attorno ai quali si struttura l'importante decisione dello scorso dicembre:

  • La Corte afferma non essere mai stato suo compito quello di incidere nella valutazione di merito del singolo giudice e sui criteri di quantificazione del danno, rimessi tout court ai tribunali.
  • Semmai, rileva la Corte, è auspicabile che – nel perdurante “assordante” silenzio del legislatore – le stesse corti territoriali si facciano carico della elaborazione di una tabella nazionale unica, “all'esito di un lavoro congiunto tra gli osservatori impegnati nello studio ed alla elaborazione delle tabelle”; si vedrà in futuro se questo chiaro, ed inedito, invito verrà raccolto principalmente dagli osservatori di Milano e Roma che hanno dato i “natali” alle due tabelle che oggi si contendono il primato del meccanismo compensativo adeguato alla perdita o lesione del rapporto parentale. Ciò anche al fine di scongiurare un nuovo dualismo compensativo che ci riporti a differenziazioni risarcitorie per aree geografiche ed a una nuova incertezza applicativa foriera sempre di contenzioso e conflittualità.
  • Per la Corte, inoltre, resta ferma, come spesso affermato, “la possibilità di una liquidazione che non si conformi ai parametri tabellari”, alla condizione che il caso si presenti come assolutamente eccezionale (e quindi “si sottragga ad una meccanica, arida e pur sempre inappagante operazione aritmetica”) e che “la valutazione equitativa pura del giudice si sostanzi e tragga linfa dal complesso di argomenti” che reggono lo schema tracciato dalla stessa Corte.
  • Infine, precisa l'ordinanza, la tabella di Milano potrà ben essere applicata anche a casi antecedenti alla sua divulgazione (primavera 2022) ove espressamente richiesto da una delle parti in giudizio.

Il quadro che se ne ricava è tuttavia soltanto in apparenza armonico. Molte le antinomie, le perplessità e le complicazioni applicative che il sistema “a doppio binario” disegnato dalla Corte finisce per generare.

Passiamone, velocemente, in rassegna alcune.

Osservazioni e note critiche

Come concretamente evidenziato negli esempi comparativi allegati alla sezione “Casistica” le due tabelle (milanese e romana), seppur improntate ai medesimi principi, si differenziano sul piano dei valori e dei meccanismi di calcolo in concreto utilizzati, portando a risultati monetari tra loro potenzialmente differenti.

Non solo. La stessa selezione dei legittimati attivi (più ampia quella romana) conduce a conseguenze diverse, a seconda del tipo di tabella in concreto applicata.

Potrà dunque accadere che i danneggiati chiedano l'applicazione della tabella milanese o di quella romana spinti, a seconda dei casi, da ragioni di pura convenienza.

Il che non ci pare possa significare che il giudice di merito sia vincolato alla richiesta o all'indicazione che la parte attrice vorrà dare nell'incardinare la causa e formulare la propria domanda risarcitoria in citazione; potrà, ma non dovrà necessariamente, applicare la tabella milanese del danno parentale (oggi “sdoganata” dalla Suprema Corte) laddove invocata dall'attore, così come disattendere tale richiesta e preferire quella romana, sostenendo la propria scelta con adeguata motivazione (e viceversa, naturalmente). Da chiedersi dunque se, come nel caso deciso dalla Corte, i parenti lesi che contestino la mancata applicazione dell'una o dell'altra tabella abbiano ancora la possibilità di ricorrere in Cassazione assumendo la violazione della regola equitativa prevista dall'art. 1226 c.c. (dal momento che secondo l'ordinanza n. 37009 entrambe le tabelle sembrano, seppur tra loro diverse, ossequiarne ugualmente il contenuto).

Rimane il fatto che l'incertezza sui criteri liquidativi in concreto seguiti – se milanesi o romani, a seconda del “sentire” del giudice – complicano un poco la pur fondamentale finalità deflattiva del contenzioso che il metodo tabellare persegue, ponendo potenzialmente a rischio (nel dubbio su quale tabella applicare) il buon esito del dialogo stragiudiziale volto alla liquidazione bonaria del danno, specie nel settore dell'assicurazione sanitaria e della rc auto (quest'ultima, peraltro, caratterizzata dagli stretti vincoli imposti all'assicuratore, quanto alla tempestiva offerta di una congrua offerta o di un motivato rifiuto della stessa).

È opportuno poi osservare come la segnalata differenza valutativa emerga con particolare evidenza soprattutto allorché si tratti del danno riflesso: e dunque non della perdita ma della grave lesione del rapporto parentale (si pensi ad esempio al caso della madre che chieda il risarcimento del danno, morale e dinamico relazionale, subito a seguito del grave danno alla salute riportato dal proprio figlio convivente, al quale dovrà dare assistenza vita natural durante).

Al riguardo, la Tabella Capitolina fornisce precise indicazioni, confermando la propria impostazione a punti e individuando il valore del punto base (6.000 euro), suddividendolo in due componenti, l'una afferente alle sofferenze morali e l'altra allo sconvolgimento del rapporto parentale sul piano dinamico relazionale (sconvolgimento a sua volta diversamente valutato in funzione del riconoscimento o meno, a favore della vittima primaria, di prestazioni assistenziali da parte di terzi).

A chiudere il cerchio, la valutazione complessiva del danno si ottiene moltiplicando la risultante del calcolo puntuale per la percentuale del danno biologico residuato alla vittima primaria.

Non altrettanto avviene nella tabella Milanese, la quale, nella sua nuova edizione 2022 - nel proprio allegato 2 (“domande e risposte”) - giustifica la mancanza di una tabella ad hoc con la non reperibilità di un numero di sentenze utile a una significativa ricognizione statistica. Per questo il giudice potrà valutare se avvalersi della stessa tabella “sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato”. Nessun riferimento a punti o alla misura del danno alla salute sofferto dal parente (macro)leso (riteniamo, peraltro, che la pretesa risarcitoria non sia neppure sostenibile in caso di lesioni di lieve o media entità). Ne deriva, con patente evidenza, che (soprattutto) in relazione al danno “riflesso” le due Tabelle non risultano affatto equipollenti, tantomeno sul piano dell'approccio metodologico. E mentre quella romana appare fedele all'impostazione abbracciata dalla Cassazione, quella milanese finisce per attribuire al giudice una libertà valutativa tanto piena da risultare antitetica alle indicazioni della Suprema Corte. È certamente apprezzabile l'onestà con la quale l'Osservatorio milanese ha dichiarato di non essere in condizione di stilare una tabella a punti, in assenza di basi statistiche adeguate a sostenerla.

E va di converso rilevato come la struttura tabellare romana non faccia alcun cenno circa il campione di sentenze che sarebbero state “osservate” prima di estrarre il valore del punto che è poi stato posto a fondamento del criterio di calcolo. Anche per tale ragione rimane, sullo sfondo, il dubbio che il danno parentale, e soprattutto il danno riflesso, non si presti a misurazioni esatte, ricavate dall'analisi della prassi, e sia invece meglio gestibile mediante una valutazione equitativa da compiersi caso per caso, seppur entro alcune coordinate di massima (come sempre avvenuto in passato, prima del cambio di passo voluto dalla Cassazione).

Il tema conduce ad altre complesse considerazioni, che certamente non potremo che limitarci ad enunciare in questa sede, relative al sostanziale rischio di far sì che dietro l'applicazione della esasperata tassonomia aritmetica predicata dalla Suprema Corte finisca per celarsi il riconoscimento di un danno parentale in re ipsa, in quanto dato per esistente al semplice ricorrere delle presunzioni anagrafiche proposte dai muovi metodi tabellari a punti. “Danno in re ipsa” che, in realtà, la stessa ordinanza in commento sconfessa espressamente, affermando apertis verbis che il danno parentale non sfugge all'onere della sua allegazione e prova, sia pure con presunzioni “non essendo predicabile, nel sistema della responsabilità civile, l'esistenza di una fattispecie di danno in re ipsa”. Al riguardo la Cassazione richiama la recentissima decisione con cui le Sezioni Unite (in senso conforme, di recente, Cass. sez. un. n. 33645/2022) hanno cercato di risolvere il contrasto tra l'orientamento della seconda e quello della terza civile in tema di liquidazione del danno nell'ipotesi di occupazione sine titulo di immobile. La questione posta dal contrasto era, al fondo, se di per sé la violazione del contenuto del diritto di proprietà, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria.

E le Sezioni Unite hanno dato al quesito risposta positiva, nei termini emersi nella linea evolutiva della giurisprudenza della seconda sezione civile, secondo cui la locuzione «danno in re ipsa» va sostituita con quella di «danno presunto» o «danno normale», privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato, premiando un'interpretazione che resterebbe coerente al significato di danno risarcibile quale perdita patrimoniale subita in conseguenza di un fatto illecito e che si porrebbe come punto di mediazione fra la teoria normativa del danno, e quella della teoria causale del danno conseguenza. Ciò posto, il danno parentale costituisce altro terreno tipico di elezione in cui provare a riaffermare la teoria del danno in re ipsa, più o meno mistificato dietro al gioco di meccanismi presuntivi difficilmente vincibile da prova contraria. Certo, determinati eventi (come la morte di un parente) rappresentano, nella normalità, una perdita implicante dolore e sofferenza. Ma non sempre e non necessariamente. L'esperienza che si ritrae dal variegato e mutevole atteggiarsi delle relazioni umane rivela vicende familiari in cui la cifra affettiva è attenuata, se non azzerata e sostituite da sentimenti di ostilità. E non di rado, la fenomenologia del danno parentale è testimone di richieste risarcitorie svolte da parenti il cui legame affettivo con il de cuius si risveglia, quando non addirittura si genera, proprio in vista, e in funzione del confronto con il responsabile civile. Ecco perché occorre una certa attenzione nell'avallare percorsi probatori fondati su presunzioni frettolose o, peggio, su massime d'esperienza che potrebbero non riflettere affatto la consistenza e la qualità dello specifico rapporto affettivo (parentale) oggetto di indagine.

Merita dunque di esser messa in discussione la tendenza seguita dalla Corte nel dar incondizionato accesso a percorsi probatori presuntivi che finiscono per trasformarsi in apodittiche affermazioni di un danno la cui (diabolica) confutazione viene rimessa al convenuto/responsabile. A un convenuto che, normalmente, non si trova nella possibilità di fornire argomenti istruttori volti a superare la presunzione semplice (di sofferenza per la perdita di un rapporto parentale “ontologicamente” affettivo, in quanto stretto) su cui si fonda la richiesta risarcitoria dei parenti che si affermano lesi. Valga, al riguardo, quanto la Cassazione ha sostenuto nel dichiarare che la prova del danno non patrimoniale da sofferenza interiore per la perdita del congiunto può essere fornita mediante presunzione fondata sull'esistenza dello stretto legame di parentela riconducibile all'interno della famiglia nucleare, superabile dalla prova contraria, gravante sul danneggiante, imperniata non sulla mera mancanza di convivenza (che, in tali casi, può rilevare al solo fine di ridurre il risarcimento rispetto a quello spettante secondo gli ordinari criteri di liquidazione), bensì sull'assenza di un legame affettivo tra i superstiti e la vittima nonostante il rapporto di stretta parentela (Cass. 24 aprile 2019, n. 11212 e Cass. 31 gennaio 2019, n. 2788).

Ci troviamo dunque, anche in questo caso, di fronte ad un “danno normale” o presunto di cui hanno discusso le Sezioni unite nella citata sentenza n. 33645/2022; danno la cui distinzione dalla categoria di un danno in re ipsa, rischia di rimanere soltanto nominalistica e, perciò stesso discutibile. Rimane il fatto che anche sotto questo profilo di indagine la tabella romana non è si sovrappone del tutto a quella milanese; la quale ultima sembra presentare insidie diverse e maggiori proprio sul piano del riconoscimento in fatto di un danno in re ipsa da perdita del rapporto parentale. Ed invero l'Osservatorio del Tribunale di Milano, trattando delle “cinque circostanze considerate ai fini della distribuzione dei punti”, distingue le prime quattro – corrispondenti all'età della vittima primaria e della vittima secondaria, della convivenza tra le due, della sopravvivenza di altri congiunti – dalla quinta, afferente alla qualità e intensità della specifica relazione affettiva perduta. Mentre le prime quattro circostanze “hanno natura “oggettiva” e sono quindi “provabili” anche con documenti anagrafici, la quinta circostanza è di natura “soggettiva” e riguarda sia gli aspetti cd “esteriori” del danno da perdita del parente (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita) sia gli aspetti cd “interiori” di tale danno (sofferenza interiore) e deve essere allegata, potendo poi essere provata anche con presunzioni”.

Ora, il danno parentale, nella sua morfologia sofferenziale variabile, da caso a caso e di famiglia in famiglia, presenta sfumature difficilmente comprimibili in algoritmi meccanici, specie se fondati sulla (chimerica) pretesa di valorizzare in modo razionale presunzioni a matrice sostanzialmente anagrafica. Merita di essere menzionata, al riguardo, la recente sentenza Cass. n. 11689/2022, che ben evidenzia la necessità di valutare analiticamente – senza ricorrere ad apodittiche affermazioni che riducono la motivazione ad una sostanziale dimensione di apparenza – tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio) in re ipsa. E, ancor prima, il medesimo provvedimento chiarisce che il pregiudizio parentale è un danno che, per sua natura, richiede la specifica considerazione delle singole occorrenze dei rapporti parentali individualmente considerati, senza che possa soddisfare, a tal fine, il mero richiamo a considerazioni che attengono all'esame di altre realtà familiari, inevitabilmente caratterizzate da esperienze non altrove esportabili.

Tali (giuste) considerazioni collidono con l'idea di una tabella a punti che riconosca il risarcimento per il sol fatto che determinati indici o parametri anagrafici siano integrati, a prescindere dal più concreto apprezzamento della dimensione relazionale e affettiva del singolo rapporto parentale di cui si discorre. Non sembra al riguardo del tutto condivisibile che, come oggi predica la Tabella la mera allegazione del certificato anagrafico (o dello stato di famiglia) legittimi il riconoscimento di un danno commisurato a bel il 70% (!) dei punti disponibili. Nello specifico, poi, alcuni dei singoli indici risultano potenzialmente forieri di distorsioni applicative. Ad esempio, la convivenza con la vittima primaria può lasciar presumere (in modo peraltro superabile) un'alterazione esistenziale più grave e diversa rispetto a quella patita da chi con la vittima non conviveva; ma non in termini assoluti; non 16 (od 8) punti o niente. Ma soprattutto, sommando acriticamente i punteggi relativi all'età della vittima primaria, della vittima secondaria, alla convivenza e al numero dei superstiti in una data realtà familiare si otterrebbe un risarcimento automatico del danno pari alla moltiplicazione del punto per i diversi coefficienti individuati. Per un risultato che sarebbe lo stesso tanto in una famiglia caratterizzata da rapporti affettivi stretti, veri e autentici quanto in un contesto familiare connotato da odi personali marcatissimi.

Certo si potrebbe obiettare che tale meccanismo presuntivo sia vincibile con prova contraria. Ma come potrebbe mai il danneggiato trovare argomenti utili per ribaltare tale asettica valutazione presuntiva e dimostrare l'effettivo stato delle relazioni e dei relativi pregiudizi? Forse dando incarico a investigatori privati, a cui affidare l'arduo compito di ricostruire (e a che prezzo...) la autentica fenomenologia di una data relazione parentale? Insomma, il rischio di un automatismo insidioso non convince del tutto, e non risulta ammortizzato dalla necessità di una più precisa prova (anche presuntiva) prevista dalla nuova tabella milanese per personalizzare il danno quotando (sino a un massimo di 30 punti…) la qualità ed intensità della relazione affettiva/prossimità di vita in funzione di altri indici (contatti e frequentazioni de visu, telefonici o digitali, condivisioni di vacanze, hobby e sport etc.). Qui si insinua un evidente paradosso: nel caso in cui, per avventura, una data relazione non fosse connotata da alcuna frequentazione personale (o digitale o telefonica), da nessuna condivisione di vacanze, festività, ricorrenze, lavoro o sportiva, ebbene anche in tali casi il danno non sarebbe comunque negato, al ricorrere degli altri indici presuntivi anagrafici (età, convivenza etc.).

E ciò pur a fronte di un quadro relazionale talmente desolante da lasciar (qui sì) presumere un totale azzeramento dell'usuale matrice affettiva che connota un normale rapporto parentale. Si tratta di un'impostazione opinabile, anche in considerazione del principio di vicinanza della prova che nella moderna società digitale potrebbe esser agevolmente fornita dal parente che agisce per il ristoro del proprio danno. È lui a disporre di tutti gli elementi utili (cronologia di messaggi, Whatsapp, prenotazioni on line, fotografie, social etc.) a strutturare (presuntivamente) la corteccia probatoria di base, ossia il fatto che quel dato rapporto parentale è davvero affettivo, stabile e sufficientemente assiduo da lasciar, del tutto naturalmente, ritenere che la sua perdita costituisca un danno per chi l'ha patita. Sarebbe dunque auspicabile un'inversione della logica presuntiva che, al contrario, oggi pare l'ubi consistam dello schema milanese, i cui (fin troppo) rigidi schemi anagrafici risultano, astrattamente, sufficienti a riconoscere un danno economicamente importante (sino 70% del montante disponibile), a cui andrebbero poi ad aggiungersi le poste incrementali fondate su coordinate relazionali che dovrebbero invece integrare il substrato probatorio dell'esistenza di ogni e qualsiasi relazione parentale autenticamente affettiva. L'attribuzione dei punti, a ben vedere, dovrebbe muovere da una logica inversa: provati gli elementi caratterizzanti la perdita/lesione del rapporto parentale (e solo una volta raggiunta tale prova), troverebbero applicazione i criteri “anagrafici”. Al contrario, per come è strutturata oggi la tabella meneghina, prima vengono attribuiti i punteggi che non riposano su allegazioni probatorie diverse dal certificato anagrafico/stato di famiglia, poi quelli che effettivamente concorrono a determinare l'esistenza di un pregiudizio parentale, in un cortocircuito probatorio opinabile.

Tanto più in considerazione di quanto sostenuto dalle Sezioni unite a proposito del fatto che l'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18074), in relazione ai quali “poiché́ non si compie l'effetto di cui all'art. 115, comma 1, c.p.c., per i fatti ignoti al danneggiante l'onere probatorio sorge comunque per l'attore, a prescindere dalla mancanza di contestazione” (Cass. sez. un. n. 33645/2022).

Diversa invece pare l'impostazione del Tribunale di Roma, la cui relazione illustrativa alla tabella del danno parentale sembrerebbe riportare l'operatività dei meccanismi presuntivi entro rapporti di interazione più razionali e più rispettosi degli ordinari principi di allegazione e (vicinanza della) prova degli elementi fondanti attorno ai quali si struttura l'essenza prima del danno parentale. Il condizionale è però d'obbligo, dal momento che quella stessa relazione illustrativa presenta passaggi critici e contraddittori, tra loro difficilmente armonizzabili. Così, in prima battuta, si chiarisce che i cinque fattori di influenza del risarcimento (rapporto di parentela, età del congiunto, età della vittima e convivenza) operano una volta ritenuta provata la esistenza di una seria relazione affettiva; il che sembra riportare in capo all'attore quell'onere della prova che del tutto naturalmente dovrebbe assolvere (anche a mezzo di presunzioni specifiche e non genericamente anagrafiche) per dimostrare l'esistenza di un rapporto familiare affettivamente qualificato e come tale meritevole di tutela. Sennonché individuando il differente punteggio attribuito ai diversi gradi di parentela della vittima secondaria con il de cuius la relazione afferma che “Il punteggio può essere diminuito fino alla metà in relazione alla situazione correlata alla effettiva esistenza di un serio rapporto affettivo o annullato in caso di prova di assenza di un vincolo effettivo”.

Ciò pone più di un problema di lettura, lasciando aperto il dubbio su chi debba dimostrare l'intensità di quel vincolo affettivo, la cui totale “assenza” sembrerebbe peraltro dover esser dimostrata dal responsabile civile, a superamento della presunzione anagrafica di partenza. D'altra parte vien da chiedersi cosa dovrebbe accadere agli altri parametri laddove il punteggio relativo alla relazione parentale si azzerasse, dovendosi immaginare che tale azzeramento – riguardando la stessa matrice affettiva di base, in assenza della quale di danno neppure dovrebbe potersi parlare - dovrebbe precludere qualsiasi possibilità di applicare in automatico gli altri fattori di modulazione del danno parentale risarcibile. Anche parlando di convivenza, poi, la Tabella Romana mostra poca chiarezza espositiva: da un lato, dopo averla definita (soltanto in relazione al danno riflesso…) come un rapporto affettivo caratterizzato da un serio e prolungato vincolo di natura parafamiliare da cui si desuma un intento di programmare una vita comune, afferma che il riconoscimento del punteggio “postula” (e quindi da per presupposta, ndr) la prova di un rapporto affettivo concretamente esistente.

Dall'altro sostiene che tale punteggio “può essere ridotto fino alla metà o annullato in situazioni in cui ciò̀ non si desuma (si pensi ad una separazione con addebito al coniuge superstite, o una mancata frequentazione pluriannuale con un familiare trasferitosi altrove etc.). Affermazione che non pare compatibile con quella, contenuta in un passaggio precedente della relazione, in cui si afferma che la mancata convivenza comporta una riduzione del computo finale del risarcimento (in misura - diversamente e non coerentemente indicata in due diversi passi – pari ad un terzo o ad un mezzo del valore totale desunto dalla sommatoria degli altri indici).

Conclusioni

Gli argomenti qui trattati, ovviamente, sono complessi e richiederebbero altre più granulari considerazioni. Ai nostri fini, basti osservare come anche da questo punto di vista (diremmo metodologico) le due impostazioni tabellari paiono divergere, ponendo ancora una volta il dubbio circa l'opportunità di conservarle entrambe quali riferimenti paranormativi a vocazione nazionale in tema di liquidazione del danno parentale.

Il che riporta in emersione l'opportunità di un intervento risolutivo del legislatore che - velatamente auspicato nella stessa ordinanza oggetto del presente commento – sappia risolvere tutte le cennate dicotomie, fornendo una indicazione chiara e definitiva. Indicazione che potrebbe anche, come altre esperienze europee insegnano, optare per una determinazione fissa di un danno che, proprio perché unilateralmente stabilito a priori, potrebbe esser considerato “in re ipsa” per volontà legislativa (e calcolato non in funzione di una sua pretesa chimerica di esattezza risarcitoria ma in misura convenzionale e sostenibile, anche in funzione della “tenuta” del sistema assicurativo della rc auto e della rc sanitaria, come già oggi accade per il danno non patrimoniale alla persona ex art. 138 cod. ass. priv.).

Casistica

Si riporta uno schema ad esempi per la comparazione dei criteri di conto applicati dalle tabelle di Milano e Roma (a cura Jacopo Socci).

CASO 1)

Risarcimento chiesto da madre di 45 anni per morte del figlio di 15 anni convivente con 2 superstiti del nucleo familiare primario

Dal monitoraggio dell'Osservatorio, su 24 sentenze, importo medio liquidato € 306.000,00 (morti dai 15 ai 22 anni)

ROMA 2019

32 punti riconosciuti, di cui:

  • per grado parentela: 20;
  • per età vittima: 5;
  • per età congiunto: 3;
  • per convivenza: 4

Totale: € 313.814,40

MILANO 2022

minimo: punti 74 (26+20+16+12+0) = € 249.010,00

medio: punti 89 (26+20+16+12+15) = € 299.485,00

massimo: punti 104 (24+20+16+12+30) = € 349.960,00→ 336.500,00 CAP

CASO 2)

Risarcimento chiesto da madre vedova di 39 anni per morte del figlio di 10 anni convivente con nessun superstite del nucleo familiare primario

Dal monitoraggio dell'Osservatorio, su 3 sentenze, media € 342.000,00

ROMA 2019

36 punti riconosciuti, di cui:

  • per grado parentela: 20;
  • per età vittima: 5;
  • per età congiunto: 4;
  • per convivenza: 4;
  • per l'assenza di altri familiari conviventi: 3

Totale: € 353.041,20

MILANO 2022

minimo: punti 82 (28+22+16+16+0) = € 275.930,00

medio: punti 97 (28+22+16+16+15) = € 326.405,00

massimo: punti 112 (24+22+16+16+32) = € 376.880,00→ 336.500,00 (CAP)

CASO 3)

Risarcimento chiesto da madre di 68 anni per la morte del figlio di 45 anni non convivente con 2 superstiti del nucleo familiare primario

Dal monitoraggio dell'Osservatorio, su 11 sentenze, media € 197.793,00

ROMA 2019

25 punti riconosciuti, di cui:

  • per grado parentela: 20;
  • per età vittima: 3;
  • per età congiunto: 2;

Totale: € 245.167,50

NB: Poiché il genitore non era convivente con la vittima, il punteggio complessivo può essere ridotto fino a 1/2.

MILANO 2022

minimo:punti 48 (20+16+0+12+0) = € 161.200,00

medio: punti 63 (20+16+0+12+15) = € 211.995,00

massimo: punti 78 (20+16+0+12+30) = € 262.470,00

CASO 4)

Risarcimento chiesto da marito non separato di 85 anni per morte della moglie di 80 anni convivente con un figlio superstite del nucleo familiare primario

Dal monitoraggio dell'Osservatorio, su 2 sentenze, media € 243.500,00

ROMA 2019

27 punti riconosciuti, di cui:

  • per grado parentela: 20;
  • per età vittima: 2;
  • per età congiunto: 1;
  • per convivenza: 4.

Totale: € 264.780,90

MILANO 2022

minimo: punti 50 (12+8+16+14+0) = € 168.250,00

medio: punti 65 (12+8+16+14+15) = € 218.725,00

massimo: punti 80 (12+8+16+14+30) = € 269.200,00

Leggenda e schema lavoro

Le Tabelle differiscono:

  • per il valore del punto;
  • per il fatto che i criteri della Tabella romana sembrerebbero essere tutti oggettivi (Trib. Torino 27 novembre 2022), mentre nella Tabella di Milano i primi quattro criteri sono oggettivi ed il quinto, sub E), è soggettivo, il che rende indispensabile la valutazione da parte del Giudice e rappresenta poi il fattore di variabilità delle liquidazioni di cui agli esempi dei quali sopra (anche per il criterio “Relazione di parentela con il de cuius” di cui alla Tabella di Roma, in verità, sarebbe teoricamente previsto che “Il punteggio può essere diminuito fino alla metà in relazione alla situazione concreta correlata alla effettiva esistenza di un serio rapporto affettivo o annullato in caso di prova di assenza di un vincolo effettivo”;
  • la distribuzione dei punti all'interno della Tabella Milanese tiene conto del monitoraggio effettuato su oltre 600 sentenze di merito in tema di liquidazione del danno da morte (secondo la Suprema Corte vi è infatti necessità “dell'estrazione del valore medio del punto dai precedenti”).

Queste spiegazioni e questo monitoraggio non risultano dalle relazioni accompagnatorie alle Tabelle di Roma (nelle loro diverse edizioni) ove ci si limita a dichiarare apoditticamente di aver adottato il “valore del punto sulla base dei concreti importi già liquidati dal Tribunale di Roma”.

  • le Tabelle romane prevedono un ventaglio più ampio di legittimati attivi. Ciò peraltro non significa che anche i soggetti non espressamente contemplati dalla Tabella milanese (zio, nipote, etc. etc.) non possano ottenere un risarcimento, ma significa solo che sarà necessaria: “la prova di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento di vita della vittima secondaria” a seguito della morte del proprio congiunto, evitando possibili automatismi.
  • la Tabella di Milano, poi, prevede un CAP che invece Roma non adotta.

In realtà anche in questo caso il CAP può essere superato ma laddove ricorrano “circostanze eccezionali”.

Questo sempre al fine di avere un sistema razionale e che possa essere “prevedibile” nelle sue conclusioni.

La Tabella di Roma, a sua volta, pare risarcire maggiormente rispetto alle Tabelle di Milano, i soggetti lontani dalla vittima primaria rispetto ai componenti del c.d. nucleo familiare primario.

Da ultimo, Milano non ha predisposto una tabella a punti per il danno non patrimoniale lamentato dai congiunti del macroleso, tabella che è invece prevista da Roma.

La Tabella Milanese parla solo di un possibile tetto massimo della liquidazione (dunque, la base di partenza è 0, ndr.), pari al tetto massimo previsto per il danno da morte (da applicare all'ipotesi di massimo sconvolgimento della vita familiare) non essendo possibile ipotizzare un danno non patrimoniale medio stante la “difficoltà di tipizzazione delle possibili variabili nei casi concreti”.

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