La condanna del whistleblower, che ha divulgato documenti riservati, rappresenta una violazione del diritto alla libertà di espressione (art. 10 CEDU)

La Redazione
08 Marzo 2023

Nel caso Halet c. Lussemburgo, la Corte, considerando l'importanza del dibattito pubblico sulle pratiche fiscali delle società multinazionali, a cui le informazioni divulgate dal richiedente avevano dato un contributo essenziale, ha ritenuto che l'interesse pubblico alla divulgazione di quell'informazione superava tutti i conseguenti effetti dannosi, rappresentando così la condanna del whistleblower una violazione del diritto alla libertà di espressione.

La Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza della Grande Camera del 14 febbraio 2023, caso Halet c. Lussemburgo (ricorso n. 21884/18), ha ritenuto, a maggioranza dei voti (dodici contro cinque), che vi fosse stata una violazione dell'art. 10 CEDU (libertà di espressione).

Il caso riguardava la divulgazione da parte del sig. Halet, mentre era alle dipendenze di una società privata, di documenti riservati protetti dal segreto professionale, comprendenti 14 dichiarazioni dei redditi di multinazionali e due lettere di accompagnamento, ottenuti dal suo posto di lavoro. A seguito di una denuncia del suo datore di lavoro, e alla chiusura del procedimento penale a suo carico, il sig. Halet era condannato dalla Corte d'appello al pagamento di una sanzione penale di 1.000 euro, e della somma simbolica di 1 euro a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal suo datore di lavoro.

Viste le sue rilevazioni circa l'importanza, sia a livello nazionale che europeo, del dibattito pubblico sulle pratiche fiscali delle società multinazionali, a cui le informazioni comunicate dal richiedente avevano dato un contributo essenziale, la Corte ha ritenuto che l'interesse pubblico alla divulgazione di quell'informazione superava tutti i conseguenti effetti dannosi. Così, dopo aver soppesato tutto gli interessi in questione e tenuto conto della natura, della gravità e dell'effetto dissuasivo della condanna penale del ricorrente, la Corte ha concluso che l'interferenza con il suo diritto alla libertà di espressione, in particolare la sua libertà di fornire informazioni, non sarebbe stata “necessaria in una società democratica”.