Il risarcimento del danno parentale spetta ad entrambe le vedove del bigamo?

Enrico Basso
09 Marzo 2023

Sia la prima che la seconda moglie del bigamo, poi deceduto, sono legittimate a chiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Per il quantum si applicano le nuove Tabelle milanesi (edizione 2022).
Massima

“In tema di risarcimento del danno da perdita del rapporto coniugale, ove il matrimonio sia stato dichiarato nullo - per aver la vittima di un sinistro stradale contratto seconde nozze senza aver sciolto il vincolo con il primo coniuge - il superstite è comunque legittimato a chiedere il risarcimento del danno in qualità di convivente more uxorio, se prova la convivenza fino al momento del decesso. E ciò anche in presenza di richiesta risarcitoria del primo coniuge, la cui posizione giuridica soggettiva è distinta e autonoma rispetto a quella del convivente more uxorio”.

Il caso

Tizio, tempo dopo essersi sposato con Caia, inizia una nuova relazione con Mevia, andando a conviverci.

Dopo alcuni anni di convivenza sposa Mevia; ma il divorzio da Caia viene pronunciato solo alcuni giorni dopo le nuove nozze.

Successivamente, Tizio resta vittima di un infortunio stradale causato da Sempronio; e solo dopo il sinistro mortale, il matrimonio tra Tizio e Mevia viene dichiarato nullo, in quanto contratto mentre Tizio era ancora legalmente sposato con Caia.

Così, stante l'annullamento del matrimonio, Mevia cita in giudizio Sempronio e la compagnia assicuratrice per vedersi riconoscere, in qualità di convivente more uxorio, il danno da perdita del rapporto con Tizio.

La compagnia assicuratrice si costituisce in giudizio, eccependo la carenza di legittimazione attiva in capo a Mevia e sostenendo che, a fronte della dichiarata nullità del matrimonio, la posizione giuridica di Mevia non sarebbe qualificabile neppure come convivenza more uxorio; con conseguente esclusione di ogni diritto al risarcimento per la perdita di Tizio, anche alla luce del rischio di una possibile duplicazione risarcitoria, visto il danno già liquidato in sede penale in favore della prima moglie Caia, costituitasi parte civile.

La questione

In caso di compresenza del coniuge e del convivente more uxorio, sono entrambi legittimati a chiedere il risarcimento del danno da perdita del rapporto con il defunto coniuge/convivente?

E, in caso affermativo, gli importi stabiliti dalle nuove tabelle milanesi per la liquidazione di questa tipologia di danno andranno suddivisi o liquidati per intero in favore di entrambi?

Le soluzioni giuridiche

I) L'art. 86 c.c. stabilisce in modo categorico che “non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso precedente”.

Per chi è già coniugato, la libertà di stato si riacquista solo con in passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; con l'ovvia conseguenza che, nel caso in cui, per qualche errore burocratico, un soggetto riesca a contrarre seconde nozze prima della pubblicazione della sentenza divorzile, queste potranno essere impugnate dagli aventi diritto ai sensi dell'art. 117 comma 1, c.c. e dichiarate nulle.

Orbene, accadrà frequentemente che, in caso di nullità del secondo matrimonio, residui comunque una situazione di convivenza: del resto, anche l'art. 143 comma 2, c.c. prevede, tra gli obblighi insorgenti dal matrimonio, proprio quello della coabitazione,

Così, in caso di sinistro mortale ai danni del coniuge convolato (illegittimamente) a seconde nozze, ci si troverà di fronte al primo coniuge (magari separato, ma pur sempre coniuge davanti alla legge) e di un convivente (in questo caso, più che mai, more uxorio).

II) Per quel che riguarda la posizione del convivente, giova ricordare che l'art. 1 co. 36 l. n. 76/2016 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”) oggi definisce «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

E, per quanto qui d'interesse, il successivo comma 49 stabilisce che “in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite”.

La legge n. 76/2016, a ben vedere, ha recepito l'orientamento giurisprudenziale che, ormai da tempo, ammetteva il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da fatto illecito concretatosi in un evento mortale, quando risultasse dimostrata una relazione caratterizzata da stabilità e mutua assistenza morale e materiale (v. Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2008, n.23725; v. anche Cass. civ. sez. III, 13 aprile 2018, n. 9178), prevalendo sull'orientamento contrario fondato sull'opinione che «danno risarcibile» ex art. 2043 c.c. fosse solo quello derivante dalla lesione di un diritto (e, poiché nel caso di morte di una persona, il soggetto convivente che riceveva vantaggi e prestazioni non aveva per legge alcun diritto a tali prestazioni, se ne desumeva il difetto di laegitimatio ad causam per il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte del proprio compagno).

Il presupposto della risarcibilità del danno patito dal convivente di fatto, per come normativamente prevista, è dunque ravvisabile in un legame affettivo di coppia, caratterizzato da stabilità e reciproca assistenza morale e materiale.

III) E per il “convivente di diritto”, ovvero il coniuge, come stanno le cose?

In realtà, la posizione del coniuge non sembra differenziarsi ontologicamente da quella del convivente more uxorio: nemmeno la perdita del coniuge, infatti, costituisce un danno in re ipsa. Su questo la giurisprudenza è sostanzialmente univoca.

La differenza sembra manifestarsi, più che altro, sul piano processuale e, segnatamente, su quello istruttorio: il rapporto di coniugio fa presumere -a differenza della mera convivenza- l'esistenza di un duraturo legame affettivo, la mutua assistenza dei coniugi e la conseguente sofferenza del coniuge superstite (v. Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2022 n. 25541).

Ma la risarcibilità del danno resta sempre subordinata all'esistenza di un “rapporto affettivo qualificato”, e la presunzione che opera in favore del coniuge superstite ben può essere superata da elementi di segno contrario (come, ad esempio, la separazione legale), in presenza dei quali l'attore danneggiato, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell'onere della prova, dovrà dimostrare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il danno in questione (sul punto, v. recentemente Tribunale Velletri sez. II, 11/05/2022, n.947, che ha respinto la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale formulata dalla moglie, separata da diversi anni rispetto all'epoca in cui aveva avuto luogo il sinistro mortale, non avendo la stessa debitamente assolto all'onere di provare l'esistenza del lamentato pregiudizio non patrimoniale).

IV) Alla luce di quanto detto, laddove due persone si sposino dopo una lunga convivenza di fatto, il successivo annullamento del matrimonio non pare idoneo, di per sé, a far venir meno anche il sottostante “legame affettivo qualificato”, la cui perdita e conseguente sofferenza emotiva legittimano il risarcimento del superstite.

Nella pronuncia in commento, il Tribunale di Milano ha fatto buon governo di tali principi, ritenendo che l'attrice avesse assolto adeguatamente agli oneri di allegazione e a quelli istruttori in punto di esistenza di un siffatto legame con la vittima dell'incidente stradale; talché, ravvisata anche la responsabilità del convenuto nella causazione del sinistro, l'annullamento del matrimonio è parsa circostanza neutra rispetto alla legittimazione attiva della convivente superstite e al suo diritto al risarcimento per la perdita del compagno.

Un altro punto interessante della sentenza riguarda la quantificazione del danno.

Il Tribunale meneghino ha comprensibilmente fatto uso delle tabelle milanesi integrate a punti - edizione 2022 (recentemente conformate dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ai criteri indicati dalla Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 10579/2021), le quali contemplano espressamente anche il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale in favore del convivente.

Il caso concreto, tuttavia, ha offerto anche il destro per un'utile precisazione.

La compagnia assicuratrice, infatti, aveva eccepito come la prima moglie si fosse costituita parte civile nel processo per omicidio stradale precedentemente tenutosi contro Sempronio, ottenendo, in quella sede, un risarcimento di € 20.000,00; paventava, quindi, il rischio di un'indebita duplicazione risarcitoria di una medesima posta di danno (in buona sostanza: o si risarcisce la prima moglie, o si risarcisce la seconda, ancorché divenuta convivente more uxorio dopo l'annullamento del matrimonio).

Ebbene, il Tribunale ha chiarito come la domanda del convivente more uxorio non si sovrapponga a quella del primo coniuge, i due soggetti essendo titolari di posizioni giuridiche soggettive affatto autonome, ciascuna integralmente risarcibile secondo i rispettivi parametri tabellari.

Osservazioni

Per quanto le posizioni soggettive del coniuge e del convivente more uxorio siano distinte e, in astratto, autonomamente risarcibili, resta il fatto che il danno da perdita del rapporto parentale presuppone a priori una stabile convivenza, caratterizzata da legami affettivi e da reciproca assistenza morale e materiale.

Ciò significa, all'atto pratico, che il coniuge (ancorché, magari, non separato legalmente), in presenza di una convivenza di fatto (tra il coniuge, poi deceduto, e una terza persona) prontamente eccepita dal convenuto, difficilmente potrà allegare e provare i presupposti fattuali del risarcimento: si è visto, infatti, come la praesumptio hominis prevista in suo favore non sia affatto insuperabile.

Perciò, pare a me che la compagnia assicuratrice della RCA convenuta in questo tipo di giudizio risarcitorio rischi non tanto di dover risarcire un soggetto non legittimato (perché, come detto, sono astrattamente legittimati sia il coniuge che il convivente), quanto, piuttosto, di risarcire un danno insussistente, erroneamente accertato sulla base della sola presunzione che opera in favore del coniuge.

Proprio questo sembra essere accaduto anche nel caso di specie, in cui la prima moglie -nonostante il marito convivesse da anni con un'altra donna (che aveva persino sposato!) - è stata risarcita in sede penale, costituendosi parte civile.

Verrebbe, perciò, da pensare che per la compagnia assicuratrice del responsabile del sinistro stradale sarebbe stato più proficuo contestare in sede penale il diritto al risarcimento della prima moglie costituitasi parte civile (ad esempio, intervenendo come responsabile civile ex art. 85 c.p.p.), piuttosto che contestare infondatamente in sede civile la legittimazione attiva della convivente more uxorio.