Il caso in questione permette diversi spunti di riflessione.
Per prima cosa si evidenzia come Caia abbia sollecitato al Supremo Collegio una nuova valutazione delle risultanze di fatto mostrando “di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito”: spetta, infatti, al Giudice di quest'ultimo il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza. Nel caso in cui vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, il motivo di ricorso “si risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione” (v. Cass. Sez. Un., n. 24148/2013; Cass. civ., n. 17446/2017; Cass. civ., n. 11997/2017).
È necessario soffermarsi poi sul tema divorzile e sul principio enunciato dalle Sezioni Unite.
Come noto, l'assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e ciò conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato a quanto fornito nella realizzazione della vita familiare, considerando anche le aspettative professionali sacrificate e valorizzando il ruolo e l'apporto dato dalla parte economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia, oltre che di quello personale dei coniugi stessi (v. Cass. civ., n. 27771/2019; Cass. civ. n. 21234/2019; Cass. civ., n. 18287/2018).
Il divorzio estingue anche sul piano economico-patrimoniale il rapporto, ma è anche vero che gli ex coniugi non per questo si trasformano in persone singole senza passato: il periodo matrimoniale, specie se prolungatosi a lungo nel tempo e allietato da figli, massimamente se ancora minori al momento della cessazione del vincolo, non viene cancellato dal divorzio e quindi può ritenersi che ragionevolmente l'ordinamento preveda disposizioni dirette al riconoscimento di diritti patrimoniali in capo a ciascuno degli ex coniugi connessi all'impegno profuso nella vita matrimoniale sulla base di accordi di indirizzo condivisi tra loro (v. Quadri, I coniugi e l'assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?).
Nella vicenda che ci occupa, però, Sempronio era maggiorenne e aveva abbandonato l'occupazione offerta dal padre mentre Caia aveva una propria capacità lavorativa oltre che redditi da renderla economicamente autonoma per cui – venuto meno l'aspetto patrimonialistico – non è stato ritenuto corretto prolungare in modo forzoso gli effetti del matrimonio anche dopo la sua fine.
Occorre, infatti, “attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l'ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale” piuttosto che al “contegno, deresponsabilizzante e attendista” di chi si limiti a riversare sul coniuge più abbiente l'esito della fine della vita matrimoniale (v. Cass. civ., sez. un., n. 18287/2018; Cass. civ, n. 3661/2020).
Conta, dunque, il criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica degli ex coniugi, con valorizzazione dell'autoresponsabilità di ciascuno di essi (v. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza a del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l'impatto sui divorzi già definiti, in Fam. e Dir., 2017).