Revocato l'assegno divorzile all'ex moglie che ha capacità lavorativa e sostiene spese voluttuarie

09 Marzo 2023

La capacità lavorativa dell'ex moglie e le sue disponibilità economiche, oltre che le spese voluttuarie effettuate, giustificano la revoca dell'assegno divorzile?
Massima

Non ha diritto all'assegno divorzile l'ex coniuge che al momento della dissoluzione del matrimonio ha la capacità di dedicarsi all'attività lavorativa e ha redditi idonei a renderlo economicamente autonomo: circostanza deducibile dalle risultanze del conto corrente e dalle spese sostenute, anche voluttuarie.

Il caso

Il Tribunale di Velletri aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Tizio e Caia, ponendo a carico del primo l'obbligo di versare alla ex moglie un assegno mensile di € 100 oltre ad € 450 quale contributo al mantenimento del figlio Sempronio, maggiorenne ma non economicamente autosufficiente.

Erano decurtati i maggiori importi fissati in sede di separazione: per questo motivo Caia proponeva appello e Tizio resisteva con appello incidentale chiedendo che fosse revocato sia l'assegno divorzile che quello di mantenimento per il figlio.

La Corte d'Appello di Roma osservava che Sempronio aveva abbandonato l'occupazione offertagli dal padre e che Caia disponeva di redditi e capacità lavorativa per cui era rigettato l'appello principale ed accolto quello incidentale, revocando così gli obblighi economici previsti in capo a Tizio.

Caia proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La questione

La capacità lavorativa dell'ex moglie e le sue disponibilità economiche, oltre che le spese voluttuarie effettuate, giustificano la revoca dell'assegno divorzile?

Le soluzioni giuridiche

Il Supremo Collegio ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese.

In particolare, Caia aveva articolato quattro motivi sostenendo che il Tribunale non aveva valorizzato il suo contributo alla vita familiare, alla ristrutturazione della casa coniugale e al pagamento del relativo mutuo.

Per di più la ricorrente lamentava una errata lettura delle risultanze del suo conto corrente e della situazione reddituale dell'ex marito, oltre che l'omesso esame di un fatto decisivo inerente la richiesta di restituzione di somme dalla stessa elargite.

Con l'ultimo motivo, invece, Caia contestava la condanna alla refusione delle spese processuali in favore dell'Erario, che a sua volta aveva anticipato le spese per la difesa di Tizio ammesso al gratuito patrocinio.

È stato richiamato il principio enunciato dalle Sezioni Unite per cui “il riconoscimento dell'assegno di divorzio (…) richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive” ed occorre una “valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto" (v. Cass. sez. un., n. 18287/2018; in questo senso v. anche Cass. civ., n. 1882/2019; Cass. civ., n. 21228/2019; Cass. civ., n. 5603/2020; Cass. civ., n. 4215/2021; Cass. civ, n. 13724/2021; Cass. civ., n. 11796/2021).

L'assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e presuppone l'accertamento di uno “squilibrio effettivo e di non modesta entità” delle condizioni economiche delle parti e comunque non è finalizzato alla ricostituzione del “tenore di vita endoconiugale” (v. Cass. civ., n. 21926/2019).

Nel caso in questione, Caia al momento della dissoluzione del matrimonio aveva una disponibilità economica risultante dal conto corrente che le permetteva di sostenere sia i costi dell'abitazione presa in locazione sia spese voluttuarie, oltre ad avere una propria capacità lavorativa tali da renderla economicamente autonoma.

Le censure della ricorrente miravano così ad ottenere un riesame del merito della causa: di qui l'inammissibilità del ricorso non potendosi “surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative” (v. Cass. Sez. Un., n. 34476/2019; in questo senso v. anche Cass. civ., n. 32026/2021; Cass. civ., n. 40495/2021; Cass. civ., n. 1822/2022; Cass. civ., n. 2195/2022; Cass. civ., n. 5490/2022; Cass. civ., n. 9352/2022).

Osservazioni

Il caso in questione permette diversi spunti di riflessione.

Per prima cosa si evidenzia come Caia abbia sollecitato al Supremo Collegio una nuova valutazione delle risultanze di fatto mostrando “di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito”: spetta, infatti, al Giudice di quest'ultimo il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza. Nel caso in cui vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, il motivo di ricorso “si risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione” (v. Cass. Sez. Un., n. 24148/2013; Cass. civ., n. 17446/2017; Cass. civ., n. 11997/2017).

È necessario soffermarsi poi sul tema divorzile e sul principio enunciato dalle Sezioni Unite.

Come noto, l'assegno divorzile ha una funzione assistenziale, ma anche perequativo-compensativa e ciò conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato a quanto fornito nella realizzazione della vita familiare, considerando anche le aspettative professionali sacrificate e valorizzando il ruolo e l'apporto dato dalla parte economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia, oltre che di quello personale dei coniugi stessi (v. Cass. civ., n. 27771/2019; Cass. civ. n. 21234/2019; Cass. civ., n. 18287/2018).

Il divorzio estingue anche sul piano economico-patrimoniale il rapporto, ma è anche vero che gli ex coniugi non per questo si trasformano in persone singole senza passato: il periodo matrimoniale, specie se prolungatosi a lungo nel tempo e allietato da figli, massimamente se ancora minori al momento della cessazione del vincolo, non viene cancellato dal divorzio e quindi può ritenersi che ragionevolmente l'ordinamento preveda disposizioni dirette al riconoscimento di diritti patrimoniali in capo a ciascuno degli ex coniugi connessi all'impegno profuso nella vita matrimoniale sulla base di accordi di indirizzo condivisi tra loro (v. Quadri, I coniugi e l'assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e “autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?).

Nella vicenda che ci occupa, però, Sempronio era maggiorenne e aveva abbandonato l'occupazione offerta dal padre mentre Caia aveva una propria capacità lavorativa oltre che redditi da renderla economicamente autonoma per cui – venuto meno l'aspetto patrimonialistico – non è stato ritenuto corretto prolungare in modo forzoso gli effetti del matrimonio anche dopo la sua fine.

Occorre, infatti, “attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l'ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale” piuttosto che al “contegno, deresponsabilizzante e attendista” di chi si limiti a riversare sul coniuge più abbiente l'esito della fine della vita matrimoniale (v. Cass. civ., sez. un., n. 18287/2018; Cass. civ, n. 3661/2020).

Conta, dunque, il criterio dell'indipendenza o autosufficienza economica degli ex coniugi, con valorizzazione dell'autoresponsabilità di ciascuno di essi (v. Danovi, Assegno di divorzio e irrilevanza a del tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l'impatto sui divorzi già definiti, in Fam. e Dir., 2017).