Il Collegio, partendo dai rapporti intercorrenti tra interdittiva antimafia e “white list”, ha chiarito che in materia di antimafia esiste un corpus normativo unico, in quanto entrambe le discipline sono ispirate agli stessi principi di salvaguardia dell'ordine pubblico economico, di libera concorrenza tra le imprese e di buon andamento della Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, sez. I, 1 febbraio 2019, n. 337; Id., 21 settembre 2018, n. 2241).
Una interpretazione letterale, atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi, invero, renderebbe incoerente o, addirittura, vanificherebbe il sistema dei controlli antimafia.
Focalizzandosi sull'interdittiva antimafia, poi, il TAR ha ricordato che essa costituisce un provvedimento con il quale il Prefetto, allo scopo di tutelare l'economia da infiltrazioni della criminalità organizzata, esclude un imprenditore – che non risulta più essere “affidabile” e, conseguentemente, non merita più “la fiducia” delle Istituzioni – dalla possibilità di essere titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni.
L'interdittiva, quale misura “a carattere preventivo”, determina un'incisiva e significativa anticipazione della soglia di difesa sociale, adottabile non già in presenza di meri sospetti, bensì di elementi obiettivi ed univoci tali da denotare il rischio concreto di condizionamenti mafiosi nella conduzione dell'impresa.
Entrando nel merito della fattispecie in esame, la pronuncia ha chiarito che, sulla scorta degli elementi di prova raccolti dalla Prefettura, è possibile evincere che il legame parentale di madre e figlio “risulta essere accompagnato da cointeressenze economiche o comunque da collegamenti tali da far supporre una comunanza nell'espletamento delle attività economiche”.
In particolare, due sono le circostanze che hanno indotto il TAR Catania a ritenere, in ossequio al criterio del “più probabile che non”, che la ricorrente società sia di fatto gestita dall'intero nucleo familiare dello stesso titolare ed esposta a tentativi di infiltrazione mafiosa: a) diversa e precedente impresa amministrata dalla genitrice non ha potuto ottenere l'iscrizione nella “white list”; b) la impresa ricorrente è nata subito dopo che la richiamata precedente società è stata attinta da interdittiva.
Né sono valse a scalfire tale conclusione le censure mosse dalla impugnante società, in quanto fondate su valutazioni isolate ed atomistiche della vita della società e dei soci amministratori, senza ponderare tutti gli elementi univoci e concordanti che, al contrario, hanno caratterizzato la valutazione della Prefettura.
In definitiva, dichiarando la legittimità del provvedimento impugnato, il Collegio ha enunciato che ai fini del diniego di iscrizione nella “white list” è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.