Osservatorio antimafia - Diniego di iscrizione nella c.d. “white list”: sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa

10 Marzo 2023

Il TAR Catania, premessi i principi generali consolidatisi in materia di informazione interdittiva antimafia, si è pronunciato sui presupposti legittimanti l'adozione del diniego di iscrizione di una società nella c.d. “white list”, non mancando di evidenziare i rapporti normativi intercorrenti tra i due provvedimenti nell'ambito della legislazione antimafia.
Massima

Il diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (la c.d. white list) è disciplinato dagli stessi principi che regolano l'interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione.

In relazione al diniego di iscrizione nella white list, è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Il caso

Il caso oggetto di attenzione del TAR Catania riguarda il rigetto di un'istanza di iscrizione della ricorrente società nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa (la c.d. white list).

In particolare, la Prefettura aveva desunto che la presenza nella società, in qualità di dipendente, della madre dell'amministratore unico dell'impresa istante, fosse in grado di influire notevolmente sulla direzione aziendale nella scelta degli indirizzi e delle strategie di impresa.

Il contributo lavorativo della genitrice, in precedenza attinta da provvedimento interdittivo antimafia, aveva indotto la Prefettura a ritenere che il figlio fosse sostanzialmente solo un prestanome e che l'amministratrice di fatto della ricorrente società fosse, invece, proprio la prima.

Il Collegio ha dichiarato infondato il ricorso affermando che, sulla scorta degli elementi probatori raccolti ed in omaggio al criterio del “più probabile che non”, era emersa la sussistenza di cointeressenze economiche, idonee ad esporre la società ricorrente al rischio di condizionamenti mafiosi e da far supporre una comunanza nell'espletamento delle attività economiche.

La questione

La questione giuridica sottesa alla sentenza in commento riguarda i presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento di diniego di iscrizione di una società nella c.d. “white list”.

Naturalmente, tale questione induce a una previa riflessione sui principi generali consolidatisi in materia di informazione interdittiva antimafia, nonché sui rapporti normativi tra questa e le disposizioni relative all'iscrizione nella “white list”.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio, partendo dai rapporti intercorrenti tra interdittiva antimafia e “white list”, ha chiarito che in materia di antimafia esiste un corpus normativo unico, in quanto entrambe le discipline sono ispirate agli stessi principi di salvaguardia dell'ordine pubblico economico, di libera concorrenza tra le imprese e di buon andamento della Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, sez. I, 1 febbraio 2019, n. 337; Id., 21 settembre 2018, n. 2241).

Una interpretazione letterale, atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi, invero, renderebbe incoerente o, addirittura, vanificherebbe il sistema dei controlli antimafia.

Focalizzandosi sull'interdittiva antimafia, poi, il TAR ha ricordato che essa costituisce un provvedimento con il quale il Prefetto, allo scopo di tutelare l'economia da infiltrazioni della criminalità organizzata, esclude un imprenditore – che non risulta più essere “affidabile” e, conseguentemente, non merita più “la fiducia” delle Istituzioni – dalla possibilità di essere titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni.

L'interdittiva, quale misura “a carattere preventivo”, determina un'incisiva e significativa anticipazione della soglia di difesa sociale, adottabile non già in presenza di meri sospetti, bensì di elementi obiettivi ed univoci tali da denotare il rischio concreto di condizionamenti mafiosi nella conduzione dell'impresa.

Entrando nel merito della fattispecie in esame, la pronuncia ha chiarito che, sulla scorta degli elementi di prova raccolti dalla Prefettura, è possibile evincere che il legame parentale di madre e figlio “risulta essere accompagnato da cointeressenze economiche o comunque da collegamenti tali da far supporre una comunanza nell'espletamento delle attività economiche”.

In particolare, due sono le circostanze che hanno indotto il TAR Catania a ritenere, in ossequio al criterio del “più probabile che non”, che la ricorrente società sia di fatto gestita dall'intero nucleo familiare dello stesso titolare ed esposta a tentativi di infiltrazione mafiosa: a) diversa e precedente impresa amministrata dalla genitrice non ha potuto ottenere l'iscrizione nella “white list”; b) la impresa ricorrente è nata subito dopo che la richiamata precedente società è stata attinta da interdittiva.

Né sono valse a scalfire tale conclusione le censure mosse dalla impugnante società, in quanto fondate su valutazioni isolate ed atomistiche della vita della società e dei soci amministratori, senza ponderare tutti gli elementi univoci e concordanti che, al contrario, hanno caratterizzato la valutazione della Prefettura.

In definitiva, dichiarando la legittimità del provvedimento impugnato, il Collegio ha enunciato che ai fini del diniego di iscrizione nella “white list” è sufficiente il pericolo di infiltrazione mafiosa fondato su un numero di indizi tale da rendere logicamente attendibile la presunzione dell'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

Osservazioni

Dalla sentenza in commento si evince con chiarezza che, per rigettare l'istanza di iscrizione nella c.d. “white list”, è sufficiente che l'Amministrazione di P.S. accerti la presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, dando dimostrazione di una serie di fatti che, sebbene non provati con certezza assoluta, ma letti unitariamente, possono indurre a ritenere che l'attività d'impresa sia in qualche modo influenzata dalle attività criminali, a causa della presenza di soggetti legati ad organizzazioni mafiose nei centri decisionali.

Peraltro, essendo detta valutazione connotata da ampia discrezionalità di apprezzamento, non potrà che essere sindacata, in sede giurisdizionale, solo per eventuali profili di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, rimanendo l'accertamento dei fatti posti a base del provvedimento prefettizio estraneo al vaglio del Giudice Amministrativo.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala:

L. Della Ragione - A. Marandola - A. Zampaglione, Misure di prevenzione, interdittive antimafia e procedimenti, Milano, 2022.

P. Marotta - P. Marotta, Natura e limiti del potere amministrativo di prevenzione antimafia, Milano, 2021.

E. Mezzetti - L.L. Donati, La legislazione antimafia, Bologna, 2020.

O. Morcavallo, L'informazione interdittiva antimafia, Milano, 2019.

G. Amarelli-S.S. Damiani, Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all'infiltrazione, Torino, 2019.

Si richiama il contributo “Osservatorio antimafia - Riferimenti bibliografici in materia di interdittiva antimafia” pubblicato su questo Portale.

Inquadramenti

Sommario