La distrazione dell'azienda

Enrico Corucci
13 Marzo 2023

La Cassazione Penale affronta una fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale secondo uno schema noto come c.d. spin off, che consiste nella stipulazione di contratti di cessione o di affitto di azienda a prezzo vile o simulato.
Massima

Integrano il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la stipulazione di contratti di cessione d'azienda, o di rami di essa, a prezzo vile, simulato o comunque non corrisposto nonché la stipulazione di contratti di affitto d'azienda, o di rami di essa, a canone vile, simulato o non corrisposto.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della suprema Corte origina dal ricorso presentato dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Trieste che ne aveva affermato la responsabilità (anche) per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere, in qualità di soci amministratori di una società in nome collettivo, distratto e dissipato dei rami di azienda cedendo l'uno ed affittando l'altro ad una società e ad una impresa individuale loro riconducibili.

I ricorrenti osservavano sul punto come, in realtà, le citate operazioni negoziali contestate in termini distrattivi trovassero giustificazione in una logica di migliore accesso al credito bancario ma tale censura, in quanto limitata alla confutazione di un passaggio della sentenza impugnata del tutto irrilevante ai fini della tenuta del suo apparato argomentativo, era ritenuta priva di fondamento dalla Corte di Cassazione, la quale dichiarava inammissibili i ricorsi.

La questione

Il tema oggetto del presente commento concerne l'eventuale rilevanza penale dei negozi di cessione o affitto di azienda a terzi allorché il cedente o l'affittante siano poi dichiarati falliti ovvero ora sottoposti a liquidazione giudiziale.

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza qui annotata la suprema Corte muove dal ricordare come, secondo il proprio costante insegnamento, il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito, in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, possa realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali.

In tal senso, pertanto, anche i contratti di cessione di azienda e di affitto di azienda, qualora vengano stipulati con corrispettivo inadeguato o con canoni incongrui o simulati, possono connotarsi in modo da integrare il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, come accaduto in effetti nel caso al vaglio.

I ricorrenti invero, secondo uno schema gergalmente noto come spin off, risultavano avere ceduto un ramo di azienda ad una società il cui socio era la sorella di un ricorrente nonché affittato un altro ramo di azienda ad una impresa individuale intestata questa volta alla compagna del medesimo ricorrente, emergendo in entrambi i casi l'assenza di un effettivo sinallagma. Nel primo caso, infatti, il corrispettivo della cessione era costituito dall'accollo non liberatorio da parte della società cessionaria dei debiti della fallita e nel secondo i canoni di affitto non erano stati corrisposti per cui, in effetti, appare difficile dubitare del fatto che non vi fosse stata seria contropartita.

Né, aggiunge la Corte, può assumere significato la circostanza che, secondo i ricorrenti, le operazioni negoziali appena descritte fossero state poste in essere al fine di poter meglio accedere al credito bancario, ciò costituendo al più movente, peraltro rimasto anche indimostrato, del reato.

Osservazioni

Le osservazioni della suprema Corte appaiono ineccepibili.

Com'è noto il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione di cui all'art. 216, comma 1 n. 1) l. fall. (ora art. 322 comma 1 lett. a) d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), consiste nell'estromissione, al di fuori di un reale rapporto sinallagmatico, di un bene dal patrimonio dell'imprenditore, ovvero, secondo altra non dissimile impostazione in termini di risultato, nella destinazione di quel bene ad uno scopo diverso dal dovuto; non può prescindersi, in ogni caso, dalla idoneità della condotta ad impedire od ostacolare l'apprensione della cosa da parte degli organi della procedura fallimentare sì da sottrarla alla propria funzione di garanzia verso i creditori di cui all'art. 2740 c.c.

Dunque proprio la sottrazione del bene alla citata funzione di garanzia patrimoniale nei confronti del ceto creditorio assume carattere tipico, ancorché gli artt. 216 comma 1 n. 1) l. fall. e 322 comma 1 lett. a) d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 non meglio specifichino le caratteristiche dell'azione per cui non v'è dubbio che il reato sia a condotta libera, come in effetti ribadito nella sentenza in commento ove si osserva, una volta di più, che l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore degli organi concorsuali.

L'insidiosità dei fenomeni distrattivi, e la conseguente loro capacità lesiva, sono commisurati alla natura ed al valore dei beni oggetto della condotta per cui questi ultimi costituiscono parametro per la valutazione del danno conseguente, il quale dunque, da un punto di vista per così dire statico, si caratterizza in ragione di quanto concretamente sottratto alla garanzia patrimoniale.

Con frequenza, tuttavia, l'azione distrattiva dell'imprenditore si manifesta in una prospettiva dinamica, tendendo a depauperare la garanzia patrimoniale non tanto di singole utilità quanto piuttosto dell'intero compendio dei beni aziendali (comprensivo di avviamento commerciale, clientela e know how) onde perseguire di fatto lo scopo della continuazione della propria attività imprenditoriale tramite altro soggetto giuridico secondo schemi gergalmente detti di spin off come ricordato dalla Corte, col duplice vantaggio costituito dal farvi confluire detto compendio e dal sottrarla, nel contempo, alle passività in precedenza accumulate, le quali, con ogni probabilità, condurranno al fallimento l'impresa depauperata, ormai non più in grado di far fronte alle proprie obbligazioni.

In proposito assumono carattere tipico:

1. (proprio) i contratti di cessione d'azienda ovvero di rami di essa stipulati a prezzo vile, simulato o comunque non corrisposto e quelli di affitto d'azienda ovvero di rami di essa stipulati a canone vile, simulato o non corrisposto;

2. le condotte di sviamento della clientela e di “svuotamento” dell'azienda, anche in assenza di formali negozi di disposizione di questa, che siano tali da minarne la capacità produttiva e sempre a vantaggio, di regola, di altri soggetti giuridici preesistenti ovvero all'uopo costituiti.

In tutti questi casi, inoltre, acquista significato determinante, anche per ciò che concerne la prova del dolo, la verifica dell'esistenza di collegamenti di natura soggettiva -che solitamente esistono, così come del resto puntualmente avvenuto nel caso di specie in cui il cessionario e l'affittuario dei rami di azienda erano la sorella e la compagna di uno degli imputati- tra dante causa ed avente causa, qualora queste ultime qualifiche convergano sostanzialmente sulla stessa persona o comunque siano riconducibili allo stesso nucleo familiare o centro di interessi.

In presenza di un atto di disposizione dell'azienda da parte dell'imprenditore poi dichiarato fallito è dunque compito dell'interprete verificare se detto atto di disposizione trovi fondamento in un rapporto realmente sinallagmatico, né ai fini della verifica della sussistenza di tale sinallagma potendo rilevare il disposto dell'art. 2560, comma 2, c.c. (secondo cui nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento anche l'acquirente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori), costituendo tale garanzia un post factum della già consumata distrazione (in questo senso Cass., 14 maggio 2018, n. 34464, in CED Rv. 273644-01).

D'altra parte si comprende come la cessione che abbia ad oggetto l'intera azienda e non soltanto suoi rami costituisca negozio che, pur non determinando di per sé la messa in liquidazione della società dante causa, può incidere in modo significativo sulla possibilità di continuazione dell'attività imprenditoriale di quest'ultima e sulla sua conservazione della stessa qualifica di imprenditore; considerazioni non dissimili possono ripetersi in caso di affitto di azienda, ancorché questo si qualifichi come atto di gestione della società mediante un utilizzo indiretto dei propri beni strumentali per il periodo di vigenza del contratto.

Ne deriva come i negozi in argomento, in ipotesi di insolvenza del soggetto cedente o affittante, debbano essere oggetto di (ancor più) attenta valutazione onde escludere che essi stessi abbiano concorso a cagionare tale insolvenza (quale situazione, com'è noto, d'impotenza strutturale e non transitoria a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento dell'attività) o comunque che ne abbiano ingiustificatamente depauperato la garanzia patrimoniale, con l'ulteriore conseguenza che, al fine di eccettuare la rilevanza penale delle descritte operazioni di disposizione dell'azienda, queste ultime debbono inserirsi in un rapporto giuridico pienamente sinallagmatico.

Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, non v'è dubbio che le condotte sopra indicate sub 1) integrino il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione o dissipazione dell'azienda, ancorché in proposito la giurisprudenza di legittimità (Cass., 3 marzo 2015, n. 31703, in CED Rv. 264347-01) puntualizzi come la distrazione di un ramo di azienda sia configurabile solo in caso di cessione avente ad oggetto, unitariamente, oltre che i singoli beni e rapporti giuridici, anche l'avviamento riferibile a tale autonoma organizzazione produttiva. Qualora ciò non accada, l'eventuale condotta delittuosa concernerà soltanto i singoli beni o le singole risorse finanziarie distratte ma non potrà parlarsi di distrazione di azienda, con le conseguenze che possono derivarne in tema di determinazione dell'oggetto di un eventuale sequestro preventivo.

Tali questioni ineriscono anche a quella costituita dalla possibilità di ritenere che l'avviamento commerciale possa costituire ex se oggetto di distrazione.

Com'è noto, secondo l'ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, l'avviamento -quale bene immateriale dell'azienda suscettibile di una propria valutazione economica e tuttavia inscindibile da quest'ultima- non può costituire oggetto di distrazione indipendentemente dal bene cui è riferito; l'avviamento è suscettibile quindi di distrazione solo se, contestualmente, sia stata oggetto di disposizione anche l'azienda o quanto meno i fattori aziendali in grado di generarlo (cfr. Cass., 30 novembre 2017, n. 5357, in CED Rv. 272108-01).

L'esclusione della configurabilità della distrazione dell'avviamento prescindendo da atti di disposizione dell'azienda, peraltro, non eccettua la possibilità che questo possa costituire altrimenti l'oggetto materiale del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in specie quale oggetto di distruzione e cioè di annullamento del valore economico della cosa.

In proposito proprio le condotte di sviamento della clientela e trasferimento dei dipendenti ad altra impresa sopra indicate sub 2) possono considerarsi atti di disposizione del patrimonio sociale, dovendosi considerare i rapporti obbligatori sottostanti ai contratti di lavoro con i dipendenti e quelli di fornitura in favore dei clienti e non dubitandosi che la cessione di tali rapporti comporti di fatto la cessione anche dall'avviamento aziendale, che necessita di adeguata ed autonoma retribuzione (così Cass., 11 dicembre 2012, n. 3817, in CED Rv. 254474-01). Le eventuali condotte dell'imprenditore tese ad indirizzare i propri clienti verso concorrenti o ad istigare il personale alla risoluzione volontaria del rapporto di lavoro nella prospettiva di una riassunzione presso un diverso soggetto possono dunque tradursi, in concreto, nella distruzione dell'avviamento.

In realtà, in tutte le ipotesi in cui vi sia un tentativo di proseguire l'attività imprenditoriale, nell'ambito di una precisa continuità e contiguità aziendale, a vantaggio di altro soggetto giuridico e soprattutto in assenza di formali negozi di disposizione dell'azienda, rimane la necessità di valutare se simili condotte, qualora anche tradottesi in azioni di sviamento della clientela e svuotamento dell'azienda, giungano a costituire, come possibile, causa del dissesto o del suo aggravamento sì da integrare quelle operazioni dolose atte a cagionare il fallimento della società di cui al reato di bancarotta impropria societaria disciplinato dall'art. 223, comma 2 n. 2) l. fall. ed ora dall'art. 329 comma 2 lett. b) d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ed a condizione, tuttavia, che il soggetto depauperato non sia un imprenditore individuale.

La prima norma indicata infatti è contenuta nel capo II del titolo VI della legge fallimentare rubricato “Reati commessi da persone diverse dal fallito” né rinvenendosi disposizione di analogo tenore nel precedente capo I rubricato “Reati commessi dal fallito” e nulla appare mutato con l'entrata in vigore del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza nel quale l'art. 329 è contenuto nel capo II del titolo IX denominato “Reati commessi da persone diverse dall'imprenditore in liquidazione giudiziale” e ancora una volta nulla di simile prevedendosi nel precedente capo I rubricato “Reati commessi dall'imprenditore in liquidazione giudiziale”.

Dunque, con valutazione da operarsi caso per caso, dovrà verificarsi se le più volte citate condotte descritte al punto 2), invero non certo infrequenti, determinino la distruzione dell'avviamento o comunque il solo distacco ingiustificato di singole utilità oppure, in un quadro più ampio, se costituiscano “operazioni” (connotato prescrittivo ignoto alla generale previsione della bancarotta fraudolenta) le quali richiamano necessariamente un “quid pluris” rispetto ad ogni singola azione, postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato (così Cass., 18 febbraio 2010, n. 17690, in CED Rv. 247313-01). In quest'ultimo caso, dunque, potrà configurarsi il reato di bancarotta impropria societaria di cui all'art. 223 comma 2, n. 2 l. fall.), a condizione evidentemente che la condotta sia causale al dissesto, cagionandolo ovvero aggravandolo. E' noto peraltro come la sussistenza di tale nesso eziologico tra condotta e dissesto sia estranea al fatto tipico della bancarotta fraudolenta patrimoniale, la quale costituisce reato di pericolo concreto in quanto la condotta deve risultare idonea, per l'appunto, a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie.

Quanto al concorso tra i reati in argomento appare condivisibile quanto più volte sostenuto in tema dalla suprema Corte in ragione delle descritte loro diverse tipicità (cfr. in ultimo Cass., 7 dicembre 2021, n. 348, in CED Rv. 282396-01). La bancarotta fraudolenta patrimoniale, invero, postula il compimento di atti di depauperamento del patrimonio dell'impresa tali da creare pericolo per le ragioni creditorie a prescindere dalla circostanza che abbiano cagionato il dissesto, mentre la bancarotta impropria concerne condotte dolose che di per sé non costituiscono distrazione o dissipazione ma che debbono porsi in nesso eziologico con il fallimento. Ne consegue che tra tali reati è da escludere il concorso formale mentre invece appare possibile quello materiale qualora, oltre ad azioni ricomprese nello specifico schema della bancarotta di cui all'art. 216 comma 1 n. 1) l. fall., si siano verificati differenti ed autonomi comportamenti dolosi i quali -anche concretandosi in abuso o infedeltà nell'esercizio della carica ricoperta o in atti intrinsecamente pericolosi per l'andamento economico finanziario della società - siano stati causa del dissesto.