La Corte di Cassazione, con la decisione in commento, riconduce l'argomento enunciato ai noti principi generali in materia di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato.
Solitamente, sappiamo, non essendo il contratto di lavoro subordinato disciplinato in via diretta dal codice civile la nozione di subordinazione viene per relationem ricavata dalle caratteristiche soggettive del prestatore di lavoro subordinato, desunte dall'enunciazione dell'art. 2094 c.c. ("È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore").
Quanto ai metodi di qualificazione, quantomeno secondo la giurisprudenza maggioritaria, il raffronto tra il caso concreto e la fattispecie astratta al fine di pervenire alla definizione di un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo va condotto accertando se ricorra o meno il requisito tipico della subordinazione costituito, affermano le corti, dalla soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
Gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, l'assenza di rischio, l'osservanza di un orario, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione di norma non assumono rilievo determinante rilevando invece quali criteri complementari e sussidiari, poiché compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (vd., tra le tante, Cass. n. 5645/2009; Cass. n. 21028/2006; Cass. n. 20669/2004).
Da non sottovalutare, sull'argomento, l'ulteriore dato normativo costituito dalla circostanza che il D.lgs. n. 81/2015 ha recentemente definito il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la forma comune di rapporto di lavoro.
Per lo stesso legislatore, dunque, tale tipologia contrattuale appare più delle altre meritevole di tutela richiedendosi quindi, indirettamente, la ricorrenza di condizioni normative particolari per legittimare la stipula di schemi contrattuali alternativi.
Va ricordato, inoltre, che nel contratto di lavoro l'autonomia privata, compressa dalla tutela protettiva originata da norme inderogabili, dettate dalla legge o dalla contrattazione collettiva, subisce forti limitazioni nel determinare la concreta disciplina del rapporto, limitazioni superabili in linea di massima soltanto attraverso clausole di miglior favore per il prestatore di lavoro.
Considerazioni, quelle appena svolte, la cui rilevanza si estende certamente anche alla questione in esame: anch'essa caratterizzata da una regolamentazione in gran parte estranea alla volontà delle parti formalizzata nel contratto scritto e, invece, automaticamente richiamata dalla semplice costituzione del rapporto, anche in forza dei concorrenti principi di effettività o di indisponibilità del tipo contrattuale in base ai quali le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro prevalgono sul contenuto negoziale concordato tra le parti.
Nella giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, da tempo ormai si afferma che il nomen iuris assegnato dalle parti al contratto avente ad oggetto la prestazione di una determinata attività lavorativa non vincola il giudice nella qualificazione giuridica del rapporto, dovendosi piuttosto avere riguardo all'effettivo contenuto del rapporto stesso ed alle modalità essenziali della prestazione di lavoro (cfr., tra le tante, Cass. n. 16720/2021; n. 4884/2018; n. 17549/2003; n. 3200/2001).
In continuità con tale indirizzo giurisprudenziale, la S.C. con l'ordinanza commentata, n. 29973 del 2022, conferma che nell'accertarsi il vincolo della subordinazione anche nelle cooperative di produzione e lavoro l'indagine sull'effettivo atteggiarsi del rapporto non può arrestarsi alla qualificazione giuridica attribuita dalle parti.
Pure al legislatore, osserva la Corte, è precluso il potere di qualificare un rapporto di lavoro in termini dissonanti rispetto alla sua effettiva natura e di sottrarlo così allo statuto protettivo che alla subordinazione si accompagna (Corte Cost., sentt. n.76/2015, n. 115/1994 e n. 121/1993).
Ne deriva, quale conseguenza ineludibile, “l'indisponibilità del tipo negoziale sia da parte del legislatore, sia da parte dei contraenti individuali” (sic Corte Cost. n.76/2015 cit.).
La qualificazione convenzionale d'un rapporto di lavoro come autonomo, in definitiva, pur non potendo essere pretermessa non ha valenza dirimente e non dispensa comunque il giudice dal compito di verificare quelle concrete modalità attuative del rapporto in esame, che rappresentano il tratto distintivo saliente.
Nelle società cooperative, in particolare, il fatto che il rapporto di lavoro si affianchi al rapporto associativo, a sua volta contraddistinto dalla partecipazione al rischio d'impresa, non esclude secondo la S.C. che, all'interno dell'organizzazione societaria, si possa rinvenire, insieme al contratto di partecipazione alla comunità, quello commutativo di lavoro subordinato (viene al riguardo espressamente richiamato il precedente di cui a Cass., S.U., 26 luglio 2004, n. 13967).
Possibilità del resto espressa a chiare lettere dalla legge n. 142/2001, con il citato art. 1, comma 3, nella parte in cui lo stesso consente al socio di stabilire con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, anche in forma subordinata.
La peculiarità del rapporto associativo, dunque, non si pone di per sé in antitesi con gli estremi della subordinazione, che devono essere riscontrati in concreto.
In forza di tali principi, nel caso di specie la Corte ritiene correttamente compiuto l'accertamento fattuale degli elementi tipici della subordinazione nell'ambito del giudizio di merito.
A suo parere, infatti, il giudice territoriale ha validamente considerato che la società, nelle comunicazioni obbligatorie, ha essa stessa qualificato i rapporti di lavoro in termini di subordinazione, altresì applicando il contratto collettivo dei dipendenti delle piccole e medie imprese esercenti i servizi delle pulizie.
È inoltre emerso in causa lo svolgimento in via continuativa da parte dei soci di prestazioni di pulizia e facchinaggio nell'esecuzione degli appalti di volta in volta acquisiti dalla società e la retribuzione degli stessi proporzionale alla durata delle prestazioni svolte, nonché la loro mancata assunzione di rischi imprenditoriali.
I lavoratori neppure hanno apportato attrezzature e materiali propri.
Pur ribadendo la natura sussidiaria ed indiziaria di tali accertati elementi di fatto ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, il giudice di legittimità ne precisa il rilievo processuale allorché la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione (Cass. n. 24561/2013).
In tale frangente, detti criteri distintivi sussidiari, ai quali possono aggiungersi la regolamentazione dell'orario di lavoro e la sussistenza di un effettivo potere di autoregolamentazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro, si sostituiscono nella valutazione del giudice ai normali indici della subordinazione: assoggettamento all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (Cass. n. 9251/2010; n. 1536/2009; n. 8569/2004).
Quanto alla facoltà per i soci di svolgere le attività in proprio o in favore di terzi e di rifiutare le occasioni di lavoro procurate dalla cooperativa, la Corte evidenzia, come già fatto dal giudice d'appello, che tali possibilità non rivestono decisiva rilevanza in senso contrario non infirmando i rilevanti indici di subordinazione passati in rassegna e, semmai, limitandosi a ricalcare le previsioni negoziali.
Esse si collocano quindi sul piano astratto delle facoltà spettanti ai soci e non su quello della concreta dinamica dei loro rapporti.
La S.C., perciò, conclude respingendo il ricorso proposto dalla Cooperativa stante l'accertata insussistenza della denunciata violazione di legge.