Secondo la Cassazione l'inammissibilità del ricorso per cassazione prevale sulla mancanza di condizione di procedibilità (che, nella specie, poteva ancora sopravvenire), senza doversi attendere lo spirare dei tre mesi decorrenti dalla data di entrata in vigore della riforma Cartabia (30 dicembre 2022: art. 99-bis d.lgs. n. 150/2022, come introdotto dall'art. 6 del d.l. n. 162/2022, conv., con modif., dalla legge n. 199/2022) perché la persona offesa si determini sulla propria volontà querelatoria ai sensi dell'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150/2022.
Trova, infatti, applicazione il principio di diritto già affermato un lustro fa dalla giurisprudenza massimamente nomofilattica con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del d.lgs. n. 36/2018: in quel caso, la disciplina transitoria prevedeva, all'art. 12, comma 2, che dovesse essere dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e la Suprema Corte ritenne che l'informativa non dovesse essere data, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, proprio nei casi di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. pen., sez. un., 21 giugno 2018, n. 40150, Salatino).
Fu rilevato - facendo ampio riferimento ai noti principi affermati in altre decisioni massimamente nomofilattiche in tema di prevalenza dell'inammissibilità sulla prescrizione (in particolare Cass. pen., sez. un., 17 dicembre 2015, n. 12602, Ricci) - che l'art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, cioè, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione.
L'argomentazione, mutatis mutandis, è oggi riproposta dalla sentenza in commento con la quale i Supremi giudici hanno escluso - agli specifici effetti dell'operatività della norma transitoria di cui all'art. 85 d.lgs. n. 150/2022 - che il procedimento possa dirsi “pendente” in presenza di un ricorso per l'appunto inammissibile.
La Corte regolatrice - nel solco di un consolidato indirizzo pluriventennale - ribadisce che è onere della parte interessata attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudicesenza che vengano perciò in considerazione l'equità o la razionalità del processo. Pertanto, in presenza di ricorso inammissibile, il procedimento non può essere considerato “pendente” e va dichiarata immediatamente l'inammissibilità del ricorso.
La sopravvenienza della procedibilità a querela (con previsione di un termine per consentire alla persona offesa, in via transitoria, la formalizzazione della querela in precedenza non necessaria: v. art. 85 d.lgs. n. 150/2022, come modificato dall'art. 5-bis del d.l. n. 162/2022, introdotto, in sede di conversione, dalla legge n. 199/2022) ha valore ben diverso dalla abolitio criminis che, in quanto deducibile in sede esecutiva, e quindi a fortiori, per ragioni di economia processuale, è rilevabile anche in sede di legittimità potendo prevalere sulla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole dell'autosufficienza del ricorso (cfr. Cass. pen., sez. VI, 8 ottobre 2015, n. 44774, Raggi) e ai limiti dei poteri di accertamento della Cassazione (cfr. Cass. pen., sez. III, 14 ottobre 2010, n. 39188, S.), sicché la declaratoria di inammissibilità non può essere messa in crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dallo ius novum (in tal senso v. Cass. pen., sez. un., n. 40150/2018, Salatino, cit.).
In conclusione, la disciplina codicistica dei mutamenti normativi favorevoli diversi dall'abolitio criminis non consente di sostenere che, nel rapporto tra ricorso caratterizzato da motivi inammissibili e innovazioni normative che introducono la procedibilità a querela, debbano applicarsi regole diverse da quelle che, in base alla giurisprudenza assolutamente prevalente, si applicano nei rapporti tra ricorso inammissibile e mutamenti normativi favorevoli in materia di cause di non punibilità e, in particolare, di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale. Ne consegue che le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso fondato su motivi inammissibili (in termini, v. già Cass. pen., sez. IV, 11 gennaio 2023, n. 2658, Saitta).
Ad avviso dei giudici di Piazza Cavour, nessuna indicazione in senso contrario può essere ricavata dalla disciplina transitoria dettata dall'art. 85 d.lgs. n. 150/2022 (e modificata dall'art. 5-bis del d.l. n. 162/2022, come convertito dalla legge n. 199/2022, che ha eliminato l'informativa generalizzata nei confronti delle persone offese, limitandola, al riscritto comma 2, ai procedimenti con cautela in atto): con essa – spiega la sentenza annotata – il legislatore si è limitato a prevedere una generale restituzione nel termine per querelare che, per i reati in precedenza procedibili d'ufficio (tra cui il furto aggravato dalla violenza sulle cose, come nel caso di specie), decorre dalla data di entrata in vigore della riforma (30 dicembre 2022), secondo il brocardo lex interpellat pro iudice. Non ha fatto altro, quindi, che avvalersi della possibilità contemplata dall'art. 124, comma 1, c.p. che, con l'espressione «salvo che la legge disponga altrimenti», consente di far decorrere il termine per querelare da un giorno differente rispetto a quello in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto costituente reato. Una disciplina siffatta – conclude la Cassazione – non può incidere sul rapporto tra le innovazioni normative in materia di procedibilità e l'inammissibilità del ricorso e poiché tale inammissibilità, anche se dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, la si deve dichiarare senza che vi sia necessità di verificare se la persona offesa abbia proposto querela o intenda farlo.