L'onere della prova nel processo tributario dopo l'art. 7, co. 5-bis, d.Lgs. n. 546/1992

17 Marzo 2023

La legge n. 130/2022, che ha riformato il processo tributario ha, tra le altre cose, introdotto un nuovo comma 5-bis, nell'art. 7 del d.Lgs. n. 546/1992, volto a disciplinare l'onere della prova nel giudizio innanzi alle Corti di giustizia tributarie.Si tratta di una previsione assolutamente inaspettata, nel senso che non era mai comparsa nei lavori preparatori. E questo, purtroppo, si vede, perché è una previsione che appare un po' incompiuta e che, on ogni evidenza, avrebbe meritato ben altro approfondimento.
Riparto dell'onere della prova. Una prima tesi più tradizionalista

Con riferimento al nuovo comma 5-bis, si sono palesate, fin da subito, due linee di pensiero.

Una prima linea, più tradizionalista e forse ‘cinica', si è mostrata abbastanza tiepida rispetto alla novità.

Per questa linea di pensiero, infatti, la nuova norma non farebbe che codificare, per la materia tributaria, la regola già contenuta nell'art. 2697 c.c. sul riparto dell'onere della prova. Nei fatti, quindi, non innoverebbe assolutamente rispetto agli insegnamenti tradizionali sul punto.

Per insegnamento tradizionale e consolidato, infatti, in materia tributaria la prova incombe sull'amministrazione finanziaria. L'Amministrazione è, infatti, l'attore in senso sostanziale, dal momento che è colei che rompe la pace giuridica, avanzando una pretesa cui il contribuente deve reagire invocando il giudice (attore in senso formale). Di conseguenza, spetta sempre all'Agenzia, in prima battuta, provare le ragioni della pretesa e, solo se ed in quanto detto onere sia puntualmente assolto, ecco che la prova contraria incombe sul contribuente. A questa regola fanno ovviamente eccezione le varie presunzioni legali, che invertono l'onere della prova (art. 2728 c.c.), ampiamente diffuse nella materia tributaria, al punto che, proprio la loro ampia previsione è, da sempre, evocata come argomento a conferma della regola sull'onere della prova in capo all'Autorità fiscale. Altra eccezione, ma anche questa codificata dalla nuova norma, è in tema di rimborso, dove, in ossequio all'art. 2697 c.c., si è sempre ritenuto che l'onere della prova incomba sul contribuente.

La nuova norma, come detto, codifica proprio tale regola.

Seconda tesi, meno conservativa

A questa prima tesi, evidentemente molto tiepida e conservativa sulla portata della novella, che va però detto, è stata già accolta dalla Suprema Corte (Ordinanza n. 31878 del 27 ottobre 2022), sebbene in via solo incidentale, se ne contrappone un'altra sicuramente più entusiasta.

Per questa seconda linea di pensiero la codificazione operata dal nuovo co. 5-bis dovrebbe essere letta, innanzitutto, come una sorta di emancipazione del comparto tributario dalla regola civilistica dell'art. 2697 c.c.

La norma, poi, dovrebbe essere intesa nella sua globalità, senza fermarsi al primo inciso («L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato»), che, in effetti, riprende solo la regola civilistica, secondo l'interpretazione tradizionale sopra detta. Invece, leggendo e valorizzando tutta la norma, ecco che emergono altri elementi, affatto peculiari al tema tributario.

Così, quando la norma afferma che «Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio» ovvero che «annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni», sembrerebbe giungere a declinare in modo assolutamente peculiare l'onere della prova.

Alla stregua del nuovo dato normativo, per soddisfare l'onere della prova, oggi non dovrebbe più bastare un qualunque elemento argomentativo, dovendo invece ricorrere solo e propriamente prove, ossia elementi dotati di quello specifico rango dimostrativo.

Indubbiamente, anche la norma civilistica prevede che l'onere della prova debba essere soddisfatto con prove, ma non si può dimenticare come, nei fatti, la prassi si sia orientata diversamente, fino ad ammettere validi anche quadri meramente indiziari. Ora, se lo prevede espressamente la norma (ad es. l'art. 39, co. 2, d.P.R. n. 600/1973), nulla quaestio, ma in tutti gli altri casi il quadro meramente indiziario non dovrebbe bastare più. Va evidenziato, infatti, come nel nuovo co. 5-bis, l'esigenza che sia fornita una prova sia ribadita ripetutamente. Circostanza, questa, che porta allora a ritenere che, per fondare la decisione del giudice, devono essere usate oggi solo delle prove, che emergono nel giudizio; soprattutto, si deve trattare di prove in grado di dimostrare in modo compiuto e completo, in termini oggettivi, la pretesa a giudizio («comunque sufficiente»).

La verità sta ne mezzo

La teoria più tiepida, coglie certamente nel segno laddove rileva come la novella, in concreto, abbia innovato il giusto, di fatto non modificando in concreto l'assetto sull'onere della prova, almeno per come si era venuto delineando nella prassi anche giudiziale. Non si può dire, insomma, che vi sia stato nulla di autenticamente rivoluzionario.

In particolare, questo significa che la novella non impatta sul funzionamento delle presunzioni legali, che continuano a funzionare esattamente come prima. Lo stesso vale per le presunzioni semplici, che assurgono al rango di prova ove gravi, precise e concordanti. Questo per dire che si deve allora ritenere che nulla cambi neppure per la presunzione giurisprudenziale di distribuzione degli utili extrabilancio nelle società a ristretta base sociale. Qui, come noto, si tratta di una presunzione semplice che, oramai, ha assunto i termini della presunzione legale, posto che viene fatta operare in modo automatico ed è difficile ipotizzare un libero apprezzamento del giudice circa la sua sussistenza.

Sennonché, resta comunque una presunzione semplice, dal momento che il fatto ignoto della distribuzione degli utili in nero, desunto dalla ristrettezza della base sociale, è e rimane solo il frutto di un sillogismo a carattere presuntivo tipico delle presunzioni semplici. Semmai, va evidenziato come qui il vaglio di gravità, precisione e concordanza (art. 2729 c.c.) sia oramai acquisito e non più in discussione, nel senso che la giurisprudenza vi ha dato oramai costante conferma. Sicché, trattandosi di una presunzione semplice, comunque grave, precisa e concordante, a tutti gli effetti riveste il valore di una prova, per cui la regola dell'art. 5-bis non può impattare.

Ma anche la diversa teoria mostra di cogliere in parte nel segno.

La lettura riduttiva testé vista, non riesce infatti a giustificare la novella, che evidentemente qualche cosa deve aver voluto aggiungere rispetto agli assetti già consolidati.

Non è stato innovato il funzionamento dell'onere della prova, ma è lecito aspettarsi che possano essere state modificate le regole con cui questo onere deve funzionare in concreto. Così, ad esempio, in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, non dovrebbe più valere l'insegnamento giurisprudenziale per cui l'Agenzia può assolvere il proprio onere dimostrando un semplice quadro indiziario per ricostruire la responsabilità del contribuente di non essersi reso conto della frode.

Alla stregua del nuovo parametro normativo, non può ritenersi sufficiente, da parte dell'Agenzia, offrire solamente un quadro indiziario, posto che il quadro indiziario non è ancora una prova (ma, appunto meri indizi).

Nel momento in cui la norma ha rimarcato, scandendolo plurime volte, l'esigenza che sia fornita una prova puntuale, non contraddittoria, sufficiente e compiuta, si deve reputare oramai inadeguato un semplice quadro indiziario. Anche perché, se ancora valesse l'insegnamento tralaticio della Suprema Corte, per cui basta un quadro indiziario per accollare al contribuente l'onere della prova circa la propria buona fede, bisognerebbe poi riconoscere che sia sufficiente il solo quadro indiziario a fondare la pretesa; ciò, almeno, in tutti i casi in cui il contribuente non riesce a fornire la prova contraria.

Ma questo contraddice chiaramente lo spirito della nuova norma, perché – come visto - la nuova norma dice ben altro.

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