La mancata notifica del ricorso per casella PEC piena obbliga il mittente alla sua ripetizione?

24 Marzo 2023

Sia il Tribunale amministrativo regionale che la Suprema Corte hanno ritenuto priva di effetti la notifica dell'atto processuale tributario effettuata a mezzo PEC e non perfezionatasi perché la casella di posta del destinatario era piena ed ha rifiutato la ricezione, applicando il principio che l'obbligo di quest'ultimo, ad una adeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi, tale da rendere possibile la notifica degli stessi, non esima il notificante da avere il “più composito onere”, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio, procedendo anche eventualmente presso il domicilio (fisico) eletto, ove presente, in un tempo adeguatamente contenuto.
Il caso del TAR Sardegna

Il Tribunale Amministrativo di Cagliari ha affrontato la questione nella sentenza n. 99 del 14 febbraio 2022, a fronte del ricorso presentato da un contribuente contro il provvedimento con il quale un Comune aveva disposto la decadenza dall'autocertificazione presentata per la realizzazione della recinzione di un'area, con tutte le conseguenze a ciò connesse.

Il ricorrente afferma di aver presentato le proprie osservazioni all'indirizzo PEC del Comune, ma che le stesse non sono mai pervenute in quanto il gestore di posta certificata restituiva un messaggio di mancata consegna perché la casella risultava piena.

Il Comune ha quindi disposto la decadenza dalla dichiarazione autocertificativa unica (DUA) presentata dal cittadino per la realizzazione della recinzione dell'area di sua proprietà e gli ha intimato al contempo il divieto di prosecuzione delle opere e l'immediata demolizione di quelle già eseguite, dando atto nell'Ordinanza emessa della mancanza di osservazioni da parte dell'interessato.

Il ricorrente sostiene che l'atto adottato dall'Ente sia illegittimo, in quanto non ha tenuto conto delle osservazioni che invece asserisce aver presentato, non potendosi a lui imputare la mancata consegna del messaggio di PEC in cui esse erano contenute, dovuta alla saturazione della capienza massima della casella di posta certificata del Comune; era, difatti, quest'ultimo che avrebbe dovuto usare la normale diligenza per provvedere alla periodica manutenzione e svuotamento della casella così da consentire la costante ricezione degli atti ad essa indirizzati.

Il Tar Sardegna ha però dichiarato il ricorso infondato, partendo dalla ricostruzione del percorso con cui si realizza la trasmissione di un documento mediante PEC, precisando che nella “spedizione” assume rilevanza la ricevuta di accettazione da parte del gestore del mittente, mentre nella “consegna al destinatario” questa è attestata dalla successiva ricevuta.

Pertanto, la normativa che disciplina la materia si preoccupa da un lato di tutelare il mittente, considerando adempiuto il suo onere di trasmissione con decorrenza dalla data e dall'ora dell'avvenuta accettazione del messaggio di posta da parte del proprio gestore (ricevuta di invio), dall'altro tutela il destinatario della comunicazione perché la consegna presuppone che il messaggio sia stato reso disponibile nella sua casella di posta (ricevuta di consegna).

Nel caso in cui la spedizione non vada a buon fine, anche per negligenza del destinatario, il mittente riceve un messaggio di mancata consegna generata dal sistema, ma è escluso a priori che la comunicazione sia pervenuta nella sfera di conoscibilità del ricevente, il quale può restare completamente ignaro sia della avvenuta trasmissione che dell'impossibilità di recapitargli il messaggio di posta elettronica.

A giudizio dei giudici amministrativi, viene in evidenza una chiara distinzione tra il sistema delle comunicazioni tramite PEC e il sistema postale cartaceo, poiché in quest'ultimo, con le comunicazioni a mezzo raccomandata, in caso di mancata consegna, l'operatore rilascia al destinatario una ricevuta con la quale è possibile il ritiro della posta in un momento successivo e lo pone nella condizione di sapere che vi è una comunicazione a lui rivolta e che è suo onere attivarsi per ritirarla; viceversa, nelle trasmissioni mediante posta certificata è il mittente che riceve la comunicazione della mancata consegna del messaggio inviato e che ha l'onere di mettere il destinatario nelle condizioni di riceverla.

Secondo il TAR, nel caso affrontato nella sentenza in commento, il ricorrente, pur avendo ricevuto il messaggio di mancata consegna della documentazione inviata via PEC all'amministrazione, non si è attivato per renderla disponibile al Comune mediante altra notifica o consegna a mano, violando i canoni comportamentali della correttezza e della buona fede che permeano tutti i rapporti, compresi quelli tra Amministrazione e cittadini.

Se quindi è vero che a norma dell'art. 3 del Codice dell'Amministrazione digitale vi è un diritto dei cittadini all'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche Amministrazioni, a cui corrisponde un dovere di queste ultime di consentire che tale uso sia effettivamente garantito adottando tutti i comportamenti necessari, tra cui la dovuta manutenzione della casella di posta elettronica onde evitare che risulti piena, è tuttavia vero che la violazione di tali doveri, come è nel caso giudicato, in assenza di una espressa previsione di legge, non può comportare una presunzione di conoscenza del contenuto di documenti che non siano mai pervenuti nella concreta disponibilità e conoscenza dell'Amministrazione.

Per tali motivi il ricorso è stato respinto.

Il caso della Corte di Cassazione

L'ordinanza della Suprema Corte n. 2193 del 24 gennaio 2023 ha trattato il seguente caso. L'Agenzia delle Entrate notificava ad un contribuente una intimazione di pagamento relativa a numerose cartelle, il quale impugnava la stessa sollevando questioni inerenti a vizi dell'intimazione e, per alcune, la intervenuta decadenza. La Commissione di primo grado accoglieva il ricorso rimarcando la mancata prova della notifica delle cartelle, oltre a ritenere fondate altre censure proposte. L'Agenzia proponeva appello eccependo, al contrario di quanto contestato, l'avvenuta notifica delle cartelle in date precise e indicate, ma i giudici del secondo grado respingevano il ricorso, osservando che le notifiche erano state sì effettuate, ma dopo l'intervenuta decadenza.

Nel ricorso per cassazione l'Agenzia affida l'impugnativa a due motivi. Il particolare che, però, rileva è che la stessa procedeva nel 2022 al rinnovo della notifica del ricorso effettuato a mezzo PEC nel 2020, in quanto la precedente notifica, anch'essa via PEC, era stato “rifiutata dal sistema” essendo la casella del legale della contribuente “piena”, come risultante dal relativo messaggio di mancata consegna. La contribuente, a seguito della notifica ripetuta ed unica a lei pervenuta, si è costituita a mezzo di controricorso per eccepire la tardività dell'impugnativa e resistere anche nel merito.

La Corte ha ritenuto dover in via preliminare trattare la questione inerente al perfezionamento della notifica, poiché quella effettuata nel termine di legge per l'impugnazione era stata rifiutata dal sistema in quanto la casella di destinazione era “piena”.

La questione è stata decisa considerando l'orientamento di cui è espressione la sentenza Cass. 20 dicembre 2021, n. 40758, il quale prevede che se la notificazione del messaggio telematico non vada a buon fine per una ragione addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20 maggio 2019, n. 13532, Cass., 21 marzo 2018, n. 8029) si deve ritenere che sia il notificante stesso ad avere il “più composito onere”, anche alla luce del principio dellaragionevole durata del processo, di ripetere idoneamente la notifica presso il domicilio (fisico) eletto, e ciò in un tempo adeguatamente contenuto (come stabilito da Cass., Sez. Un., 15 luglio 2016, n. 14594, secondo cui “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”).

Tale orientamento si fonda sul principio che il regime normativo concernente l'identificazione del c.d. domicilio digitale è escluso abbia soppresso il diritto processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valida sede di ricezione delle notifiche degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 11 febbraio 2021, n. 3557), e solo con l'eventuale suo utilizzo, in caso di impossibilità della procedura telematica, potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica.

Applicando i suesposti criteri alla fattispecie giudicata nel caso in esame, a fronte della documentata circostanza per cui la casella di posta elettronica certificata del legale della contribuente era piena, con relativo messaggio del gestore PEC della mancata consegna, risulta presente l'elezione di domicilio fisico, come emerge dalla procura in calce alla memoria depositata agli atti, in cui si legge che la stessa era elettivamente domiciliata presso il proprio legale in Roma, via di S.C. in G. n.9. Pertanto, in base a quanto rilevato, non si è compiuta la fattispecie notificatoria mancando l'elemento della “consegna”, cui è subordinata l'esistenza della medesima, ed occorreva – in base a quanto in precedenza argomentato - il rinnovo della notificazione stessa. La sua esecuzione è sì avvenuta, ma ben due anni dopo quella fallita, oltre quindi il termine pari alla metà di quello stabilito dall'art. 325, comma 2 c.p.c., indicato come congruo dalla ricordata giurisprudenza delle sezioni unite, risultando quindi tardiva.

In conseguenza di quanto dianzi esposti, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Il precedente diverso orientamento della Corte di Cassazione

Anche nella citata ordinanza n. 2193/2023 la Suprema Corte ha richiamato in prima battuta, salvo poi confutarlo, l'orientamento contenuto nella propria sentenza 11 febbraio 2020, n. 3164, secondo il quale in caso di mancata notificazione dell'atto via PEC per causa imputabile al destinatario della stessa, tale situazione sia equiparata all'avvenuta consegna del messaggio di posta certificata.

Secondo tale sentenza, difatti “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario "piena", da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi” (Cass.).

La decisione giunge alla conclusione che l'incuria del destinatario di un indirizzo di PEC nel verificare che vi sia sempre un residuo spazio di memoria atto a ricevere le notifiche, equivalga alla scelta di rifiutare queste ultime e, quindi, ogni notifica non ricevuta per tale motivo è da considerarsi perfezionata.

La ratio di ciò deriverebbe dal combinato disposto dell'art. 149-bis, terzo comma, e 138 comma 2 c.p.c., dell'art. 20 comma 5 del D.M. n. 44 del 2011, in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall'ufficiale giudiziario.

Difatti, secondo le norme citate, «La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.» inoltre «Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare l' effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.» ed, infine, in tema di notifiche da parte dell'ufficiale giudiziario, “Se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l'ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta in mani proprie”.

La presunzione legale di conoscenza nel caso della mancata notifica per i motivi anzidetti, a cui giunge l'orientamento espresso e derivante dalla combinazione delle citate norme, è rivolta a soddisfare l'esigenza pratica di impedire che un comportamento intenzionale del destinatario della notifica, quale appunto il rifiuto, sia in grado di impedire il normale svolgimento della procedura di notificazione, traendone ingiustificati ed indebiti benefici.

Conseguenza della presunzione legale di avvenuta notifica che si concretizza se la casella PEC venga lasciata piena, è che ricade sul destinatario di essa l'onere di provvederne al controllo periodico di capienza, finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite quel mezzo sia effettivo.

Il lasciare la casella di PEC satura equivale, in definitiva, ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite la stessa, con le esposte conseguenze che le normative in tema di notificazione telematica prevedono per tale fattispecie.

Conclusioni

In via generale si evidenzia che l'orientamento della Suprema Corte di cui alla sentenza n. 3164/2020 aveva preso in considerazione la sola presunzione di legge degli effetti del comportamento negligente del destinatario di una notifica telematica, equiparandolo ad un atto volontario indirizzato ad impedire quest'ultima e, quindi, ponendo a suo carico tutti gli effetti dell'azione, fino a considerare ogni notifica inviata alla casella di PEC piena e non consegnata, da intendersi come eseguita.

In nessun modo era stata valutato il comportamento del mittente, nel momento in cui apprendeva della avvenuta impossibilità di consegna del messaggio nella casella del destinatario.

Le successive riflessioni, portate dalle due decisioni commentate del TAR Sardegna e della Cassazione, seppur trattando situazioni notificatorie opposte per quanto al destinatario della comunicazione di posta certificata, Pubblica Amministrazione nella decisione TAR e cittadini in quella della Cassazione, giungono alla medesima conclusione, ma soprattutto hanno valutato con maggior attenzione gli effetti della generale normativa in tema di notifiche telematiche.

Difatti, già con una precedente sentenza (Cass. n. 3557/2021) i giudici della Suprema Corte avevano specificato che l'identificazione del c.d. domicilio digitale, non ha soppresso comunque la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, un luogo specifico come valido riferimento per le notifiche processuali e, pertanto, fintanto che permane l'elezione del domicilio fisico nella procura alle liti, generalmente presso lo studio del difensore, appare ingiustificato che se poi, in caso di disguidi nella notifica con gli strumenti telematici, tale l'indirizzo non debba essere utilizzato per proseguire nella corretta notificazione.

Inoltre, è stata particolarmente valutata la circostanza che nessuna presunzione può essere posta a carico del destinatario di un messaggio di posta certificata per la mancata consegna, seppur dovuta alla casella lasciata satura, perché questi non è in nessun modoposto in condizione di esserne a conoscenza, in quanto il messaggio di mancata/impossibile consegna è nella disponibilità unicamente del mittente e proprio tale stato di cose, secondo i giudici, porta a ribaltare in capo a quest'ultimo l'onere della diligenza da porre per la corretta esecuzione della notificazione e per assicurare il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, imponendo al soggetto che viene a conoscenza del suoi mancato perfezionamento a rieseguirla con i mezzi resi disponibili dalle singole circostanze (nuova notifica telematica o notifica ordinaria all'indirizzo fisico se presente negli atti processuali), in linea, peraltro, con il principio già stabilito in tale materia dalla Cass., sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352.

A conferma di quest'ultimo orientamento portato dalle sentenze esaminate, anche il D.Lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022, attuativo della Delega conferita al legislatore con la l. n. 206/2021 (c.d. “riforma Cartabia” per l'efficienza del processo civile), che ha introdotto disposizioni volte a snellimento, semplificazione e razionalizzazione del processo civile, è intervenuta, in quest'ambito, a regolamentare proprio la fattispecie della mancata notifica di un atto per causa imputabile al destinatario, modificando la legge 21 gennaio 1994, n. 53, inserendo l'articolo 3-ter, il cui secondo comma recita: “2. Nei casi previsti dal comma 1, quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato non è possibile o non ha esito positivo:

a) se il destinatario è un'impresa o un professionista iscritto nell'indice INI-PEC di cui all'articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l'avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell'area web riservata prevista dall'articolo 359 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l'inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui e' compiuto l'inserimento;

b) se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all'articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l'avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie.”

Stante il generico rinvio alle norme del codice di procedura civile attuato dal d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in tema di processo tributario, per quanto da esso non disposto e con esso compatibili, non appare alcuna preclusione perché la disposizione citata del decreto n. 149/2022 non possa trovare attuazione in campo tributario, per cui i possessori di caselle di PEC, siano essi privati cittadini, difensori o pubbliche amministrazioni, quando eseguono notifiche processuali dovranno, da oggi in poi, avere cura di verificare il loro buon fine e, in caso contrario, provvedere con diligenza a proseguire la notifica con i mezzi alternativi disponibili, pena il riconoscimento in giudizio della nullità della stessa.

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