Tutela del consumatore, tutela monitoria e giudicato: una lite trilatera?
27 Marzo 2023
La vexata quaestio aperta dalla giurisprudenza euro-unitaria con la decisione della Grande Sezione Banco di Desio
Il dialogo tra ordinamenti nazionali ed ordinamento euro-unitario è da sempre affascinante quanto difficile: un dialogo tra corti destinato talvolta a farsi scontro, ma su cui le Comunità economiche europee fino all'attuale Unione europea hanno ab origine fortemente creduto, riconoscendo nei giudici dei singoli Stati membri la ramificazione capillare attraverso cui giungere all'integrazione europea. Sono quei giudici, infatti, ad assicurare attuazione al diritto euro-unitario sì da renderlo davvero ‘unito', da un lato, quali depositari di quel delicato – perché pervasivo – potere-dovere di rimettere alla Corte di giustizia dell'Unione europea le questioni interpretative sollevate dal diritto dell'UE, dall'altro, perché tenuti, una volta ottenuto il ‘responso' di quella corte, a raccoglierne il ‘seme' per farne ‘frutto' inter moenia (Per tutti a riguardo N. Trocker, La formazione del diritto processuale civile europeo, Torino, 2011; P. Biavati, Il diritto processuale dell'Unione europea, V ed., Milano, 2015, 33 ss.; e E. D'Alessandro, Il procedimento pregiudiziale interpretativo dinanzi alla corte di giustizia. Oggetto ed efficacia della pronuncia, Torino, 2012). Uno degli ambiti in cui quei ‘muri' sembrano rompersi e il dialogo degenerare in scontro – se non tra corti, quanto meno tra categorie giuridiche (processuali) – è quello che da tempo ruota intorno alla (effettività della) tutela del consumatore che subisca clausole contrattuali abusive da parte del professionista; alla configurazione delle forme di tutela giurisdizionale offerte dagli ordinamenti nazionali (in particolare: monitoria ed esecutiva) e alla tutela (della certezza del diritto) assicurata dal giudicato civile. Un ambito in cui, a seguito di incalzanti quanto dirompenti interventi della Corte di giustizia UE, sollecitati da solerti giudici nazionali (in particolare, in tema di rispetto del principio di effettività della tutela consumeristica apprestata dalla direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in conformità all'art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: Corte di giustizia UE, 6 ottobre 2009; Id., 4 giugno 2009,Pannon, causa C-243/08; Id., 18 febbraio 2016, Finanmadrid, causa C-49/14; Id., 26 gennaio 2017), pare che le tutele summenzionate si scontrino le une con le altre, in una …lite trilatera, che trova espressione in uno spinoso dilemma: quale delle tre deve prevalere?
Per la Corte di giustizia, sospinta dal preminente interesse dell'Unione di favorire il mercato unico, non sembra da tempo esservi dubbio: la primazia spetta alla tutela del consumatore a discapito – o meglio: con rivisitazione – delle altre due, i.e. configurazione a livello nazionale delle forme di tutela giurisdizionale e del giudicato civile. Lo ha reso da ultimo evidente la nota sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia del 17 maggio 2022 sui casi SPV Project (C-693/19) e Banco di Desio (C-831/19), secondo cui gli artt. 6, par. 1, e 7, par. 1, direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che “ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa – per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come ‘consumatore' ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo”.
È questo il dispositivo della citata sentenza sulle cause riunite di cui nel testo, per un cui commento v. S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto e protezione del consumatore: la certezza arretra di fronte all'effettività, in Giur. it., 2022, 2117; nonché M. Stella, Il procedimento monitorio nella curvatura delle nullità di protezione consumeristiche, ivi, 2126. Codesta pronuncia è in linea con le altre, rese dalla Corte di giustizia UE in relazione a quesiti simili a quelli che hanno occasionato il rinvio pregiudiziale formulato dal Tribunale di Milano e sfociato nel menzionato caso Banco di Desio: v. Corte di giustizia UE, 17 maggio 2022, Ibercaja Banco, causa C-600/19, secondo cui “L'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che, a causa degli effetti dell'autorità di cosa giudicata e della decadenza, non consente né al giudice di esaminare d'ufficio il carattere abusivo di clausole contrattuali nell'ambito del procedimento di esecuzione ipotecaria, né al consumatore, dopo la scadenza del termine per proporre opposizione, di far valere il carattere abusivo di tali clausole nel procedimento in parola o in un successivo procedimento dichiarativo, quando dette clausole siano già state oggetto, al momento dell'avvio del procedimento di esecuzione ipotecaria, di un esame d'ufficio da parte del giudice quanto al loro eventuale carattere abusivo, ma la decisione giurisdizionale che autorizza l'esecuzione ipotecaria non comporti alcun punto della motivazione, nemmeno sommario, che dia atto della sussistenza dell'esame in parola né indichi che la valutazione effettuata dal giudice di cui trattasi”. Nello stesso senso, Corte di giustizia UE, 17 maggio 2022, Unicaja Banco, causa C-869/19, secondo cui “L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che esso osta all'applicazione di principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali il giudice nazionale, adito in appello avverso una sentenza che limita nel tempo la restituzione delle somme indebitamente corrisposte dal consumatore in base a una clausola dichiarata abusiva, non può sollevare d'ufficio un motivo relativo alla violazione della disposizione in parola e disporre la restituzione integrale di dette somme, laddove la mancata contestazione di tale limitazione nel tempo da parte del consumatore interessato non possa essere imputata a una completa passività di quest'ultimo”.
Ritiene, infatti, la Grande Sezione che “una normativa nazionale secondo la quale un esame d'ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto e coperto dall'autorità di cosa giudicata anche in assenza di qualsiasi motivazione in tal senso contenuta in un atto quale un decreto ingiuntivo può, tenuto conto della natura e dell'importanza dell'interesse pubblico sotteso alla tutela che la direttiva 93/2013 conferisce ai consumatori, privare del suo contenuto l'obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame d'ufficio dell'eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali” (Così Corte di giustizia UE, 27 maggio 2022, (Grande Sezione), casi SPV Project e Banco di Desio, cause riunite C-693/19 e C-831/19, punti 65 e 66). Come da più parti evidenziato, il dictum della Corte di Lussemburgo ha ulteriormente scoperchiato il ‘vaso di pandora', affidando alla giurisprudenza nazionale, con il conforto della dottrina, il compito – nell'impossibilità di ‘richiudere quel vaso' – di mettere ordine nella ‘fuga di doni' che la pronuncia della Corte di giustizia UE ha fatalmente indirizzato agli Stati membri. Il dibattito e gli scenari futuri: come ‘ricomporre il sistema'?
È cosa nota come letteratura e giurisprudenza italiane si siano prontamente interrogate su come reagire e rispondere ai quesiti, non solo teorici ma drammaticamente pratici, sollevati dalla citata decisione dei giudici euro-unitari, in particolare – per quel che in questo breve scritto maggiormente preme – in merito alle ricadute operative di quella pronuncia sullo svolgersi del procedimento monitorio, su definitività ed efficacia del decreto ingiuntivo non tempestivamente opposto cui segua il processo esecutivo, e sulla tutela del consumatore contro cui quell'ingiunzione sia stata indirizzata.
Risaputo è, infatti, che punti – sino ad oggi fermi – nel nostro ordinamento sono i seguenti. (a) Il procedimento monitorio presenta una fase inaudita altera parte – seguita solo in via eventuale da quella in contradditorio – in cui mancherebbe lo spazio per una cognizione officiosa del giudice, in ispecie, per quel che ivi interessa, in merito alla qualifica di consumatore dell'ingiunto e all'abusività della clausola apposta nel contratto che costui abbia concluso con il professionista, pena il possibile snaturamento del segmento processuale monitorio (ripercorre il punto S. Caporusso, Procedimento monitorio interno e tutela consumeristica, in S. Caporusso e E. D'Alessandro (a cura di), Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo, in Giur. it., 2022, 533 ss.; nonché Id., Decreto ingiuntivo non opposto ed effettività della tutela giurisdizionale: a proposito di due recenti rinvii pregiudiziali, in Nuove leggi civ. comm., 2020, 1266 ss., prec. 1281). (b) Il decreto ingiuntivo non opposto tempestivamente diventa definitivo e produce l'effetto di cosa giudicata, la cui intangibilità porta con sé la regola della c.d. preclusione del dedotto e del deducibile, con conseguente impossibilità per l'ingiunto di infirmare la stabilità dell'ingiunzione facendo valere (nelle parentesi cognitorie del processo esecutivo) fatti impeditivi, modificativi od estintivi che non siano sopravvenuti alla definitivà del decreto, i.e. che fossero già spendibili nella fase (eventuale) a cognizione piena di opposizione all'ingiunzione (Lo puntualizza, con nitore, E. D'Alessandro, Una proposta per ricondurre a sistema le conclusioni dell'avv. Gen. Tanchev, in S. Caporusso e E. D'Alessandro (a cura di), Consumatore e procedimento monitorio nel prisma del diritto europeo, cit., 541 ss., prec. 542 e 543, che correttamente sottolinea che nel caso di specie erroneo sia discorrere – come invece la Corte di giustizia fa nel caso Banco di Desio – di efficacia di “giudicato implicito” sulla non-abusività della clausola contrattuale spiegata dal decreto ingiuntivo non opposto dal consumatore. Non tanto di giudicato implicito si deve infatti parlare, ma a rigore di preclusione che sul punto matura allorché il consumatore ingiunto non faccia opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 645 c.p.c., o, ove se ne diano le condizioni, ai sensi dell'art. 650 c.p.c.). (c) L'azione esecutiva, che segua all'emissione del decreto ingiuntivo divenuto definitivo ed esecutivo, è ritenuta tradizionalmente ‘astratta', in quanto per la sua legittima instaurazione e prosecuzione si considera necessaria e sufficiente l'esistenza del titolo esecutivo, senza che nel processo di esecuzione si contempli alcuna apertura cognitoria, tranne quelle legislativamente ammesse – ma a maglie strette – delle opposizioni nel processo esecutivo (Sul punto limpidamente, ancora, S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto ed effettività della tutela giurisdizionale, cit., 1280-1, e ivi riferimenti dottrinali).
Ebbene, si intende come date queste coordinate nazionali, facile non sia addivenire ad una composizione di quella ‘lite trilatera' che vede scontrarsi, da un lato, tutela monitoria e regiudicata civile – per come disegnate nel nostro ordinamento – e, dall'altro, effettività della tutela del consumatore – quale esaltata dalla Corte di Lussemburgo, in particolare a seguito del pronunciamento sul caso Banco di Desio. Il compito assegnato in quella sentenza agli Stati membri – e nel caso di specie al nostro – infatti, non è agevole, soprattutto laddove, come è auspicabile che sia, si voglia ‘ricondurre a sistema' il dictum della Grande Sezione della Corte di giustizia UE, e cioè si dia ad esso seguito inter moenia, ma senza gettare l'ordinamento – e gli operatori pratici! – in una perniciosa incertezza giuridica. Scenario, questo, che, a ben vedere, provocherebbe più danni che benefici agli stessi consumatori, di cui l'Unione europea da sempre si erge a rigorosa tutelatrice. Ora, non v'è dubbio che in un tale cammino, teso a ‘ricomporre' il sistema (nazionale) alla luce del monito della Grande Sezione nel caso Banco di Desio, la soluzione più ‘rassicurante' sarebbe quella di garantire la protezione del consumatore – i.e. la vigilanza ex officio del giudice sulla (non) vessatorietà della clausola – in seno al procedimento in cui si spiega la tutela giurisdizionale cognitoria, evitando di far ricadere a valle, nell'alveo del processo esecutivo, quella mancata protezione a monte. Ciò si risolverebbe, infatti, quanto meno nel nostro ordinamento, in una ‘forzatura' del processo esecutivo, imperniato sulla riconosciuta astrattezza dell'azione esecutiva e quindi sulla tendenziale assenza di contraddittorio nella fase esecutiva, tranne nelle cesellate ipotesi legislativamente previste di opposizioni nell'esecuzione (Sul punto limpidamente, ancora, S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto ed effettività della tutela giurisdizionale, cit., 1280-1, e ivi riferimenti dottrinali).
Chiaro è però come questo imponga un ripensamento della fase monitoria del procedimento per ingiunzione di cui agli artt. 633 ss. c.p.c., anche attraverso una valorizzazione dell'art. 640 c.p.c., rivisitazione che potrebbe però condurre ad uno snaturamento del segmento inaudita altera parte del procedimento monitorio così come concepito nel nostro ordinamento; nonché, a livello pratico-operativo-organizzativo, ad un'inevitabile integrazione del modello di provvedimento di decreto ingiuntivo nella consolle telematica del giudice (Mette in risalto il profilo E. D'Alessandro, Una proposta per ricondurre a sistema le conclusioni dell'avv. Gen. Tanchev, cit., 543. In questi termini anche il Procuratore generale della Corte di Cassazione, G.B. Nardecchia, con riguardo all'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363 c.p.c. nella causa, pur da dichiararsi estinta, R.G. 24533/2021, rimessa dalla terza sezione della Corte di Cassazione alle Sezioni Unite. Il Procuratore generale, infatti, evidenzia che per il futuro il problema si può risolvere con l'obbligo per il giudice del monitorio, derivante direttamente dalla normativa euro-unitaria, dell'inserimento di una clausola nel decreto ingiuntivo (a) con cui quegli dichiari di aver proceduto ad un esame d'ufficio del carattere abusivo delle clausole del titolo all'origine del procedimento monitorio; (b) che dia atto che detto esame, motivato almeno sommariamente, non ha rivelato la sussistenza di nessuna clausola abusiva, e (c) che allerti il consumatore che, in assenza di opposizione a decreto ingiuntivo entro il termine stabilito, egli decadrà dalla possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo di siffatte clausole).
Solo in questo modo, infatti, e cioè imponendo al giudice dell'ingiunzione di ponderare ogni clausola presente nel contratto a sostengo del ricorso per decreto ingiuntivo e di motivare le sue determinazioni a riguardo, si potranno evitare le ricadute in seno al procedimento esecutivo che la sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia UE ha paventato. Ciò detto, non si può che constatare come anche un tale scenario, che pur preserva la certezza della tutela esecutiva fondata su decreto ingiuntivo non opposto, comporta inevitabili conseguenze per il creditore procedente. Vi è da chiedersi, infatti, se un tale ripensamento della fase monitoria del procedimento di ingiunzione – che imponga al giudice dell'ingiunzione le summenzionate verifiche e motivazioni su qualifica dell'ingiunto e vessatorietà della clausola – non renda de facto l'iter monitorio meno appetibile di altri nel conseguimento del titolo esecutivo. ‘Appesantito' in tal modo il segmento monitorio, non è detto, infatti, che il procedimento di ingiunzione risulti ancora così ‘conveniente' agli occhi del creditore, tanto più a fronte di incertezze che potrebbero comunque residuare circa l'aderenza di questo nuovo ‘modello' della fase monitoria – e correlato vaglio della clausola vessatoria – al dictum della Grande Sezione della Corte di giustizia UE.
In questo senso si leggono le riflessioni di S. Caporusso, Decreto ingiuntivo non opposto ed effettività della tutela giurisdizionale: a proposito di due recenti rinvii pregiudiziali, cit., 1281, che evidenzia come lo stesso giudice meneghino promotore del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE nella causa Banco di Desio avesse lasciato intendere che il procedimento monitorio, per come strutturato nell'ordinamento italiano, non potrebbe constare di una fase di cognizione officiosa, in quanto, ove così fosse, quel procedimento perderebbe il suo carattere monitorio. Con la conseguenza – sottolinea giustamente l'a. – che “qui davvero il problema si sposta sulla natura del procedimento, che non può venire ibridato al punto di mutarne i propri tratti caratteristici”.
La sentenza Banco di Desio come jus superveniens. Quali soluzioni a fronte dei decreti ingiuntivi già emessi prima della sua pronuncia?
Al di là di tali considerazioni che guardano al futuro, e cioè ad un possibile ripensamento del procedimento monitorio onde allineare il nostro ordinamento alle direttive impartite dalla giurisprudenza euro-unitaria, rimane però da interrogarsi sulle conseguenze della sentenza Banco di Desio ‘nel presente'. Ossia sul contenzioso già deciso – prima del dictum della Grande Sezione – con decreti ingiuntivi, divenuti per l'ordinamento italiano definitivi, emessi contro consumatori che ne lamentino la pronuncia in assenza di una valutazione ufficiosa del giudice investito del ricorso per decreto ingiuntivo circa la vessatorietà della clausola apposta al contratto indicato dal creditore-professionista a corredo del ricorso. Il tema si pone con urgenza per la pacifica riconduzione delle sentenze interpretative del diritto euro-unitario rese dalla Corte di giustizia dell'UE allo jus superveniens, cosa che rende i principi da quella enunciati immediatamente applicabili nell'ordinamento nazionale (In questo senso Cass, sez. III, 26 agosto 2022, n. 25414, confermata da Cass., sez. lav, 12 settembre 2014, n. 19301; Cass., sez. V, 2 luglio 2014, n. 15032), con la sola esclusione che per i rapporti esauriti. Così Cass., sez. V, 9 ottobre 2019, n. 25278, secondo cui “In tema di processo tributario, nel giudizio di legittimità il ricorso incidentale deve essere trattato preliminarmente rispetto a quello principale allorché attenga allo ius superveniens costituito da una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, la quale ha efficacia immediata nell'ordinamento nazionale, purché non siano necessari nuovi accertamenti di fatto, e valenza retroattiva, salvo il limite dei rapporti esauriti”.
Ne discende che, in attesa di opportune rimodulazioni della tutela monitoria alla luce della giurisprudenza della Corte di Lussemburgo capaci di prevenire lo scardinamento della configurazione della nostra tutela esecutiva, preme individuare quali rimedi, tra i possibili, siano in grado di dare sì seguito al dictum della sentenza Banco di Desio, dando protezione effettiva al consumatore, ma evitino al contempo di ‘travolgere' i processi esecutivi con l'apertura di quella cognizione ex post della vessatorietà della clausola che non sia stata espletata (e motivata) ex ante. La risposta di un'interessante sentenza di merito del Tribunale di Milano
Alla ricerca di risposte concrete in un orizzonte così periglioso – che rischia di investire la macchina giudiziaria proprio quando più incalzanti sono le richieste indirizzate all'Italia di riduzione del contenzioso pendente e dei tempi di sua definizione – si segnala una sentenza della sezione XI del Tribunale di Milano, che merita qui portare all'attenzione (Trib. Milano, sez. XI, 17 gennaio 2023 n. 298, est. dott.ssa I. Gentile).
In questa, infatti, si avanza un'interessante soluzione tesa ad evitare quel ‘travolgimento' dei processi esecutivi – cui sopra si accennava – che deriverebbe dall'apertura in essi di quella cognizione ex post della vessatorietà della clausola non espletata (e motivata) ex ante nella fase monitoria o di opposizione a decreto ingiuntivo. In breve, questo è il caso – non raro a verificarsi a seguito della sentenza Banco di Desio – che ha occasionato la pronuncia del giudice milanese. In data anteriore alla pronuncia della Corte di giustizia UE sul caso Banco di Desio, una s.p.a. otteneva decreto ingiuntivo avanti al Tribunale di Milano contro la signora X, quale affermata fideiussore del proprio debitore Y. Il decreto ingiuntivo veniva opposto dall'ingiunta, che ne chiedeva la revoca affermando di non essersi mai costituita garante per Y nei confronti della s.p.a., disconoscendo tutte le sottoscrizioni a sé riferibili ed in ogni caso affermando la sua qualità di consumatore. Anche ove fosse stata riconosciuta la veridicità delle sue sottoscrizioni, infatti, ella avrebbe dovuto accertarsi firmataria della garanzia quale madre e nonna dei due soci della s.p.a garantita, con conseguente nullità della clausola apposta al contratto di fideiussione che dichiarava la competenza esclusiva del Tribunale di Milano, ancorché foro non di sua residenza o domicilio. Il Tribunale di Milano rilevava d'ufficio la tardività dell'opposizione a decreto ingiuntivo, nonché la possibile incompetenza del giudice adito in quanto non foro del consumatore, quale l'opponente pareva essere. Di qui, l'assegnazione alle parti di un termine per memorie difensive che, ai sensi dell'art. 101, comma 2, c.p.c., consentissero di dire e contraddire su tali questioni rilevate d'ufficio e idonee a definire il giudizio. L'opponente confermava le proprie argomentazioni, mentre l'opposta insisteva per la tardività dell'opposizione e la conseguente definitività del decreto. Alla successiva udienza, il giudice milanese avanzava una proposta conciliativa alle parti ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c., che veniva però da costoro rifiutata, con conseguente rimessione della causa in decisione. Durante la fase decisoria, il giudice rimetteva le parti in istruttoria, dando atto della pendenza del ricorso pregiudiziale alla Corte di giustizia UE sollevato da altro giudice del Tribunale di Milano sul (noto) caso Banco di Desio, affinché le parti, una volta pronunciatasi la Corte di Lussemburgo, potessero interloquire sul punto. Emessa la sentenza Banco di Desio, il giudice milanese si pronunciava in questi termini. Accertata l'effettiva tardività dell'opposizione a decreto ingiuntivo, egli evidenzia in via preliminare quanto segue. Secondo l'orientamento interno affatto consolidato, il giudice può statuire sulla pretesa originariamente fatta valere con la domanda di ingiunzione, e quindi sulle eccezioni e difese contro di essa proposte, soltanto nel giudizio di cognizione instaurato a seguito di rituale e tempestiva opposizione all'ingiunzione. Ove vanamente decorso il termine per proporre detta opposizione ed in assenza di situazioni suscettibili di giustificare l'opposizione tardiva di cui all'art. 650 c.p.c., l'esercizio del potere-dovere del giudice di rilevare e decidere quelle eccezioni è impedito dal passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. Tale giudicato preclude al giudice la cognizione e decisione delle ragioni di fatto e di diritto esercitate in giudizio dalle parti come costituenti precedenti logici, essenziali e necessari della pronuncia – più che per un vincolo da giudicato implicito – per la regola secondo cui la res judicata formatasi a seguito di mancata opposizione all'ingiunzione copre il dedotto e il deducibile. Ebbene, in questa cornice si inserisce la giurisprudenza della Corte di giustizia UE portata a compimento dalla sentenza Banco di Desio, che impone, degli assunti testé citati, una necessaria rivisitazione; ripensamento che deve muovere dalla seguente constatazione. Tanto le conclusioni dell'avvocato generale nel rinvio pregiudiziale che ha occasionato la sentenza Banco di Desio quanto la parte motiva di detta pronuncia esplicitano che tutela del consumatore e intangibilità della regiudicata civile vengono entrambe contestualmente garantite laddove il provvedimento giurisdizionale (in thesi passato in giudicato) contenga una motivazione – anche sommaria – del giudice della fase monitoria sui seguenti profili: (a) la qualifica di consumatore o meno dell'ingiunto; (b) la presenza o meno di clausole vessatorie nel contratto posto dal creditore a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo (nel nostro ordinamento, leggasi: le clausole ai sensi degli artt. 33 ss. c.cons.); (c) le ragioni dell'esclusione di tale vessatorietà, cui dovrebbe unirsi l'avvertimento al debitore ingiunto della possibilità, a pena di definitiva decadenza, di far valere l'eventuale abusività della clausola mediante tempestiva opposizione a decreto ingiuntivo (È quanto si ricava dalla citata Corte di giustizia UE, 17 maggio 2022, Ibercaja Banco, causa C-600/19). Ove menzione e motivazione della cognizione e decisione di questi profili non si diano nel decreto ingiuntivo, si dovrà ritenere che questi ultimi non siano stati esaminati dal giudice della cognizione, con conseguente facoltà di quello dell'esecuzione (o anche dell'impugnazione) di prenderli in esame ex novo,a vantaggio di una tutela effettiva del consumatore. Posto che nel caso di specie il decreto ingiuntivo tardivamente opposto si presentava privo di motivazione, seppur sommaria, sulle questioni più sopra elencate, il giudice milanese si determinava come segue. Nonostante la riscontrata tardività dell'opposizione, egli riteneva di poter accedere alla cognizione circa la vessatorietà del patto di deroga alla competenza territoriale del foro del consumatore; dichiarava la sua abusività per violazione dell'art. 33, comma 2, lett. u), c.cons. e conseguente incompetenza del giudice adito in via monitoria; annullava pertanto il decreto ingiuntivo opposto; e, cancellata la causa dal ruolo, fissava alle parti un termine di riassunzione della causa avanti al tribunale dichiarato esclusivamente competente, in quanto foro del consumatore. Alla ricerca di certezze: in attesa del principio di diritto nell'interesse della legge delle Sezioni Unite
La soluzione abbracciata dal giudice milanese merita apprezzamento, laddove a ragione egli ritiene che, alla luce della giurisprudenza euro-unitaria coronata dalla sentenza Banco di Desio, si debba escludere che il decreto ingiuntivo, emesso in assenza di motivazione – pur sommaria – sui profili sopra enunciati, sia idoneo a coprire il deducibile che essi rappresentano. Ne consegue che ove fatalmente accada che l'ingiunzione così pronunciata sia aggredita con opposizione tardiva, ben potrebbe il giudice dell'opposizione, nonostante la sua tardività, rilevare la qualifica di consumatore e l'abusività della clausola, annullando il decreto ingiuntivo. In questo senso incoraggerebbe quella giurisprudenza della Corte di giustizia UE per cui, a garanzia dell'effettività della tutela del consumatore, il giudice nazionale è tenuto ad esaminare nel merito la sussistenza di una clausola potenzialmente abusiva “non appena” essa emerga dagli atti di causa. Non solo. A ben vedere, proprio l'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo rappresenterebbe la via più opportuna – e meno invasiva – per eliminare decreti ingiuntivi pronunciati senza cognizione e sommaria motivazione del giudice del monitorio sui profili summenzionati: essa, infatti, riuscirebbe a prevenire, a monte, il rilievo (officioso o di parte) della vessatorietà della clausola a valle, nel corso del processo esecutivo. È, questa, d'altronde la soluzione che emerge in motivazione dell'istanza di principio di diritto nell'interesse della legge avanzata dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione nel noto ricorso, frattanto estintosi, proposto contro la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio di rigetto dell'opposizione all'esecuzione sollevata dall'esecutata per nullità del decreto ingiuntivo emesso da giudice territorialmente incompetente perché non quello del foro del consumatore. Nella motivazione di quell'articolata richiesta del Procuratore Generale ex art. 363 c.p.c., volta a ricevere dalle Sezioni Unite direttive chiare su come reagire alla giurisprudenza coronata dal caso Banco di Desio, si legge, infatti, che “la conseguenza logico giuridica [di tale sentenza] comporta che anche i decreti ingiuntivi passati in giudicato potranno essere opposti”[1]. In queste affermazioni trova quindi conferma quella via interpretativa – qui condivisa – che, alla luce della giurisprudenza euro-unitaria richiamata, con riguardo ad ingiunzioni la cui emissione non sia stata preceduta da una valutazione (e motivazione) sulla vessatorietà della clausola, apre ad un'opposizione a decreto ingiuntivo non soggetta ai termini di cui agli artt. 647 e 650 c.p.c.(sul punto v. A. Proto Pisani, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 420, richiamato da M. Stella, op. loc. ult. cit.).
È, questa, d'altronde una soluzione non nuova, dal momento che in tale direzione militava, ancora negli anni '80 del secolo scorso, la giurisprudenza nazionale a proposito di ingiunzioni contro lo straniero in violazione del divieto posto dall'abrogato art. 633, comma 3, c.p.c. (Sul punto v. A. Proto Pisani, Le tutele giurisdizionali dei diritti, Napoli, 2003, 420, richiamato da M. Stella, op. loc. ult. cit.). Non per questo, però, la traduzione inter moenia della giurisprudenza della Corte di giustizia UE può dirsi risolta. Ove l'ingiunto, infatti, non si avvalga di una tale opposizione tardiva e l'esecuzione forzata abbia inizio, permangano le incertezze su come il giudice dell'esecuzione debba muoversi. Di qui, l'urgenza dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite che l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge da ultimo sollecitato dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione si spera possa assicurare. Ché, altrimenti, a muoversi in quelle nebbie, oltre al rischio della negazione de facto di una tutela effettiva del consumatore, si rischiano il sicuro impasse della già lenta macchina giudiziaria italiana e il conseguente allontanarsi della chimerica riduzione del 40% del contenzioso civile promessa all'Unione europea dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. |