Banca titolare di ipoteca su beni del fallito: va esclusa dal giudizio di verifica del passivo

Vincenzo Papagni
29 Marzo 2023

Le Sezioni Unite affrontano la questione attinente alla possibilità, per il titolare di un diritto di ipoteca su di un bene del fallito costituito tuttavia a garanzia di debito altrui, di avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, anche dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal D.Lgs. n. 169/2007.

L'odierno arresto delle Sezioni Unite pone al centro dell'attenzione una quaestio juris di spiccato valore nomofilattico relativa alla possibilità o meno, in capo al creditore ipotecario, di ottenere l'accertamento del proprio diritto reale di garanzia, oltre che del credito vantato nei confronti del debitore, nell'ambito del procedimento di verificazione del passivo disciplinato dal capo V del titolo II della legge fallimentare, piuttosto che in sede di distribuzione dell'attivo ricavato dalla vendita dell'immobile gravato dall'ipoteca.

La questione in rassegna viene risolta negativamente da parte delle Sezioni Unite, le quali, con il grand arrêt , SS.UU., n. 8557/23, chiariscono che i creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito non possono, anche dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006 e dal d.lgs. n. 169 del 2007, avvalersi del procedimento di verificazione dello stato passivo di cui al titolo II, capo V della legge fallimentare, in quanto non sono creditori del fallito, né soggetti che agiscono per la restituzione o la rivendica dei beni acquisiti al fallimento. I Giudici di legittimità, inoltre, aggiungono che i detti creditori possono intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell'attivo per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati.

Il fatto - Il Tribunale di Terni ha accolto l'opposizione proposta dalla Banca Beta s.p.a. avverso il provvedimento che aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo del fallimento di Alfa s.p.a.; per l'effetto, il Tribunale ha disposto l'ammissione della Banca al passivo, in via ipotecaria, per la somma di oltre un milione di euro oltre interessi, fino al primo riparto utile delle somme ricavate dalla vendita degli immobili oggetto di ipoteca. La fattispecie con cui si è misurato il Giudice dell'opposizione è quella del diritto di ipoteca su di un bene del fallito, il quale si sia limitato a prestare la garanzia reale per il debito altrui (senza assumere, quindi, alcuna posizione obbligatoria nei confronti del creditore garantito). Il Tribunale ha ritenuto non essere stata contestata, nemmeno nella fase di verifica dello stato passivo, l'esistenza, la validità e l'opponibilità al fallimento dell'ipoteca concessa alla Banca dalla fallita Alfa.

Il Giudice dell'opposizione ha richiamato l'orientamento di pensiero, prevalente nel passato, per cui ogni questione relativa al diritto del creditore ipotecario di soddisfarsi sul ricavato degli immobili gravati dall'ipoteca concessa dal fallito, con particolare riguardo alla validità, attualità, opponibilità al fallimento e alla non revocabilità dell'ipoteca, dovesse essere affrontata nella fase successiva alla liquidazione degli immobili, immediatamente prima della ripartizione dell'attivo ricavato tra i creditori concorsuali: esclusa l'ammissibilità dell'insinuazione al passivo del creditore ipotecario che non fosse anche creditore del fallito, si ammetteva la partecipazione del detto soggetto alla fase della distribuzione del ricavato della vendita degli immobili ipotecati, mediante una domanda di intervento modellata sull'istanza di cui all'art. 499, c.p.c., previo avviso da parte del curatore ai sensi dell'art. 108, comma 4, l. fall. Il giudice umbro ha osservato come un tale indirizzo debba essere sottoposto a revisione critica alla luce della nuova formulazione dell'art. 52, comma 2, l. fall., per come modificato dall'art. 49, d.lgs. n. 5/2006, secondo cui «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo V, salvo diverse disposizioni della legge». Secondo il Tribunale, in base alla norma testé richiamata l'accertamento del passivo è stato espressamente ampliato ai diritti reali o personali, mobiliari o immobiliari, laddove, in precedenza, esso era riservato ai crediti.

Avverso il predetto decreto, la curatela fallimentare ha proposto un ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. In particolare, con il primo motivo di gravame il fallimento censura l'interpretazione dell'art. 52, l. fall.., proposta dal Tribunale, in quanto mal si coordinerebbe con l'art. 93, l. fall.: norma che, anche a seguito della riforma del 2006, menziona esclusivamente le domande di rivendicazione e di restituzione, «con ciò supportando il convincimento che con la locuzione "diritto reale o personale", in contrapposizione al credito verso il fallito, il legislatore abbia inteso riferirsi ─ contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Terni ─ alle sole domande di rivendicazione o di restituzione e non anche ai diritti reali concessi dal fallito per debiti altrui».

Le Sezioni Unite accolgono il motivo de quo, cassando senza rinvio il decreto impugnato.

L'art. 52, comma 2, l. fall., nella sua nuova formulazione, prevede che non solo ogni credito, ma anche «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» vada accertato secondo le norme stabilite dal capo V del titolo II, salvo diverse prescrizioni di legge

Nel detto capo V della legge fallimentare, tuttavia, non si rinvengono prescrizioni che estendano il procedimento di accertamento del passivo alla situazione di soggezione in cui versa il fallito nella fattispecie che qui interessa. La domanda di ammissione di cui all'art. 93, l. fall., ha ad oggetto, come si desume dal comma 1 dell'articolo, oltre ai crediti, la restituzione e la rivendicazione di beni mobili e immobili.

Anche a seguito della riforma della legge fallimentare, le ragioni del creditore del terzo che sia titolare della garanzia reale su beni del fallito devono trovare attuazione in sede di distribuzione dell'attivo

Il titolare dell'ipoteca o del pegno ha quindi l'onere di far valere la propria pretesa in sede concorsuale non già attraverso una (inammissibile) domanda di insinuazione al passivo, ma domandando di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione del bene stesso. Occorre prendere atto di ciò: il debito del terzo non può incidere sull'intera massa passiva in quanto il fallito non è debitore; il diritto reale di garanzia grava, piuttosto, sulla massa attiva, nel senso che osta a che il ricavato della vendita del bene possa essere ripartito tra i creditori del fallito prima che su di esso trovi soddisfacimento il titolare del detto diritto reale.

La disciplina introdotta dal Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza (d.lgs. n. 14/2019) - L'art. 201, CCII, regola oltre alle domande di ammissione al passivo di un credito o di restituzione o rivendicazione di beni mobili o immobili compresi nella procedura, le «domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui» (comma 1), disponendo, in conseguenza (al comma 3, lett. b), che il ricorso indichi «l'ammontare del credito per il quale si intende partecipare al riparto se il debitore nei cui confronti è aperta la liquidazione giudiziale è terzo datore d'ipoteca». Il Codice della Crisi, perciò, assoggetta espressamente alla disciplina dell'ammissione al passivo una domanda volta ad assicurare la «partecipazione al riparto» ai creditori di soggetti terzi che vantino un'ipoteca su beni ricompresi nella procedura: domanda che, proprio per il suo oggetto, la giurisprudenza di legittimità, invece, ha sempre ritenuto dovesse essere fatta valere in sede di distribuzione dell'attivo, come confermato del resto dal grand arrêt in rassegna.

In definitiva all'interno del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza possono rinvenirsi norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della legge fallimentare «solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro», ma non quando, come caso che qui ci occupa, contenga un dirompente elemento di novità rispetto alla legge fallimentare.

Ergo, l'accertamento del diritto della banca non è suscettibile di essere fatto valere in sede di accertamento del passivo, e segnatamente, con l'opposizione allo stato passivo.

Si allega altresì la requisitoria della Procura generale presso la Corte di Cassazione, la quale chiedeva il rigetto del ricorso proposto dalla curatela. Dopo aver esposto il quadro normativo di riferimento, il Pubblico ministero ricostruisce il pregresso ed univoco orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità, nel senso della estraneità al procedimento di verifica del passivo del diritto vantato dal titolare di nuda prelazione. Segnalata la critica mossa dalla dottrina prevalente a tale orientamento, nonché la reticenza di alcuni giudici di merito ad adeguarsi ad esso, vengono esposte le ragioni fondanti la soluzione contraria, ovvero la ritenuta necessità di sottoporre alla verifica del passivo il diritto di partecipazione al riparto vantato dal titolare della nuda prelazione.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it